
[...] Il tema del vostro Convegno mi pare particolarmente importante  per il compito che vi è stato affidato: “Il servizio dell’autorità  secondo il Vangelo”. Alla luce di questa espressione vorrei proporvi  alcuni semplici pensieri, che lascio al vostro approfondimento personale  e comunitario.
 
1. Gesù, nell’Ultima Cena, si rivolge agli Apostoli con queste parole: «Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi» (Gv  15,16), che ricordano a tutti, non solo a noi sacerdoti, che la  vocazione è sempre una iniziativa di Dio. È Cristo che vi ha chiamate a  seguirlo nella vita consacrata e questo significa compiere continuamente  un “esodo” da voi stesse per centrare la vostra esistenza su Cristo e sul suo Vangelo,  sulla volontà di Dio, spogliandovi dei vostri progetti, per poter dire  con san Paolo: «Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me» (Gal  2,20). Questo “esodo” da se stessi è mettersi in un cammino di  adorazione e di servizio. Un esodo che ci porta a un cammino di  adorazione del Signore e di servizio a Lui nei fratelli e nelle sorelle.  Adorare e servire: due atteggiamenti che non si possono separare, ma  che devono andare sempre insieme. Adorare il Signore e servire gli  altri, non tenendo nulla per sé: questo è lo “spogliamento” di chi  esercita l’autorità.
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La povertà come superamento di ogni egoismo nella logica del Vangelo  che insegna a confidare nella Provvidenza di Dio. Povertà come  indicazione a tutta la Chiesa che non siamo noi a costruire il Regno di  Dio, non sono i mezzi umani che lo fanno crescere, ma è primariamente la  potenza, la grazia del Signore, che opera attraverso la nostra  debolezza. «Ti basta la mia grazia; la forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza», afferma l’Apostolo delle genti (2Cor12,9).
Povertà che insegna la solidarietà, la condivisione e la carità, e  che si esprime anche in una sobrietà e gioia dell’essenziale, per  mettere in guardia dagli idoli materiali che offuscano il senso  autentico della vita.
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E poi la castità come carisma prezioso, che allarga la libertà del  dono a Dio e agli altri, con la tenerezza, la misericordia, la vicinanza  di Cristo. La castità per il Regno dei Cieli mostra come l’affettività  ha il suo posto nella libertà matura e diventa un segno del mondo  futuro, per far risplendere sempre il primato di Dio. Ma, per favore,  una castità “feconda”, una castità che genera figli spirituali nella  Chiesa. La consacrata è madre, deve essere madre e non “zitella”!  Scusatemi se parlo così, ma è importante questa maternità della vita  consacrata, questa fecondità! Questa gioia della fecondità spirituale  animi la vostra esistenza; siate madri, come figura di Maria Madre e  della Chiesa Madre.
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2. Un secondo elemento che vorrei sottolineare nell’esercizio dell’autorità è il servizio:  non dobbiamo mai dimenticare che il vero potere, a qualunque livello, è  il servizio, che ha il suo vertice luminoso sulla Croce. Benedetto XVI,  con grande sapienza, ha richiamato più volte alla Chiesa che se per  l’uomo spesso autorità è sinonimo di possesso, di dominio, di successo,  per Dio autorità è sempre sinonimo di servizio, di umiltà, di amore;  vuol dire entrare nella logica di Gesù che si china a lavare i piedi  agli Apostoli (cfr Angelus, 29 gennaio 2012),  e che dice ai suoi discepoli: «Voi sapete che i governanti delle  nazioni dóminano su di esse… Tra voi non sarà così; proprio il motto  della vostra assemblea, 'tra voi non sarà così' - ma chi vuole essere  grande tra voi, sarà il vostro servitore e chi vuole essere il primo tra  voi, sarà vostro schiavo» (Mt 20,25-27).
Pensiamo al danno che arrecano al Popolo di Dio gli uomini e le donne  di Chiesa che sono carrieristi, arrampicatori, che “usano” il popolo,  la Chiesa, i fratelli e le sorelle – quelli che dovrebbero servire -,  come trampolino per i propri interessi e le ambizioni personali. Ma  questi fanno un danno grande alla Chiesa.
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fonte Libreria Editrice Vaticana