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La verità ci fa male, lo so.
Di Fabrizio Vincenti (del 13/09/2017 @ 19:32:57, in NohaBlog, linkato 1512 volte)

Alexis Carrel, medico chirurgo Premio Nobel per la Medicina nel 1912, scrisse: «poca osservazione  e molto ragionamento conducono all’errore. Molta osservazione e poco ragionamento conducono alla verità». Dunque, più che ragionare ed esprimermi sui comportamenti aberranti degli esseri umani, ho passato molto tempo ad osservarli. La conclusione di questa attenta osservazione è questa: il genere umano tende all’idiozia. Infatti, quanto più è ampio il contesto di prosperità, tanto più è marcata l’imbecillaggine. La verità, però, che tutti sappiamo essere insensibile poiché si impone seppur crea dispiaceri, va detta, o meglio, si dovrebbe, ad ogni costo, tentare di dirla in ogni modo, tranne nel caso in cui questa non ferisca la parte più intima della persona, tanto che la ferita risulti insanabile. Poiché ritengo che qui non si tratti di quest’ultimo caso, è giusto e salutare dare uno sguardo alla realtà più che allo schermo del nostro smartphone. Molti resteranno delusi se invece di guardarsi sempre in basso (sapendo che cosa si vede per primo guardandosi giù) si volteranno finalmente intorno. La realtà, spesso, non coincide con le notizie.

Oggi, per restare in vita, è necessario produrre notizie, anziché raccontare la realtà, poiché la notizia è più interessante. Guardate quello che fanno i politici dalla mattina alla sera. Inventano notizie, spot, tweet, slogan. Capita quasi sempre che la notizia non corrisponda alla realtà e la società va in confusione. Per questo motivo, se ti dovesse succedere di sentire che ci sono due milioni di occupati in più, mentre a te i conti non tornano in quanto tutti quelli che conosci continuano ad essere inoccupati, ti sembrerà di impazzire. Il processo, però, qui è già entrato in funzione, e tu non puoi più farci niente. Se il lunedì il Pil è al +1,4%, il martedì la disoccupazione è aumentata dello 0,5%, il mercoledì il mercato dell’auto è in forte crescita e il giovedì il mercato dell’auto segna -1,6%, fino ad arrivare al venerdì, quando il debito pubblico raggiunge un nuovo record storico per poi sentire il sabato che la crisi è finalmente alle spalle, seppur la domenica risulta che l’Italia è fanalino di coda dell’Europa, anzi, del mondo, tu, come Socrate, penserai di non sapere nulla. È normale che tu su quest’altalena vada in confusione, poiché tutto è stato fatto in modo che tu non capisca assolutamente niente di ciò che capita.

Aumentando la confusione, aumenta anche la paura perché tu inizi a credere che ciò che tu pensi è follia pura, in quanto i tuoi processi logici non rispecchiano più le news. Neanche la tua fantasia è in grado di competere con la realtà, poiché ciò che la tua fantasia non riesce neanche ad immaginare, la realtà è in grado di produrre. E mentre senti che a stuprare le donne sono più gli extracomunitari che gli italiani, ti arrabbi. Così, per tranquillizzarti, c’è qualcuno pronto a dirti che ciò non è vero poiché in Italia gli stupri perpetrati da italiani sono superiori a quelli commessi da stranieri. Dunque, ti rassereni, dimenticandoti, però, che in Italia gli italiani sono circa 55 milioni, mentre gli stranieri 6 milioni soltanto. Tu, però questo tendi a tralasciarlo, altrimenti la tua mente va in confusione. E se il giorno prima sono stati extracomunitari a stuprare a Rimini, il giorno dopo sono carabinieri quelli che violentano e, come è giusto che sia, i secondi vanno puniti allo stesso modo dei primi. Questo accade quando le notizie si rincorrono, e ad inciamparci sei tu.

