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Pantacomune mezzo gaudio
Di Antonio Mellone (del 23/09/2013 @ 00:26:09, in NohaBlog, linkato 2182 volte)
L’assedio perpetuo ed inesorabile alla natura che ci circonda è coronato dall’ultimo consiglio comunale sulla Pantacom (chi è costei, chi c’è dietro, che credibilità abbia una società inattiva senza capo né coda, senza fatturato, senza dipendenti, senza garanzie se non la sola parola, rimane il più buffo dei misteri), simbolo della morte annunciata per suicidio di Galatina e dintorni.
Il territorio - svenduto per un piatto di lenticchie anzi per una serie di promesse fumose (tipo 300 posti di lavoro) scritte sulla carta con inchiostro certamente simpatico vista la sequela – sta per trasformarsi in macro-oggetto di consumo con servitù inclusa nel prezzo.
Perché tutto questo? A causa di una classe digerente comunale a metà strada tra l’incapace e lo scellerato che ormai da troppi anni, svendendo, distruggendo, privatizzando, banalizzando, sta trasformando Galatina e le sue fertili campagne in uno spettro, o, il che è lo stesso, in un mega-porco, prodotto fasullo di marketing.
Non si hanno altre idee, mi pare, se non quella di sfruttare il nostro “petrolio” (la natura, la bellezza del paesaggio, il patrimonio storico ed artistico), approfittando della sbadataggine e della rassegnazione di buona parte della popolazione incapace di intendere e di opporre una seppur minima barriera culturale difensiva allo scempio annunciato, per quella roba arcinota come “economia della rendita” (che, tra l’altro, non ci sarà mai, vista l’attendibilità dei dati inventati di sana pianta e soprattutto la credibilità della loro fonte, capace soltanto di appestarci con il puzzo mefitico delle sue fritture d’aria); economia della rendita, dicevo, in grado di alimentare monopoli e produrre desertificazione economico-sociale, oltre che naturale e culturale, come ampiamente dimostrato altrove.
A farne le spese non saranno solo il paesaggio ed il patrimonio, ma il futuro stesso di una città e di una sua frazione, come Collemeto, che evidentemente immaginano se stesse come una comunità di soli dipendenti di un centro commerciale (commessi, cassieri, parcheggiatori, magazzinieri…).
L’esodo dal vero centro (città) verso il falso centro (commerciale) è l’ennesima manifestazione del consumismo e dell’omologazione universale che ha plasmato inesorabilmente le menti dei galatinesi, impossibilitate così ad immaginare il concetto di crescita sostenibile senza il bisogno di colare ulteriore cemento, e senza dar retta alle corbellerie del primo che capita, anche se ha scelto il magniloquente nome di Pantacom.
Il fatto che si discuta ancora, ed addirittura in un nuovo consiglio comunale, su di un tema che avrebbe dovuto essere considerato morto e sepolto da molto tempo la dice lunga sul livello della Pantacombriccola dei nostri rappresentanti, perlopiù politicanti di mezza tacca con la loro corte di burocrati in carriera pronti a timbrare qualsiasi nefandezza. 
I nostri politici probabilmente non conoscono la Costituzione della Repubblica italiana (pur avendo sicuramente prestato giuramento su di essa, magari con la mano sul cuore, come usa fare il nostro frodatore a reti unificate), e certamente non il suo articolo 9, là dove si parla di tutela del paesaggio e del patrimonio storico ed artistico della nazione (e quindi dello sviluppo della persona umana).

Questi pover’ometti – probabilmente affetti da chissà quale forma di dislessia o disgrafia - scrivono Galatina e forse leggono o pensano Olgettina.

Antonio Mellone