\\ Home Page : Articolo : Stampa
QUARTA FETTA DI MELLONE – Estate 2017 - Jurassic Mega Pork
Di Antonio Mellone (del 05/08/2017 @ 14:00:33, in Fetta di Mellone, linkato 2042 volte)

Qualcuno m’ha chiesto quando avrei intenzione di smetterla con questa rubrica di fette di Mellone.

Come soglio (voce del verbo), gli ho risposto impulsivamente e in maniera lapidaria: “Quandu rriva la fica lu malone ve e se mpica”.

Premesso che il dolcissimo frutto della pianta xerofila della famiglia delle Moraceae in salentino si declina al femminile e che mi deprimono alquanto i perbenisti falsi come una Louis Vuitton acquistata in un sottopassaggio ferroviario, non vorrei ora aprire un dibattito sul concetto subliminale del testé citato aforisma composto dai due succosi termini dal poliedrico significato. Sì, perché qui ci sarebbe insomma da soffermarsi su ogni sintagma del periodo, e magari inoltrarsi (e perdersi) nei boschi narrativi disposti sui suoi diversi piani di lettura.

Tutto questo panegirico per dire che codesta fetta di Mellone non può essere dolce (o edulcorata o sdolcinata) come le altre che parlavano di spiagge, di trombature (appunto) post-elettorali e dunque d’Amore, bensì aspro come il limone e amaro come certi peperoncini calabresi di mia conoscenza. Perché? – vi starete presumibilmente chiedendo.

Ma perché a rovinarmi l’estate (e dunque la verve da sviolinata estiva da leggere sotto l’ombrellone sorseggiando un cocktail alcolico ma anche anal-) è apparso l’altro giorno un diciamo articolo vergato dal diciamo giornalista sul diciamo quotidiano di Lecce, avente ad oggetto (capirai che novità) il Mega-porco commerciale Pantacom da colare su di una ventina di ettari concentrati nel bel mezzo della campagna di Collemeto.

Ero al bar, e nel leggere ‘sto pezzo, il caffè (decaffeinato - se no non dormo) mi è andato di traverso, la schiena mi si è bloccata in erezione, la bocca è rimasta semiaperta per via del crampo mandibolare che mi prende davanti alle coglionate, e così per un tempo indeterminato son rimasto immobile [avrebbero potuto affittarmi, ndr.] a riflettere sulle magnifiche sorti e progressive di Galatina e dintorni.

E niente. Uno pensava che codesto Merda-parco commerciale fosse la classica ideona oggetto ormai di appassionati studi di archeologia, ove non di psichiatria econometrica e sociale, e invece no: c’è infatti ancora chi ne scrive con un afflato, anzi un empito mistico che denuncia, come dire, una sorta di asservimento di alcune classi giornalistiche e diciamo intellettuali alla greppia dei poteri (apparentemente) forti che dovrebbero invece controllare.

Sentite il prologo del cosiddetto articolo apparso venerdì scorso su quella specie di morbido rotolo a più veli, anzi veline: “La vittoria del Polo Civico a Palazzo Orsini rimette in discussione il progetto della Pantacom srl volto alla realizzazione di un megaparco commerciale in località ‘Cascioni’ a Collemeto”.

E qui non si capisce se una nuova discussione sul Megaparco ci sia stata o meno da parte dei Vincitori Civici. Chissà se ne han parlato in giunta (magari a porte chiuse). O in consiglio comunale non ancora insediato. Oppure negli antri di qualche recondito frantoio ipogeo, lontano da occhi e orecchie indiscrete dove sarebbe stato “rimesso in discussione” ‘sto benedetto progetto. Mistero delle prede.

Ma il problema non sta tanto in questa fantomatica (o pantacomica) discussione, quanto nel fatto che un dirigente del nostro comune, tal Antonio Orefice, ha partecipato alla conferenza dei servizi (evidentemente nel senso di un servizio tanto così a noi altri) finalizzata a quanto pare a modificare, ovviamente tutto al ribasso (Ovviamente. Tutto. Al. Ribasso.), la famosa Convenzione (meglio nota come Circonvenzione d’incapace) siglata tra il comune e la Pantacom srl [che, ricordo, è la società della famiglia Perrone – quella del per fortuna ormai ex-sindaco di Lecce – “impresa” tuttora inattiva, con una struttura economico/patrimoniale/finanziaria e commerciale così tenera che si taglia con un grissino: insomma, una società a responsabilità limitatissima ovvero a irresponsabilità illimitata, entità più astratta che reale con un peso specifico pari a quello del polistirolo, il cui sogno nel cassetto con molte probabilità sarà quello di rifilare il pacchetto o meglio il pacco ai soliti cinesi. E addio sogni di gloria di qualche buontempone che s’aspetta un posto al parco calato, anzi colato dall’alto, ndr].

