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PROCESSO ALLE INVENZIONI (Prima fetta di Mellone – Estate 2022)
Di Antonio Mellone (del 03/07/2022 @ 22:06:06, in Fetta di Mellone, linkato 900 volte)

Intendo aprire solennemente la stagione lirica delle Fette di Mellone - Estate 2022 con un cenno alle motivazioni circa la mia Assoluzione nel processo intentato contro di me da un personaggio politico locale (tra le decine cui ho diciamo lisciato il pelo, incluso quello sullo stomaco), del quale è ormai giusto e pio far calare definitivamente il sipario. Eh sì, forse molti fra voi non sanno che una di codeste Fette fu portata in tribunale nel 2015 e - tra indagini, opposizioni all’archiviazione, torture a sintassi-grammatica-e-ortografia, giudizi sommari (o forse somari), e mille rinvii mai richiesti dal sottoscritto - fatta sedere sul banco degli imputati per un settennato, cioè fino al 24 marzo scorso, giorno del sentenziato proscioglimento “perché il fatto non costituisce reato”. A dire il vero, dopo una prima querela (alla fine rivelatasi di fatto temeraria) ne seguì un’altra, ma, purtroppo per il bi-querelante, pure la seconda accusa finì nel nulla, vale a dire da dove era partita.

Per esser ancora più chiari, stiamo parlando di tribunale penale, con un pizzico di “civile” che non guasta mai visto che in entrambi i casi la modica cifra richiestami a mo’ di risarcimento del danno (immagino morale o biologico, oppure emergente, se non proprio a titolo di lucro cessante) fu di 30.000 Euro. E devo riconoscere alla controparte una certa indulgenza nell’aver moderato la richiesta rispetto ai 100.000 Euro prospettati nella primissima denuncia sporta ai Carabinieri. Chissà poi se l’avvocato delle due cause perse sarà riuscito a ricondurre il suo assistito a più miti consigli, scongiurandolo, in nome del concetto di Difesa (soprattutto da se stessi), di lasciar perdere certi espedienti che talvolta, alla fine della fiera, rischiano di rivelarsi un tantino autolesionisti. 

E insomma, uno come me mai avrebbe pensato che il suo nome, dopo i registri scolastici, potesse andare a finire anche nel registro degli indagati per un’ipotesi di reato più o meno corrispondente alla lesa maestà. Ma tant’è. L’arma dell’ipotizzato delitto? I polpastrelli. Quelli con i quali si battono i tasti del Pc lasciandoci, invero, un po’ di impronte digitali.

A proposito dei Delitti & delle Pene, in udienza, davanti alla Gip che si occupò del mio secondo caso giudiziario, proferii queste testuali parole (le ricordo verbatim come fosse oggi quel 16 gennaio 2019): “Sig.ra Giudice, io rispondo di quello che scrivo, non delle elucubrazioni degli altri o dei loro processi inferenziali. Voglio dire che sono responsabile di quello che scrivo (e dico), non di quello che gli altri vogliono capire. Ora, siccome alla base di un giudizio (sulle cose, sulle persone o sugli accadimenti) dovrebbe esserci il verbo Sapere più che il verbo Credere, la prego di leggere il mio articolo, anzi i due articoli incriminati, incluso quello allegato all’opposizione all’archiviazione [per la cronaca il Pubblico Ministero, una sostituta procuratrice, mi dicono, molto in gamba, e severa, aveva archiviato il tutto in entrambe lo occasioni, ndr.], e di decidere se questi scritti sono corpi di un reato o armi di un delitto, o se invece il vero crimine non sia l’intimidazione a mezzo querele seriali da parte di un personaggio politico, e dunque la sua molto probabile volontà di censurare il diritto di parola, fosse, questa parola, perfino “contraria” (come dice Erri De Luca), ovvero critica o, vivaddio, satirica. Grazie per l’attenzione”. Sarà stata una mia suggestione ma mi parve di cogliere nel volto della mia giudice un lampo, come dire, di compiacimento. Qualche giorno dopo, compiacimento o meno, la suddetta Gip decretò l’inammissibilità della denuncia, chiedendosi di fatto cosa cavolo ci fosse da querelare visto che gli scritti erano sostanzialmente di critica e satira: vale a dire, volenti o nolenti, un’opera d’arte, di buono o di cattivo gusto, e, se vogliamo, una fiction, cioè un’invenzione.

Quanto alle motivazioni di cui all’inizio (una vera e propria lezione di Diritto), redatte dalla mia Giudice naturale  (che ancora amo segretamente, come parimenti le altre due summenzionate Magistrate), mi limito a pubblicarne qualche stralcio, tipo: “[…] Il Tribunale ritiene che la condotta contestata possa farsi rientrare nel legittimo esercizio di satira politica, con la conseguenza che l’imputato deve essere mandato assolto perché il fatto non costituisce reato.”. E ancora: “Il cosiddetto ‘diritto di satira’, che è una forma artistica che mira all’ironia sino al sarcasmo e alla irrisione di chi eserciti un pubblico potere, merita tutela […]”. Sentite quest’altro brano: “Lo scritto appare caratterizzato dalle forme tipiche della satira, ovvero dalla scelta di rappresentare il protagonista con toni fortemente (e palesemente) caricaturali e di estremizzarne i tratti distintivi, nonché dall’utilizzo di una narrazione esasperata, paradossale e surreale, finalizzata a rendere evidente il giudizio critico nei confronti della categoria sociale, culturale e politica di riferimento. In tal modo è il personaggio pubblico [ad esser] reso in modo caricaturale, e non la persona [la sottolineatura è mia, ndr.].” E infine: “La giurisprudenza di legittimità non esclude che anche nell’esercizio del diritto di satira si debba rispettare il canone della ‘continenza’. […]. Orbene, nel caso di specie, non ritiene il Tribunale che il limite anzidetto sia stato travalicato […]”.

In conclusione la mia Giudice ha spiegato molto bene che bisogna certamente saper leggere tra le righe, ma prima di tutto le righe, e ha sancito “In nome del popolo italiano” che il mio è uno scritto di satira politica (e forse pure di costume), che in esso non v’è alcun “gratuito attacco personale”, e soprattutto che non sono (ancora) incontinente.

Antonio Mellone