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CHI DIMENTICA UCCIDE
Di Fabrizio Vincenti (del 13/07/2016 @ 17:09:46, in NohaBlog, linkato 2344 volte)

Sui binari morti di quest’Italia a due velocità, i vagoni dell’ipocrisia e dell’inettitudine politica continuano a scontrarsi, provocando decine di morti. Viaggiano in una sola direzione due generazioni legate solo da vincoli di parentela e dalla sorte sfortunata alla quale sono entrambe condannate. La prima generazione è quella vecchia, che ha fatto il possibile per rendere il Paese una Nazione, ed è una generazione stanca, fiaccata dalle ingiustizie sociali e da un lavoro snervante e mal retribuito. La seconda, invece, è la nuova generazione, quella giovane che è invecchiata precocemente senza neanche raggiungere la maggiore età. Una flotta di ragazzi senza lavoro e senza alcuna prospettiva che, snobbati dal futuro, non credono più nella buona fede dei padri. E su questi binari morti, sui quali muoiono i nostri sogni, la nostra speranza, la nostra eredità, sfilano come corvi della morte gli incapaci, quelli eletti poiché ritenuti più esperti e preparati degli altri per governare la cosa pubblica. Invadono la corsia dichiarando di essere in cerca del colpevole di turno, pensando che i morti si rivendichino così, potendo dire a qualcuno “è tutta colpa tua”. La più grande beffa, invece, è che i veri colpevoli compaiono in pubblico, sotto i riflettori. Non è pensabile, infatti, che mentre vengono stanziati soldi per l’alta velocità (che interessa, guarda caso, solo il nord Italia), mentre si promettono fondi per le nanotecnologie, mentre si guarda alla conquista dello spazio e si parla notte e giorno di banda larga, nel sud Italia viga ancora il “fermo telefonico”. Nell’epoca dell’homo cellularis, non è possibile che un capostazione debba telefonare ad un altro per dire “via libera, collega!”. Ed è inutile stanziare milioni di euro per la costruzione di un secondo binario, soldi che si perdono nella gola profonda della burocrazia e nelle voragini della corruzione, se poi il problema sono poche migliaia di euro per un computer che gestisca il traffico ferroviario. Troviamolo anche questo presunto colpevole, ma ben si sa che la colpa morale è ben più estesa e che non può essere di un semplice macchinista. E mentre al politichetto laccato o al burocrate squattrinato basterà accusare qualcuno che si è dimenticato di fare una telefonata, i morti (prima ancora di terrore che di ferite) non avranno giustizia. Questo, infatti, è un paese ingiusto che, prima ancora che finisca il tempo del lutto, ha già dimenticato la tragedia, e sta mettendo in atto tutte le prerogative possibili affinché se ne verifichi subito un’altra.

Per quale legge perversa l’uomo o la donna del sud, con la loro prole, debbano essere trattati come cittadini di serie “z”, questo ancora non si sa. Un fatto è evidente e incontestabile: il sud è abbandonato ai briganti. Il mio sud, però, non chiede assistenzialismo, ma sana assistenza poiché, se questo genere di politici e burocrati non lasciano che i briganti lo depredino, il mio sud batte il nord venti a zero. Chi aspetta un treno al bordo del binario, non si lascia fregare da una promessa di ricevere ottanta euro, né tantomeno spera che il “progettogiovani” dia un posto di lavoro stabile al proprio figlio. I soldi, infatti, vanno restituiti e il “progettogiovani” non crea un solo posto di lavoro, ma gonfia solo le casse di quelle società che lucrano su una finta formazione professionale di intere classi disperate. Chi aspetta un treno spera nel futuro, sogna la meta della sua vita e non può trovare su quei binari la morte.

Agli orecchi più attenti non è sfuggito che l’unico rumore di sottofondo alla tragedia, prima delle sirene dei mezzi di soccorso, era l’assordante gracidare delle cicale, segno di una terra bruciata dal sole, e non solo: bruciata anche nella dignità. E alle cicale si sono sostituiti i mezzi d’informazione che, con i loro servizi, fanno vedere in un sol giorno quello che hanno ignorato per anni. Politici e giornalisti cadono dal cielo alla notizia che nel sud del Paese (ma il problema tocca tutto il territorio nazionale) più del 60% della rete ferroviaria è a binario unico, che i paesi sono collegati dalle cosiddette “vettorine” risalenti agli anni sessanta, che in molte zone c’è ancora l’omino con la manopola ad abbassare le sbarre per far transitare un treno, con la speranza che la sveglia di quel pover’uomo funzioni per l’eternità.

Fino a ieri serviva il morto per far qualcosa, oggi non basta più neanche quello. Si sta già allestendo un’altra passerella per le signore Boldrini e Boschi che ingombrano la scena servendosi delle tragedie altrui. A queste sì che bisognerebbe chiederne conto poiché non solo i vivi, ma anche i morti, sono classificati ormai in categorie.

Cosa intendono quando parlano di “Europa”? Interi quartieri in tutta Italia, abitati da milioni di persone, in cui l’entità Stato non esiste e i binari non portano da nessuna parte se non incontro alla morte. Volete i nomi? Andate a Librino, vicino Catania, a Quarto Oggiaro a Milano, a Corviale a Roma, al Rione Forcella o Sanità o ai Quartieri Spagnoli a Napoli, andate a Secondigliano o al Borgo Vecchio di Palermo, visitate il quartiere Z.E.N. e ditemi se vedete le signore Boschi o Boldrini o l’incravattato di Renzi che recita come un mantra la formula degli ottanta euro. La realtà è che tra i binari pugliesi e Scampia non c’è Europa e non c’è Stato. Qui si salvano solo le banche in merito alle quali, a sfregio di quelli che muoiono da pendolari, si parla di sofferenza. In questo mondo contorto la sofferenza è attribuita alla banche anziché a quelle persone che, pur di credere ancora in un sogno, acquistano un biglietto, prendono il primo treno e portano il proprio nipote milanese a vedere il mare.

Qui al sud, caro turista, si muore anche. Domani, quando smonteranno le telecamere, le cicale ritorneranno a gracidare e il rumore dei ferri dei briganti non lo sentirà come al solito nessuno.

Fabrizio Vincenti