In casi come questi, non è corretto pensare che la colpa sia assoluta, cioè appartenga soltanto al colpevole. C’è, infatti, una sorte di solidarietà di tutti gli uomini sia nel bene che nel male, e così come ci sentiamo tutti quanti eroi quando un vigile del fuoco estrae dalle macerie un bambino ancora vivo, così ci dovremmo sentire tutti dei mostri quando qualcuno violenta una donna. Dovrebbe essere così, poiché non si può considerare la propria vita prescindendo da quelli che ci circondano e dall’umanità intera solo quando un comportamento ci disgusta e non quando ci compiace. Se a Rimini è avvenuto uno stupro è anche perché noi come Italia, come Stato, come comunità non siamo stati in grado di difendere quella che è diventa una vittima dell’idiozia. È per questo che viviamo continuamente in uno stato di inquietudine poiché le notizie che si susseguono senza soluzione di continuità superano spesso la nostra stessa fantasia, visto che la cronaca imbarazza anche la nostra coscienza. È in questo processo senza esclusione di colpi che noi ci chiediamo qual è il nostro posto. Vogliamo starne fuori quando la cronaca ci disturba e ci sentiamo coinvolti quando l’umanità si esalta nelle imprese. Il problema più grande, però, è che tutte queste emozioni, la paura, l’entusiasmo, l’indignazione, il disgusto, restano una realtà virtuale, condivisa sui social ed esclusa dalla vita reale. Postiamo drappi neri dopo gli attentati e ce ne freghiamo di quale sia veramente il significato dell’odio. Tingiamo i nostri profili di arcobaleno per paura di essere accusati di omofobia. Non ci esprimiamo sulle questioni etiche per il terrore che qualcuno ci giudichi insensibili. Non ci facciamo un segno della croce in pubblico per il timore che qualcuno ci chiami bigotti. Ci lamentiamo se la città governata dal politico del partito opposto al nostro si allaga dopo un nubifragio, e tacciamo se l’amministrazione del paese governato dalla nostra parte politica è un disastro. L’idolatria, il considerare qualcuno immune dall’errore, è una delle perversioni più gravi che un uomo possa compiere. Se un idolo perde la tua ammirazione, egli ritorna ad essere una persona comune.

La nostra triste realtà è che tutto ciò che facciamo è un banale tentativo di sopravvivere non tanto nella realtà, quanto nella finzione. Pensateci: sono pochi quelli che creano veramente; i più replicano, e basta. Di quale categoria vogliamo far parte noi? Di quelli che condividono i post degli altri, o di quelli che spengono un’ora al giorno lo smartphone e provano a creare una realtà migliore di quella virtuale? Quanto più sei nella realtà, tanto meno sei solo; quanto più sei virtuale, tanto più soffri di solitudine. Quanto sarebbe più bello il mondo se ogni tanto, accanto all’aldiquà, considerassimo il fatto che l’aldilà più che possibile, è una certezza! Così, mentre in questo mondo fittizio di notizie sembra che siamo noi a decidere chi vive e chi no, noi siamo diventati soltanto quelli che rendono ricchi e famosi coloro che, se facessero i conti con la realtà, sparirebbero all’istante. Siamo stati in grado di cambiare i requisiti per essere dei supereroi ed è così che un calciatore ha l’attico di trecento metri e un milione di followers, mentre il tizio, uscito dal tunnel della tossicodipendenza è un reietto a vita. Malati di sessualità, adoratori della fortuna più che dell’impegno, viviamo le nostre vite banali in attesa che qualcuno alzi la mano e ci dica cosa fare. Pensando alla ricchezza ci facciamo rosicare dagli usurai, desiderosi della verità ci lasciamo quotidianamente abbindolare dai falsari e mentre invochiamo onestà siamo noi stessi le prime vittime dei traditori. Dov’è la soluzione di questa assurda equazione?

È l’educazione lo sblocco dell’ingranaggio. Il compito dell’essere umano non è soltanto quello di procreare, ma anche quello di educare la prole. E guai a chi dice che non ci si riesce e, pur di evitare critiche, lascia che le cose vadano da sé. Educare non è un progetto, qualcosa che si studia a tavolino come fanno i pedagoghi; educare è un processo senza fine che si compie vivendo poiché mentre si educa, si viene educati. E non è qualcosa che riguarda te come singolo, ma è la comunità che educa. È per questo motivo che il fallimento di un uomo deve essere il fallimento dell’intero genere umano poiché l’educazione è della comunità a cui si è affidati. Se qualcuno sbaglia è anche perché tu hai mancato il bersaglio, cioè non sei stato all’altezza di educare il tuo prossimo. È la comunità il luogo dell’educazione. In questo processo storico è assolutamente necessario sentirsi uno responsabile dell’altro, poiché spesso la realtà non chiede conto al singolo, ma alla massa, e di questo non c’è giorno che non ne abbiamo una prova.

Fabrizio Vincenti