“Dichiaro di rinunciare al ministero di Vescovo di Roma, successore di  San Pietro, in modo che dal 28 febbraio 2013, alle ore 20, la sede di Roma, la  sede di San Pietro sarà vacante”. Ecco alcune delle poche parole con cui il  Santo Padre sconvolge il mondo. Ne abbiamo sentite di tutti i colori di questi  tempi ma ancora c’è qualcuno che è capace di meravigliarci. Ed ecco che saltano  subito fuori complottisti, profezie di ogni genere, semplicisti, scettici  convinti e pronostici sul successore. Ieri, come tutti quanti voi, sono rimasto  allibito dalla notizia, come se una sorte di disorientamento mi abbia colto  alla sprovvista, come se l’ultima trave danneggiata ma ancora in piedi della  Storia più antica, mi fosse crollata addosso. Da ora sappiamo che anche un Papa  si può dimettere. Certo, è previsto dal diritto canonico che questo avvenga, ma  nessuno se lo sarebbe mai aspettato. Poi ho dormito sopra poiché so che la  notte porta consiglio e “sbrina” i dubbi del giorno prima. Ho aspettato la  mattina successiva per riflettere ed ho capito che il Papa ha letto alla  perfezione i segni dei tempi. L’età è matura. Non solo la sua di età ma quella  della civiltà intera è matura. E una profonda compassione mi ha pervaso  l’animo. Sembra che questo uomo viva perennemente meditando senza mai  distogliere lo sguardo dalla meta, neanche per leggera distrazione. E nei suoi  occhi io leggo la difficoltà che c’è in un uomo di fede di parlare a chi non ha  fede. Sento la complessità di trasmettere l’insegnamento cristiano a questa  civiltà che annebbia tutto ciò che non è relativismo. Per questo il dilemma si  fa ancora più gravoso: si può ancora parlare di Dio in una realtà dove Dio non  è tenuto in considerazione? È la sfida che deve affrontare la Chiesa, proclamare  la stessa Verità in lingue nuove. E che sia stato uno come Ratzinger a fare  questa scelta crea ancora più sconcerto. La sentinella della tradizione, Lui  che è stato a capo di quello che una volta si chiamava Sant’Uffizio, fa una  scelta contro la tradizione, un gesto rivoluzionario che finalmente riporta  l’attenzione sul vero Pastore della Chiesa, Gesù Cristo, il più rivoluzionario  di tutti. Dov’è la sorpresa allora se chi rappresenta Cristo in terra una volta  tanto fa un gesto proprio di Cristo? Il suo è e rimane forse l’insegnamento più  cristiano predicato dalla Chiesa negli ultimi secoli. La rinuncia è una  prerogativa cristiana come la perseveranza. E se Giovanni Paolo II fu  imbattibile per perseveranza, Benedetto XVI spicca su tutti per umiltà e  mitezza. E di cosa ha bisogno la Chiesa di oggi se non di umiltà e mitezza?  Avranno capito qualcosa cristiani, preti, vescovi e cardinali? Ho qualche  dubbio visto che già si parla per il prossimo concistoro di partiti e poteri in  Vaticano, mettendo da parte quello che dovrebbe essere l’unico motore  dell’elezione alla cattedra di Pietro e cioè lo Spirito Santo. È questa scelta  sa proprio di provocazione come se il Santo Padre volesse dire al mondo intero  che Lui non ci sta a giochi di potere, a intrighi vaticanisti e fumi  anticlericali. Non lascia da vinto poiché se ne va nel modo più sereno  possibile, come aveva detto in una sua intervista più di due anni fa. Un papa  può, anzi deve dimettersi dal suo ministero petrino se non è in grado di  svolgerlo bene come si addice ad un incarico così importante. È questo più o  meno quello che aveva lasciato intendere. E Lui quel “deve” lo rispetta da uomo  di fede, anche se per molti di noi rimane un gesto incompreso. Se uno è papa  non è che può aspirare ad altro oltre quello che già è. Eppure alla coscienza  di questa nostra epoca il gesto rimane folle: come fa uno che possiede un  potere di quella portata a rinunciare e ritirarsi solitario in preghiera? La  risposta è che lo fa perché è cristiano non solo all’apparenza ma soprattutto  nello spirito.  E spiazza tutti, anche  quegli stessi cardinali che lo circondano sollazzati dai piaceri della  ricchezza e lustrati dalla cera della politica. Ecco l’insegnamento di  Benedetto XVI, urgenza di ritornare all’essenza. Egli riconosce la sua umanità,  individua il limite oltre il quale non bisogna spingersi, non nasconde, come fa  questo nostro mondo, la fragilità e la vecchiaia, grida che “sono beati i miti”  e che vadano al diavolo potere e ricchezza. Evviva lo spirito di carità se è per  il bene della Chiesa che compie questo gesto. Ci voleva un papa per dire che i  gesti contano più di tante parole e lo dice ai politici che vivono riempiendosi  la bocca di parole inutili; l’umiltà vince sulla presunzione e l’apparenza, e  il principio rimprovera tutti quei porporati che hanno fatto delle loro vesti  un simbolo di casta; è stato detto al mondo che non sono i papi a regnare ma la  regalità di Cristo, Pastore buono. Finalmente Cristo è tornato a predicare.  Pace a Lei Santo Padre e che la sua scelta sia per gli occhi di tutti gli  uomini l’annuncio che il mondo è maturo e che si può iniziare a cambiare, e  cambiare non vuol dire far sposare i preti, ordinare sacerdoti le donne,  consentire l’aborto e favorire le nozze tra persone delle stesso sesso: cambiare  è far si che questo nostro mondo sia abitato non da milioni di uomini ma da  miliardi di cristi.
Fabrizio Vincenti