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Pane e cioccolata
Di Antonio Mellone (del 10/01/2021 @ 17:59:49, in NohaBlog, linkato 1508 volte)

Nossignore, questo non è il panegirico del trancio di filoncino con una barretta di cioccolato, una delle merende certamente più salutari rispetto agli snack industriali pieni zeppi di grassi animali, zuccheri raffinati e sale quanto basta e avanza (roba da farti venire in un baleno carie, sovrappeso e problemi cardiovascolari): è invece la storia di un negozietto di abbigliamento per bambini dagli Zero ai Sedici anni, ubicato in piazzetta Trisciolo, uno dei campielli storici più graziosi di Noha, all’imbocco di via Benevento, là dove un tempo sorgeva il vecchio forno a legna della buonanima di Gino Misciali Maraiuli. E chissà che questa denominazione non intenda rievocare, più o meno involontariamente, la fragranza di pucce e panetti appena sfornati dal buon Gino ogni santa mattina prima dell’aurora.

L’ha voluto nel 2004 Anna Maria Baldari, la titolare, dopo aver maturato precedenti esperienze nel medesimo settore nelle città “più commerciali” (almeno sulla carta) di Maglie e Casarano. Dice: “Ma a spingermi fino a questo passo sono stati anche i miei: cioè mio marito Michele, mia figlia Maria Grazia, e soprattutto l’Umberto, il piccolo di casa, che soffriva – ma io più di lui – della mia assenza per molte ore al giorno. Mamma – mi ripeteva in continuazione – apri il negozio a Noha e io sarò contento, anzi contentissimo. […] E fu così che ristrutturammo i locali dell’ex-panificio di mio suocero, e iniziammo questa nuova avventura”.

Anna Maria mi racconta la sua passione per l’abbigliamento, l’atelier, i corredini di una volta: “Sin da piccola adoravo confezionare vestiti per le mie bambole, ed ero pure brava. Pensa, più grandicella ho frequentato un corso di taglio e cucito. Sì, in fondo io mi sentivo (mi sento) una sarta, ma davvero non ho il tempo nemmeno per fare gli orli ai pantaloni che vendiamo”. Insomma è una che capisce di stoffe, materiali, modelli, cuciture interne ed esterne e vestibilità: “Ho sempre scelto il meglio nei miei campionari: devi guardare tanti aspetti, e soprattutto la qualità rapportata al giusto prezzo. Oggi sembra che la cosa più importante sia la moda del momento a quattro soldi, ma a volte si tratta - scusami se parlo così - di vere e proprie porcherie. Invece guarda per esempio questo completo, la perfezione delle sue cuciture, la precisione del taglio, la morbidezza del tessuto, e soprattutto il pregio della lana e del cotone con cui è stato prodotto, oltretutto da una ditta salentina”. Mi fa i nomi di alcune aziende produttrici a livello nazionale, che per mia ignoranza della materia non conosco, ma mi rassicura su quanto diano sempre il massimo in termini di comodità, sicurezza e rispetto della salute della pelle, al contrario di certi indumenti “di battaglia”, spesso offerti da certe grandi catene di spaccio di guardaroba indistinguibili dalle cineserie usa e getta.  

Ora c’è da puntualizzare il fatto che da un bel po’ da Pane e Cioccolato si trova anche (soprattutto) abbigliamento per gli adulti, principalmente da donna. L’idea è nata spontaneamente nel corso degli anni dal fatto che i sedicenni, o molti fra loro, dal punto di vista delle taglie sono ormai da svariati lustri uomini e donne belli che fatti: sicché capitava non di rado che genitori, zie, nonne e comari andassero a comprare qualcosa per il proprio pargolo, uscendone invece con un capo tutto per sé. E così Anna Maria decide di ampliare l’intervallo inizialmente chiuso e limitato, passando dal vestiario Zero-Sedici a quello Zero-Infinito. Quando si dice che un’attività cresce in tutti i sensi.

Io confesso che, l’altro giorno, in questo emporio di magliette e calzoncini, maglie, camicie, cardigan e felpe, abiti, gonne, pantaloni, giacche e cappotti, berretti e pigiami, tute e giubbini per un attimo mi son sentito come catapultato nell’era geologica in cui mandavo a memoria la partizione delle Alpi e ripetevo la tavola pitagorica stampata sulla copertina dei quaderni a quadretti: era l’epoca in cui Berta filava (anzi, visto il contesto, Berta sfilava), e la regina madre per trovare qualcosa da mettermi addosso mi conduceva a Galatina da Cappuccetto Rosso, il negozio di cose per mocciosi, gestito dalla signora Franca e dal marito di cui non ricordo il nome, un signore col parrucchino, a mio avviso uscito provvisoriamente da una fiaba di Andersen. Questo invero accadeva semel in anno, in quanto, con una certa frequenza indossavo i vestiti dismessi da Livio, il mio fratello maggiore, attuando in un sol colpo il riciclo dei beni, la strategia dei rifiuti zero e pure l’economia circolare ante-litteram (onde non mi si dica io sia un ambientalista dell’ultima ora). Il fatto che l’acqua passata sotto i ponti dei rispettivi fratelli corrispondesse a quella di un novennio era un dettaglio di secondaria importanza, sicché ostentavo quei panni senza fare un plissé, benché talvolta mi sentissi azzimato come manco il piccolo lord (dico quello del romanzo dell’800).

Ma ritorniamo a Pane e Cioccolata, la bottega nohana che resiste nonostante i centri commerciali, le grandi catene in franchising, le piattaforme web e ultimamente le chiusure a singhiozzo per via di un virus. Esistono, come in questo caso, dei modi per riuscire ad andare avanti malgrado tutto, senza fare tante chiacchiere, riempirsi la bocca di vision, mission e fashion, e sbandierare i grandi marchi.

Insomma, in molti casi come questo, per cavarsela e bene non ci vuole la mano di Dior.

Antonio Mellone