Orbene, questo Orefice, che visto il cognome dovrebbe essere il nostro Re Mida (in grado di trasformare in oro anche ciò che non luccica), si è rivelato d’emblée nel suo esatto contrario (vale a dire un Re Merda) grazie alla partecipazione alla suddetta conferenza dei servizi nel corso della quale, in nome del sovrano popolo comunale (spero abbia specificato “ad eccezione di Antonio Mellone”) ha accettato la “cancellazione di uno spazio verde all’interno della struttura commerciale […]. Provvedimento opportuno [se lo dice lui, sarà certamente opportuno, ndr.] in quanto nella zona in questione non è consentita la piantumazione di alberi ma solo cespugli di piccola altezza”.

Ma tu guarda: stravolgono le convenzioni, ammazzano il superstite buon senso, prendono per il culo le persone che è una bellezza e nessuno che osi emettere un suono (finanche gutturale), un mugugno, un “machecazzostatefacendo”. Niente.

 *

Eppure nella delibera regionale a proposito del Mega-parco Pantacom non sembrava nemmeno che stessero per costruire un centro commerciale, ma un bosco, una selva, un vivaio con tanti alberi e verde che al confronto il Parco Nazionale d’Abruzzo e l’Amazzonia messi assieme ci farebbero un baffo [roba da provocar danni indelebili ai polmoni per iperossiemia, ndr.].

E ora, come se nulla fosse, arriva un orefice qualsiasi a dirci che nell’area non è consentita la piantumazione di alberi (nemmeno di “fica”), ma solo qualche cespuglio (magari di Aloe Vera). Prima ci riempiono la testa (sempre nel decretino regionale) di “conservazione dei caratteri identitari e delle sistemazioni agrarie tradizionali”, di “corretto inserimento paesaggistico”, di “viali alberati” [forse avevano in mente quelli dei cimiteri, la famosa ombra dei cipressi visti i sepolcri di cui stiamo discettando, ndr.], di “ampi spazi di verde” [si saranno resi conto di aver esagerato con questo “ampi”, ndr.], di “percezione del profitto [sic] degli orizzonti” [volevano dire “profilo”, scusateli: è più forte di loro, ndr.], di “isole ecologiche” [e giacché anche qualche penisola, ndr.], di “qualificazione ecologica dell’area” [immaginate un po’ cosa sarebbe la squalificazione dell’area, ndr.], di “piantumazione di essenze arboree autoctone a basso consumo idrico” [non avevamo capito noi: volevano dire “assenze arboree”, ndr.], di “sistemi di raccolta e riutilizzo delle acque meteoriche” [i classici prodotti del meteorismo, ndr.], di “notevole abbattimento della CO2” [invece hanno abbattuto gli alberi ancor prima di piantarveli, ndr.], e ora tomo tomo cacchio cacchio ci vengono a dire che avevano scherzato.

Insomma, signore e signori, mettiamoci l’anima in pace: avremo d’ora in poi un Parco senza alberi. Mo’ vaglielo a dire tu al Devoto-Oli o allo Zingarelli o al Treccani di cambiare la descrizione del vocabolo “Parco”.

Ma leggete quest’ultima chicca uscita sempre dalla diciamo penna del diciamo cronista quotidiano: “La convenzione approvata nei mesi passati dall’amministrazione comunale uscente punta innanzitutto alla salvaguardia della rete commerciale della città, nonché ad uno sviluppo del tessuto socio-economico della frazione di Collemeto”.

Sì, come no. D’altronde lo sanno tutti ormai che il sole bagna, l’acqua asciuga, la neve scalda, il fuoco raffredda, a Roma non esiste la mafia, e il Mega-porco creerà una caterva posti di lavoro.

Ritornando come dire alla tridimensionalità, mi pare che di questo passo l’unica “fica” in arrivo sarà quella risultante dall’unione di due sillabe contenute più o meno al centro, precisamente centro-destra, della parola Cementificazione.

Antonio Mellone