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La mia visita al Cimitero di Noha
Di P. Francesco D’Acquarica (del 10/11/2013 @ 16:47:07, in Cimitero, linkato 3920 volte)

A me non capita spesso di visitare il Cimitero. Vivo lontano da Noha, ma a volte mi trovo a passare. E allora una visita, anche fugace, e una preghiera dove sono sepolti i miei genitori e tante persone che ho conosciuto, riesco a farla.

E’ un luogo molto bello, perché si respira aria di pace. Sosto davanti alla tomba dei miei cari e poi faccio il pellegrinaggio dei miei ricordi e della mia storia.
Entrando ho notato scolpite in alto sul muro di cinta, di fronte, sei fiaccole accese, tre per parte ai due lati del cancello, sicuramente simboli della luce eterna dove vivono i nostri defunti.

Sul cancello sono scolpite su lamiera i quattro simboli degli evangelisti: S. Matteo simboleggiato dall'uomo alato (o angelo); S. Marco simboleggiato dal leone; S. Luca simboleggiato dal bue e S. Giovanni simboleggiato dall'aquila.

Prima di procedere noto sulla soglia d’accesso scolpita in lettere cubitali la parola “PAX”. Traduco dal latino con “PACE” che forse è relativamente attinente ad un camposanto cristiano. Probabilmente chi ha voluto la scritta non sapeva che le due lettere P e X sovrapposte appartengono all’alfabeto greco e indicano le prime due lettere di “CRISTO” e sono il monogramma che i cristiani hanno sempre usato come una vera professione di fede in Cristo morto e risorto: quindi una professione di fede nella risurrezione.
Il simbolo si compone di due grandi lettere sovrapposte, la 'X' e la 'P'. Corrispondono, rispettivamente, alla lettera greca 'χ' ('chi', che si legge kh, aspirata) e 'ρ' ('rho', che si legge r).
Queste due lettere sono le iniziali della parola 'Χριστüς' (Khristòs), l'appellativo di Gesù, che in greco significa "unto" e traduce l'ebraico "messia". Ai lati di queste due lettere, molto spesso si possono trovare altre due: una 'α' (alfa) ed un 'ω' (omega), prima ed ultima lettera dell'alfabeto greco, usate come simbolo del principio e della fine. Le due lettere, quindi, alludono alla divinità di Gesù Cristo e non significano “pace”.
 
Proseguendo il cammino qualche anno fa incontravo un bel viale di cipressi che a me davano sensazione di pace e serenità. Ora sono stati abbattuti, speriamo nell’intento di rinnovarli.
Presto si arriva nello spazio dove ci sono due cappelle: quella della Confraternita della Madonna delle Grazie che ospita i defunti dell’antica Confraternita e, di fronte, la chiesa che viene chiamata “cappella centrale”.
La cappella tombe della Confraternita, come abbiamo già detto, è stata costruita a tre riprese dal 1949 al 1956.
 
La “Cappella centrale” è un edificio semplice e snello costruito nello stesso periodo e inaugurato nel 1951 quando fu terminato il Camposanto. La storia delle origini del cimitero di Noha è bene descritta e documentata nel N.8 dell’Osservatore Nohano del 2009. L’ingegnere incaricato per re-alizzare l’opera fu Ettore Martinez di Galatina. Dopo più di 50 anni nel 2005 la cappella, di proprietà del Comune di Galatina, è stata restaurata e tuttavia non è ancora aperta al pubblico.
 
Vi si accede salendo tre gradini di pietra leccese. La facciata si presenta con un incavo che ospita la porta d’ingresso. Sopra la lunetta del portale vi è scolpita una deposizione.
In alto svetta la croce. Sulla porta di metallo si ripetono le tre croci che rievocano il Calvario. Lo stesso disegno è ripetuto più volte anche nel cancello d’ingresso. Ai lati e di dietro in alto vi è una serie di finestre con vetri che mentre danno luce all’interno esprimono eleganza e semplicità. In fondo ai due lati, uno a destra e uno a sinistra, si ergono due torri addossate all’abside con una serie di colonnine che creano movimento. Una, quella di sinistra, ospita una campana. Per i primi 10 anni (dal 1951 al 1961) il campanile ne restò privo. Poi una persona benevola offrì al parroco di allora, Mons., Paolo Tundo, la somma per mettere la campana. Ma l’arciprete in questione venne a mancare improvvisamente nel 1962 e non fece in tempo a realizzare il progetto. Il suo successore, Don Donato Mellone, si impegnò e realizzò la messa in opera della campana progettata da don Paolo.
Comprò la campana dalla Ditta Capezzuto di Napoli, oggi SAIE Campane SNC.
Nel lontano 1930, Il Sig. Carmine Capezzuto, fonditore di campane a Napoli, stimolato dall'amore e dalla passione per il proprio lavoro, decideva di dar vita alla fonderia Capezzuto.
 Nel corso degli anni, la fonderia medesima acquisiva sempre più consensi nell'ambito ecclesiastico, tanto da fornire campane alla maggior parte delle chiese italiane, principalmente nel centro-sud, mantenendo uno standard di altissimo livello. Al papà Carmine Capezzuto, si univano i figli Gaetano e Vincenzo, i quali, alla dipartita del padre, continuavano l'attività con la stessa passione.
Nel 1980, poi, gli eredi Capezzuto affiancavano alla fonderia Carmine Capezzuto & Figli la Capezzuto & C. sas, la quale si occupava prevalentemente dell'elettrificazione e dell'installazione di campane.
La Capezzuto & C. sas era gestita dal sig. Manna Michele, il quale era già parte integrante dell'organico della fonderia Carmine Capezzuto, nella veste di operaio specializzato prima e di collaboratore fidato poi. Nel corso della propria attività, il sig. Manna Michele veniva affiancato dai figli Arcangelo e Luciano, i quali, nel 1986 a Striano, davano vita alla SAIE Campane.
 
La SAIE Campane si impegnava, dunque, nel rinnovare la tradizione e nel crescere in affidabilità e efficienza. Raggiunti tali obiettivi, la SAIE Campane, oggi, è apprezzata sia per l'esperienza e l'affidabilità, sia per la preparazione tecnica, ma soprattutto per l'elevata qualità tecnologica ed innovativa dei settori in cui opera.
 

Per la benedizione della campana venne il vescovo di Nardò Mons. Antonio Mennonna, perché una campana è sempre benedetta dal Vescovo.

Era una voce “attiva”. Scampanellava quando si celebrava la Messa in cappella e ogni volta che una bara entrava nel Cimitero… e invitava tutti alla preghiera. 
Ora tace, muta e abbandonata, vuota e purtroppo anche non pulita è la parte interna del tempio.
L’aula della chiesa è semplice, spoglia, senza sedie e senza banchi.
In fondo all’abside c’è l’altare in marmo, spoglio di ogni sacro arredo. A destra, nella torre dirimpetto al campanile vi è la sagrestia.

E’ vero che per celebrare l’Eucaristia ci vuole un prete e oggi i sacerdoti sono sempre di meno. Ma nulla vieterebbe, se la “cappella centrale” fosse accogliente, entrarvi e sostare per una preghiera personale più prolungata e per la riflessione.

P. Francesco D’Acquarica