A commento della prima immagine, pubblicata qualche anno fa su questo stesso schermo, un’amica scriveva tra le altre cose: “Lo scultore pare egli stesso una scultura e la sua opera di sabbia una sua proiezione, anche nella fragilità: un’opera di grande bellezza ma già predestinata a vita breve”.
Consapevolmente o meno, la mia amica in maniera lapidaria e granitica aveva vergato l’epitaffio di Gino Tarantino, nohano e artista enciclopedico, che oggi di 15 anni fa s’era congedato dal piattume (anche senza i) di questo mondo. Aveva 53 anni.
Per chi non lo avesse conosciuto e per chi non lo sapesse ancora, Gino era l’esponente di un’avanguardia che aveva fatto non solo dell’opera figurativa o plastica, delle performance teatrali o dell’architettura, della sperimentazione audiovisiva o del linguaggio, ma anche della sua stessa vita e delle sue mille a volte inedite relazioni un’opera d’arte.
Tutto quello che toccava diventava claritas, integritas et proportio, fosse anche, come in questo caso, un pugno di sabbia. Non potevi sottrarti alle sue provocazioni, ti inchiodava alle tue responsabilità come i suoi enormi poster sul muro, mentre i dogmi ancestrali rischiavano di caderti sui piedi.
Chissà cosa avrebbe detto oggi nel bel mezzo della fiction distopica nella quale ci siamo andati a cacciare se non tutti, quasi. Probabilmente, novello Picasso, ci avrebbe rappresentati in una sua personale Guernica.
Certo canonizzare uno fuori dai canoni, vale a dire un anarchico come Gino Tarantino, potrebbe apparire come una forma topica di antitesi: ma, si sa, a volte i monumenti occorrono più a una storia comunitaria che a quella personale, molto di più a una geografia che all’agiografia del personaggio.
Credo dunque che sia arrivato il momento d’intestare quanto meno una piazza o una strada di Noha a questo suo figlio. E dovremmo farlo non per lui, che al solo pensiero scoppierebbe in una fragorosa risata, ma per noi altri, troppo di frequente contagiati dal virus infettivo e molesto di una smemoratezza che ci ha viepiù ridotti a mere figure di sabbia.
Antonio Mellone
Note: alcune immagini sono tratte dal profilo fb dell’artista. Si ringrazia l’anonimo autore.