\\ Home Page : Articolo : Stampa
La Quaresima e la Pasqua dall’archivio della mia memoria (seconda parte di due) di P. Francesco D’Acquarica imc
Di P. Francesco D’Acquarica (del 09/03/2024 @ 11:29:47, in NohaBlog, linkato 602 volte)

Il quaresimale

Altra caratteristica della Quaresima del passato era quella di far tenere nella Chiesa un ciclo di prediche di 40 giorni da un sacerdote forestiero. Erano i tempi in cui non c’era la TV e neanche la radio e tanto meno i telefonini, perciò la gente era libera da ogni distrazione. Tutti, ogni sera andavano ad ascoltare il Padre Predicatore: era il “quaresimale”. Se qualcuno non partecipava era ritenuto quasi come un miscredente.

A Noha il Predicatore per la predica doveva salire sul pulpito per mezzo di una scala di legno. Non pensate ai moderni sistemi di amplificazione che consentono al sacerdote di essere udito chiaramente anche dall'altare come si usa oggi. Il pulpito di Noha era come una piattaforma di legno decorato, stile semplice, sopraelevato e appoggiato alla prima colonna dove oggi è ubicata la consolle dell’organo.

Noi ragazzini stavamo seduti sui gradini dell’altare, a volte vivaci e distratti, tanto da ricevere (giustamente) i richiami severi del predicatore.

La domenica prima delle Palme si chiamava "delle cruci cuperte”,  perché in questa domenica si coprivano le sacre immagini e le Croci per dare inizio alla settimana di Passione. Le croci e le immagini dei Santi venivano coperte con un drappo viola che era poi tolto il Sabato Santo quando cadeva “lu mantu o pannu”.

Ma prima c’era l’ultimo atto del quaresimale. Il predicatore (sempre un forestiero) doveva esibirsi con la “chiamata” della Madonna. Il Venerdì Santo, di sera, prima della processione, al momento culminante della sua perorazione sulla passione di Cristo, commosso fino alle lacrime, e con lui tutta l’assemblea, dall’alto del pulpito esclamava a gran voce: entra o Donna e prendi tuo Figlio! Era il momento di maggior pathos: la Madonna Addolorata, tutta vestita di nero, portata in spalla, entrava in chiesa annunciata da un suono lungo e lamentoso di una tromba, e condotta fin sotto il pulpito, dove il predicatore (io ne ricordo uno anche in lacrime) metteva sulle mani della Vergine il Crocifisso, invitando l’assemblea a unirsi alle sofferenze di Maria Addolorata e del Figlio morto.

Seguiva poi la processione del Venerdì Santo, molto suggestiva.  I Confratelli con la loro divisa (abito bianco legato ai fianchi con una fascia celeste, una mozzetta celeste, un medaglione sul petto con l’immagine della Madonna e un cappuccio bianco in testa) portavano la statua del Cristo morto e della Madonna Addolorata, mentre la banda suonava la marcia funebre. In quei giorni santi, protagonisti importanti e necessari erano i Confratelli della Congrega della Madonna delle Grazie.  A parte l’evento del giovedì santo con Cristo nel “sepolcro”  nella chiesa piccinna (oggi non esiste più), sede naturale della Congrega, veniva esposta la statua di Cristo morto con accanto la Madonna Addolorata. Lì si andava a far la visita al Cristo morto e da lì partiva la processione del Venerdì Santo, a sera inoltrata. L’organo e le campane restavano muti fino al mezzogiorno di Sabato Santo e i segnali liturgici venivano dati con la threnula o throzzula, una sorta di strumento di legno con un manico per tenerla saldamente in mano, con dei ferri fissati sul legno che si potevano muovere agitando decisamente quello strumento, per produrre il caratteristico suono sordo, triste e sgradevole. Per noi chierichetti era una gara percorrere con quell’arnese tutto il paese il giovedì e venerdì santo per segnalare il mezzogiorno o l’ora dell’Angelus.

