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IL PURGATORIO NEL PARADISO - (Seconda fetta di Mellone – Estate 2022)
Di Antonio Mellone (del 16/07/2022 @ 08:48:12, in Fetta di Mellone, linkato 815 volte)

Avevo in mente di aprire in pompa magna le Fette di Mellone - Estate 2022 con il primo canto del Purgatorio di Dante Alighieri girato nel mese di maggio scorso nella riserva del Porto Selvaggio di Nardò. Ma poi mi sono giunte su di un piatto d’argento le motivazioni dell’assoluzione nel processo alle invenzioni (a proposito di alta fantasia), intentato ai miei danni da un revanscista per caso, magistralmente redatte da una Giudice (un’altra toga rosso Mellone?): sicché non ho potuto fare a meno di esclamare anch’io con Bertolt Brecht: “C’è un giudice a Zollino” (e dunque rinviare di qualche settimana la suddetta pompa).

A pensarci bene, questo canto del Purgatorio (senza dubbio il più bello: come ognuno degli altri novantanove del Poema) non è poi così scollegato dal tema del diritto di Parola Antipatica che certi pseudo-satrapi locali sovente considerano codardo oltraggio: ché ormai proferire e vergare parole allineate, oggi addirittura resilienti, e ça a va sans dire politicamente corrette non è chissà quale forma di libertà, anzi è una mano di antiruggine a catene e guinzagli più o meno lunghi, l’ennesimo giro di vite alla presa di coscienza individuale e collettiva, il tiraggio del doppino al nodo scorsoio. Sì vabbè, mi volevano diciamo morto provando maldestramente a levarmi la penna di mano, ma facciamo che sarà per un’altra volta (la morte dico, ché la penna, a dispetto di ogni anatema di perbenisti e madamine, me la porterò nella tomba).

Insomma riparto da qui, finalmente uscendo “fuor de l’aura morta che m’avea contristati li occhi e ‘l petto”, “per correr miglior acque”, come del resto Dante e Virgilio che incontrano sulla spiaggia un vegliardo di nome Marco Porcio Catone, detto l’Uticense. E a Catone Virgilio, nel presentare il suo compagno di viaggio, cioè il vian-Dante, rivolge una delle terzine più belle della Commedia (come del resto ognuna delle rimanenti 4710), quella che suona così: “Or ti piaccia gradir la sua venuta:/libertà va cercando, ch'è sì cara,/ come sa chi per lei vita rifiuta.” [vv. 70-72].

Non so perché, ma ogni volta che ripeto questi versi mi viene di pensare a Julian Assange, quel signore che i Migliori al potere (la maggior parte, si sa, marcio) vogliono di fatto agli arresti perpetui da scontare nei “democratici” Stati Uniti d’America, dopo quella sporca dozzina di anni al gabbio già espiati nell’altrettanto “democratico” Regno Unito. Il reato gravissimo di cui si sarebbe macchiato quest’uomo colpevole e recidivo si chiama Giornalismo: un delitto perfetto, invero sempre più raro (ed esecrabile) in queste e in altre contrade in cui le penne all’arrabbiata sovente si traducono in pene dell’inferno se non intinte nel liquido secreto da certe ghiandole orali. E mutatis mutandis è la storia di tanti piccoli Julian Assange precarizzati, boicottati, intimiditi quando non rubricati in liste di proscrizione da parte di chi ha interesse a far percepire un campo di concentramento come un paradiso terrestre. Ma il discorso varrebbe anche per chi, pur non iscritto ad alcun albo o congrega o ordine, osi asserire che il re è ignudo, e farebbe cagare anche vestito.

Quanto al resto, che dire se non che questo canto avrebbe forse preteso una posa declamatoria decisamente più flemmatica, e può darsi un tantino più lenta, solenne e stavo per dire ieratica: ma – lo crediate o meno - non v’è stata possibilità alcuna: men che meno di rinviare il tutto, giacché il tempo stringeva, il sole calava, l’estate pressava, il turismo avanzava, l’imprecazione sacrilega premeva, Daniele Pignatelli smadonnava, e il rischio che quel paradiso diventasse di lì a poco un inferno senza manco passare dal purgatorio incombeva.    

Per una serie di motivi il Paradiso può attendere. Il Purgatorio invece no. Nemmeno il fatidico momento in cui la massa inebetita dei turisti smonterà le tende per andare a farsi fottere perlomeno fino alla prossima estate.

Antonio Mellone