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L’ERA DEI SARDINIANI
Di Fabrizio Vincenti (del 24/11/2019 @ 16:44:51, in Comunicato Stampa, linkato 1581 volte)

La rivoluzione è arrivata, la preoccupazione è che ognuno ha la rivoluzione che si merita. È così, dopo quella francese, la marcia del sale, quella per i diritti civili a Washington, dopo la rivoluzione del sessantotto e le primavere arabe, ecco a voi le sardine italiane. Questi, scossi dal formicolio generato dai loro smartphone, leggendo un tweet, si riversano a migliaia in una piazza, addossandosi uno sull’altro per cantare bella ciao!

Chi sono le sardine? A quanto pare non lo sanno neanche loro stessi. Sembra che appartengano al popolo dell’aperi-cena, oppure sono quelli che vestono su comando dell’influencer di turno. Sono la società di quelli che ordinano kebab a domicilio su justeat e che guardano le serie tv su Netflix, tutti però accomunati da un particolare: hanno sempre entrambe le mani occupate, una dallo smartphone e l’altra dallo Svapo, ed è così che questi pensano di fare la rivoluzione, schiacciati come alici sott’olio. La rivoluzione contro che cosa? Contro il populismo? E cosa diavolo è questa roba di cui tutti parlano e di cui nessuno ne conosce il contenuto?

Ciò che vedo in queste piazze è una falsa ed irrequieta coesione sociale, scatenata da un post disincarnato dalla realtà, capace di generare moti tutt’altro che rivoluzionari (è ostentazione di una sorte di involuzione identitaria della specie, dove la massa gravita intorno al nucleo, senza sapere bene di cosa sia fatto). È ancora una volta un tentativo mascherato di placare un nervosismo globale e globalizzante non generato esclusivamente dalla politica, ma da un vuoto interiore in cui neanche alla luce, come in un buco nero, è concesso di sfuggire. Il massimo che la società oggi riesce a produrre in questa stanca ideologizzazione degli oppressi, è un’anonima Greta Thumberg incapace fisicamente di sopportare una stanchezza ecologica, climatica e ambientale. Ma ce ne fossero di Greta in quella piazza!

Io non credo – anche se lo spero - che nasca un nuovo Leonardo Da Vinci, o un Michelangelo Buonarroti, o un Dante Aligheri o un altro Einstein, loro sì capaci di rivoluzionare il mondo intero con la forza di una sola idea, di un semplice calamaio, o di un pennello, o con una sola formula. Non lo credo per il sol fatto che so che non ci sono le premesse perché questo avvenga. Ogni buona cosa nasce da un desiderio, e il desiderio è possibile solo in presenza del vuoto, cioè della mancanza della cosa desiderata.

Qui, invece, come in quelle piazze dove vengono ammassate - o si ammassano volontariamente - le sardine, c’è un eccesso di pieni e una mancanza totale di vuoti, e dove è già pieno, non c’è nulla da costruire, non ci sono sogni da realizzare, né pagine bianche su cui scrivere un capolavoro, né tele vuote da dipingere. Un’unica cosa a questi è concesso di fare: ripetere slogan già detti e cantare canzoni già scritte. Non c’è spazio per le idee né possibilità di mondi nuovi. Tutto si definisce in uno striscione da stadio, in un ritornello di cui non si conosce più il tempo né tantomeno il significato del canto che lo contiene; sardine pronte a riempire la prossima piazza come se la rivoluzione si facesse conquistando quanti più spazi possibili anziché coscienze.

Tutti ammassati come in una rete (questa sì li ha catturati definitivamente), blaterando che da lì non si passa! Chi è che non dovrebbe passare? I tiranni. Eppure non sembra che costoro sappiano chi sono i veri tiranni, ossia quelli che non fanno tanta caciara sui media. I tiranni, quelli veri, con i loro subdoli e polifonici linguaggi, li hanno già penetrati, trapassati, traforati ormai da tempo, modificandoli geneticamente per sempre e rendendoli a tutti gli effetti sardine (il nome, questo sì, lo hanno azzeccato).

È in scena la più falsa coesione sociale della storia, dove i partecipanti sono gente immunizzata a tutto, in grado di raffreddare con una sbalorditiva freddezza utilitaristica ogni sorte di stimolo esterno in grado di smuovere la loro coscienza. Tutti ammassati ma terribilmente isolati nella loro solitudine esistenziale e valoriale, difendendo un valore che non hanno mai conosciuto, anzi due: libertà e verità.

Non si eludono solo le tasse, ma anche la capacità di usare la ragione poiché, in fondo, ciò che sta alla base di questa società post-metafisica, è la preservazione ad oltranza dei propri interessi personali, coprendo tutto ciò dal mantello del principio di resistenza e da un buonismo tossico che nuoce seriamente l’intenzione di chi ha a cuore il bene dell’altro. Ma contro cosa resistono questi?

