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Arturo Abaterusso, l’orologiaio che fa la differenza - Terza fetta di Mellone - Estate 2022
Di Antonio Mellone (del 13/08/2022 @ 13:43:17, in Fetta di Mellone, linkato 923 volte)

Se non volete essere mandati al diavolo su due piedi risparmiatevi gli slogan del marketing buoni per chi si beve tutto [e vota di conseguenza, ndr.], tipo: “In questo luogo del cuore si è fermato il tempo”. Primo perché le chiacchiere dei pubblicitari [e quelle dei politicanti, ndr.] lasciano il tempo che trovano, e poi perché qui non si è fermato proprio un bel nulla, anzi questo tempo continua a scorrere inesorabile e ad essere pure scandito con una certa puntualità. E se proprio di cuore vogliamo parlare non sarà nel senso delle intenzioni, dei propositi o delle volontà, ma del marchingegno necessario al loro funzionamento, onde il signore de quo ne è il cardiologo e la sua bottega il pronto soccorso.

Sto parlando di Pantaleo Arturo Abaterusso che da una vita fa l’orologiaio a Galatina, in corso Garibaldi 12 per la precisione, a un fischio da piazza San Pietro, quasi dirimpetto alla cappella di San Paolo. Non cercatene l’insegna: non la troverete, essendo talorni del genere del tutto inutili a chiunque abbia clientela fedele e quindi tam-tam assicurato. Di poche parole - ché lui non ha tanto tempo da perdere, e men che meno noi di riscrivere Guerra e Pace -, Arturo a dodici anni inizia a smontare e rimontare le sveglie a corda (quando si dice un ragazzo sveglio): quelle che papà Fedele aveva da riparare dopo averle ricevute in affidamento con tante raccomandazioni dalle famiglie di tre quarti di Salento e anche oltre, fino a Brindisi dove si recava in missione a bordo della sua bicicletta presso quei centri multiservizi – financo di raccolta cronografi da rimettere in carreggiata - che erano i barbieri. È appena il caso di aggiungere che nel corso degli anni ’50 del Novecento papà Fedele aveva il suo piccolo laboratorio alla “discesa delle Anime”, la quale (combinazione) non è altro che la continuazione di via dell’Orologio.

Arturo ci tiene a precisare che non nasce orologiaio (anche se, come detto, ha avuto corrispondenza d’amorosi sensi con quadranti, lancette, bilancieri, guarnizioni, gabbie, rotori, molle, suonerie e tourbillon fin da quando era praticamente in fasce), bensì orafo: egli è infatti Maestro D’Arte dei Metalli e dell’Oreficeria con tanto di Qualifica prima, e Diploma di Maturità poi, conseguiti rispettivamente nel 1972 e nel 1974 all’Istituto Statale d’Arte di Galatina. Le sue creazioni erano (sono) preziose per materiali certamente, ma viepiù per gusto e stile. Se glielo chiedi e se ha qualche minuto libero ti mostrerà con orgoglio un album di disegni dei suoi gioielli, pensati, disegnati e realizzati con le sue mani e forgiati nel forno tuttora presente in negozio - altro che quelli prodotti in serie da Morellato, Cartier, Recarlo, Breil, o Amen. “Questo l’ho fatto tutto io dalla A alla Z – mi dice - e l’ho appena rilucidato ché dobbiamo andare a un matrimonio”: e da un astuccio tira fuori il bell’anello creato per la consorte qualche decennio addietro.

Ora, inforcata la sua visiera di ingrandimento con luce a led (la volta precedente aveva un monocolo), mi congeda e si rimette sulle sudate casse, e con mano ferma, bisturi, micropinze, presse e alesatori, calibri e cacciaviti è pronto all’n-esimo intervento chirurgico della giornata: ché gli orologi, dal più costoso al più vile, dal Patek alla patacca, han bisogno di camminare.

*

Appena fuori da questo presidio di biodiversità ancora immune dal virus della moda edonistico/godereccia s’apre il Borgo Antico Galatinese, instradato sulla via della lunaparkizzazzione (meglio nota come Valorizzazione) tutta movida, tavolini, spritz & food più o meno fast, in ossequio alla borgomania (variante piccoloborghismo) così cara ai forzati dello svago nonché ai pubblici amministratori con la vocazione dell’animatore di un villaggio vacanze.

Un ulteriore piccolo sforzo (tipo qualche maglietta “I love Galatina”, un po’ di campane di vetro Made in China – di quelle che a capovolgerle cade la neve sul modellino della basilica orsiniana -, portachiavi in silver del Pasticciotto e calamite per frigo della Pupa) e, annullando ogni differenza, avremo reso indistinguibile questo pezzo di Salento da mille altre, come si dice, “location”: il tutto in nome della merce che manco un outlet e del sempre sia lodato turismo-volano-di-sviluppo-e-occupazione (e pazienza se, per dire, a Venezia ‘sto benedetto turismo ha fatto più danni dell’acqua alta e del Mose messi assieme).

Mala tempora currunt sed peiora parantur, direbbe quello.

Ma per questi ultimi tempora Arturo non può farci nulla.

Antonio Mellone