Quattro comitati italiani - composti da medici, cittadini, ricercatori e amministratori – replicano a quanto dichiarato da Fabrizio Pedetta, ingegnere e direttore generale del colosso industriale Colacem Spa, nell’intervista rilasciata alla nostra testata un mese addietro. Tra le risposte fornite dal numero uno della società proprietaria di diversi cementifici in Italia, il rifiuto di una eventuale correlazione tra emissioni degli stabilimenti e i danni alla salute. Il numero uno del colosso industriale umbro ha in quell’occasione argomentato le sue dichiarazioni, citando degli studi eseguiti dal Cnr e dall’Università La Sapienza e commissionati dal Comune di Gubbio.
Ma i comitati e i medici che lottano a tutela dell'ambiente ribattono: “Ci saremmo aspettati che dicesse, per esempio: un singolo studio del CNR che ha accuratamente misurato un solo inquinante atmosferico (le Pm10) non ha riscontrato la provenienza industriale di quell’inquinante”. Lo scrivono il Coordinamento Civico Ambiente e Salute, l’Associazione Mamme per la Salute e l’Ambiente-Venafro, il Comitato per la Tutela ambientale della Conca Eugubina e il Comitato No Css nelle cementerie di Gubbio. Pedetta ha infatti negato collegamenti e rapporti di causa-effetto fra cemento e tumori, nonostante anche solo il circondario galatinese sia stato da tempo dichiarato come zona “rossa” per via dell’alta incidenza di cluster tumorali nella popolazione del luogo, patologie polmonari in primis, emersa dalle evidenze scientifiche di report e dossier e poi rimarcata in interrogazioni parlamentari e appelli da parte di numerose sigle mediche. La stessa Asl di Lecce, nei mesi scorsi, aveva scritto all’Aress, l’Agenzia regionale strategica per la salute e il sociale, per chiedere di procedere alla valutazione di eventuali danni alla salute dei cittadini del Galatinese e del distretto di Maglie. Una missiva che era partita dall’Osservatorio ambiente e salute che vi avevamo allegato in esclusiva nel 2021.
Nel documento, sottoscritto dai salentini e dagli altri componenti dei comitati ambientalisti d’Italia, viene ripreso e "smontato" dunque il passaggio relativo allo studio citato dal direttore di Colacem: “Nel 2021 il Comune di Gubbio ha commissionato a due ricercatrici del Cnr e della Sapienza uno studio sulla “qualità dell’aria”, per la durata di un anno al costo di 170.000 Euro. Alla fine di maggio 2023 è stata presentata la relazione conclusiva. Il giudizio sulla qualità dell’ aria è limitato alla analisi di un solo componente inquinante: il particolato di 10 micron di diametro, o PM10. Perlopiù, lo studio non considera la raccomandazione UE del 26 ottobre 2022, che ha adottato le soglie stabilite dall’Oms (Organizzazione Mondiale ella Sanità) riducendo i limiti annuali delle PM10 da 20 mcg/mc a 15 mcg/mc anno. Nello studio non viene descritta alcuna valutazione di dati meteorologici e climatici, tantomeno si tiene conto della complessità orografica dell’area in questione, che certamente determinano la dispersione del particolato. Né sono nemmeno nominati i processi di combustione del comparto industriale, sebbene dal registro emissioni in atmosfera Umbria si ricava la presenza di metalli pesanti e IPA (Idrocarburi polciclici aromatici). Infine, nello studio si ripete l’incongruenza già riportata nel 2015 Arpa-Umbria, dove viene indicato che l’inquinamento dell’aria a Gubbio è provocato per l’87,6% dal riscaldamento domestico e solo per il 3,8% dalle attività produttive. Cio’ e’ assai poco plausibile, poiche’ dai dati regionali di allora risultava che gli NOx prodotti dal riscaldamento domestico erano 50 ton/anno, mentre quelli prodotti dalle attività produttive erano 2.626 ton/anno”, scrivono.
“Una delle autrici, la dottoressa Canepari (Silvia, ndr, scienziata che ha contribuito allo studio commissionato dal Comune di Gubbio), ha dichiarato che sarebbe utile misurare non solo le polveri PM10, bensì le piu’ piccole PM 2,5 e le nanoparticelle, e anche alcuni gas. Effettivamente, prima di dichiarare la salubritaà dell’aria sarebbe stato opportuno estndere le misure alle deposizioni accumulatesi a medio termine di altri composti tossici e cancerogeni, quali Diossine, PoliCloroBiFenili e metalli pesanti: tutte sostanze che, come dimostrato da numerose ricerche scientifiche, sono associate alla combustione di materiali derivati da scarti o rifiuti. L’ingegnere e la ricercatrice certamente conoscono il principio di precauzione, e sanno bene che l’assenza di una prova non costituisce una prova di assenza”, proseguono i firmatari della lettera.
Su Galatina
Nel documento sottoscritto da comitati e associazioni, anche il riferimento al cementificio salentino. “A Galatina, nel 2019, Protos uno studio coordinato dall’Istituto di fisiologia clinica del Cnr di Pisa e condotto dalla Asl di Lecce per indagare sui fattori di rischio per tumore polmonare in Salento - ha confermato l’esistenza di un cluster tra i 16 Comuni dell’area intorno al sito Colacem: qui è stato registrato un sensibile eccesso di incidenza per tumori polmonari rispetto ai casi attesi. Dalle analisi condotte nello studio Protos è emerso, tra i vari fattori di rischio indagati, quello legato alle esposizioni ad inquinanti emessi dalla Colacem (rischio significativo del 143% in più nella classe 4, ovvero a quella a maggiore esposizione a SO2 Colacem rispetto alla classe 1 di minore esposizione (Studio Protos, pag.21). Nel febbraio 2023 il Tar della Puglia ha pubblicato un rapporto commissionato a un gruppo di esperti per valutare l’idoneità delle misure atte a garantire la tutela ambientale e a prevenire i rischi che i cementifici causano alla salute. A proposito della salute il rapporto conclude: dall’area industriale di Galatina hanno un rischio significativamente più elevato di sviluppare un tumore polmonare rispetto agli abitanti della fascia con minore esposizione: in entrambi i sessi il Le mappe di dispersione di SO2 generato dalla ditta Colacem (...) hanno evidenziato che i residenti nella fascia (quartile) di maggiore esposizione ai livelli di SO2 utilizzato come tracciante di inquinanti emessi rischio di tumore è del 71% in più. Dove le istituzioni regionali si impegnano ad agevolare la raccolta di statistiche sulla salute, anziché limitarsi all’ analisi di qualche inquinante atmosferico, le correlazioni tra cause (le fonti di emissione) ed effetti (l’emergenza sanitaria) sono innegabili”, concludono.
Valentina Murrieri
(fonte: LeccePrima)