Guardiamoci intorno. Siamo sopraffatti da gesti inconsueti e violenti, scatenati da gente che abbiamo definito perbene solo un’istante prima del loro delirio, come se questi impazzissero da un momento all’altro senza giustificato motivo.  E come sciocchi crediamo che basti la parola fascismo per giustificare episodi abitudinari di violenza. Siamo iniettati di buonismo per rendere equilibrato il nostro stato psicofisico che è capace di degenerare in un solo istante dando la colpa alle ideologie anziché alle persone.

Io, in quelle piazze, vedo gente malinconica, che finge allegria cantando una canzone, ma che è consapevole del fatto che è già spacciata. È un rito già visto, una liturgia di depressione camuffata e di sgraziata euforia. E in tutto ciò che dicono e in quel che fanno, non c’è neanche una minima differenza tra il loro intimo pensare e quello dei fantocci contro cui manifestano. Cosa dovremmo pretendere da una società che ha dimenticato l’esperienza del piangere la realtà, e che invece si commuove davanti allo schermo? Non piangono per il morto povero e disoccupato che gli abita nell’appartamento affianco al loro, e si disperano per la tragedia trasmessa sui loro schermi illuminatissimi pieni zeppi di luoghi comuni.  

È un mondo sovraccarico da dove non nasce nulla di buono. Le più grandi rivoluzioni sono state fatte da uomini solitari in una sola piazza anziché da milioni di persone in centinaia di piazze. Non c’è neanche spazio, né tempo per momenti di mancanza, di quiete tra una piazza e l’altra; è solo una corsa contro il tempo a fare numero e a costruire i cortei dell’indifferenza più assoluta. Non c’è più vuoto da colmare poiché il vuoto stesso non ha più una dimensione, non ha una forma. Non c’è tempo e modo di rielaborare la narrazione di quello che si è appena vissuto in quanto nel vortice dell’euforia demenziale si perde ogni forma di connotazione realistica. Il vuoto è subito riempito per non lasciare spazio all’altro, senza sapere che l’altro è solo la parte diversa, e forse la più interessante, di se stessi.

Tutto ciò che manca in queste piazze sono esattamente gli elementi fondamentali per cui si fanno le rivoluzioni: la libertà e la verità. Io non vedo gente libera e vera da un pezzo. Ho sempre creduto, infatti, che non è la reazione ad un evento ciò fa grande l’uomo, ma la sua evoluzione in quello stesso evento poiché la reazione è sempre successiva all’evento; l’evoluzione, invece, precede, è coetanea e segue l’evento stesso. Questi si limitano soltanto alla reazione, ad impedirsi di diventare sudditi di uno, divenendo inconsapevolmente schiavi di qualcun altro.

Io credo nella rivoluzione come processo di evoluzione personale capace di cambiare il mondo.

Lì, invece, non vedo nulla se non piazze di migliaia di salvini contro un Salvini, migliaia di di maio contro un Di Maio, migliaia di renzi contro un Renzi, tutti pronti a dirsi diversi per essere esattamente uguali, tutti pronti a dichiararsi liberi nascondendo la loro dipendenza da sostanze di ogni tipo, da quelle stupefacenti a quelle tecnologiche e, soprattutto, essendo schifosamente succubi di ideologie politiche. È la società post-metafisica per eccellenza più tiranneggiata della storia.

Noi siamo segnati dall’eccesso che non è in grado di rinunciare ad alcunché. È difficile aspettarsi una rivoluzione dai bocconiani, non se ne sono ancora viste di serie nella storia fatte da questi. Il massimo che si può sperare è la buona riuscita di una carnevalata.

È la mancanza di qualcosa che si ritiene essenziale a generare il desiderio. Noi, qui, manchiamo di tutto l’essenziale e siamo stracolmi di superfluo e rinunciamo al primo per il secondo. È tutto fumo voluminoso e nuvoleggiante, come quello che fuoriesce dalle vostre sigarette elettroniche, poiché la rivoluzione non è lasciare la sigaretta per fumare Svapo: la rivoluzione è liberarsi sia dell’una che dell’altro, mandando a quel beneamato paese chi li produce, attentando alla vita.

Ce ne fossero di cardinali Ruini che invocano dialogo in questo nostro mondo sbruffone: gli basterebbero tre parole per tirare lo sciacquone su chiunque di questi, partendo da Salvini. Chi ha paura del confronto diviene il peggior nemico di se stesso. Chi infatti è in grado di rendere ragione della propria fede, del proprio credo politico, di qualunque cosa vogliate voi, non teme di affrontare le tesi altrui. Oggi, invece, preferiamo zittirci e querelarci a vicenda, piuttosto che rendere ragione di noi stessi e di ciò che pensiamo. Ora mi è venuta voglia di un panino, e visto che siamo in tema, vedo di farmelo con due alici sott’olio.

Fabrizio Vincenti