La tradizione culinaria austera della Quaresima continuava con la “non festa” della thria cu li mugnuli, o della thria e ciciari, dal gusto delicato, il profumo piacevole e l’aspetto invitante. Era quello il tempo delle rustiche pignate, emblema della nostra tradizione, accompagnate dalle cicore 'ssettate, dalle rape 'nfucate e poi ancora dalle soffici e gustose frittate cu li cori de scarcioppule o cu li schiattuni de cicora o ancora con ricercati e preziosi asparagi selvatici.

 

L’Ufficio delle tenebre

La celebrazione della Settimana Santa aveva, e, tuttora ha momenti molto intensi e significativi.

Un momento speciale in quel tempo era l’Ufficio detto “delle tenebre”, un rito oggi abolito, che era parte integrante della liturgia. Si cominciava il Mercoledì santo per terminare il Venerdì santo.

Al centro del presbiterio veniva messo un particolare candeliere di forma triangolare, dotato di quindici candele, (oggi scomparso da tutte le chiese). Dopo ogni salmo veniva spenta una candela. All’ultima candela, alla fine dunque della preghiera, a un cenno del celebrante, i fedeli scuotevano le sedie o battevano la mano sui banchi causando un fragoroso rumore, con il quale si voleva descrivere lo sconvolgimento delle forze della natura seguito alla morte di Gesù.

La rubrica liturgica in latino ecclesiastico molto semplice diceva che finita oratione, fit fragor et strepitus aliquantulum, che tradotto vuol dire finita la preghiera si faccia un po’ di fragore e di strepito. Ma i ragazzi, in quell’occasione puntualissimi, tutti in chiesa, provvisti di pietre piuttosto vistose, rimanevano in attesa di quel segnale …  Tutta la liturgia e le preghiere di rito (rigorosamente in latino) probabilmente a loro non interessavano per niente.  Ma al momento tanto atteso la chiesa cadeva nel buio, e con molto zelo (era l’unico momento fortemente partecipato) i ragazzi con le pietre che avevano portato picchiavano sulle panche, sulle porte e sui confessionali lignei per evidenziare il fragore del dramma dell’arresto e della passione di Gesù.

 

Il Sabato Santo

La settimana santa finiva, come detto, a mezzogiorno del Sabato Santo. La chiesa era già preparata fin dalla sera del venerdì. Un grande drappo rosso (u mantu) che nascondeva tutto il presbiterio, era sistemato davanti all’altare.

La liturgia pasquale (la mattina del Sabato) iniziava con il celebrante nascosto da quel drappo (lu mantu) agli occhi dell’assemblea. Al momento del Gloria, cantato, in gregoriano e intonato dal celebrante, il manto cadeva, l’altare addobbato di fiori e di luci con la statua del Cristo Risorto appariva a tutti, dal fondo entrava la Madonna vestita di bianco e di celeste, l’organo e le campane riprendevano a suonare a festa,  mentre fuori dalla chiesa una “batteria” di fuochi artificiali aumentava il clima di gioia.

Ricordo con simpatia lu Ninettu che gestiva il Bar in piazza S.Michele che mi diceva: “Se nu ccade lu mantu e nu sparano i fochi ppe mie è come se Cristo non fosse risorto”.

 

Così si celebrava la Pasqua di Resurrezione ai miei tempi.

Nel pomeriggio io accompagnavo don Paolo (l’arciprete),  per la benedizione delle case che durava fino al giorno dopo, la domenica di Pasqua. Portavo il secchiello dell'acqua benedetta e il campanello o il paniere per le uova che la gente regalava al prete. Ricordo molto bene tutti quei soldini che le donne mettevano nel secchiello dell'acqua santa.

Per completare l’argomento culinario diciamo che tra una processione e una predica, la Pasqua arrivava ed esplodeva sulle tavole con un’abbondanza quasi impensabile. Dopo tanto patire si rivelava in tutta la sua bellezza la fresca primavera della Pasqua: l'aunu cu le padate, la fin troppo ricca sagna al forno, e poi finalmente i dolci, le fantasiose e tipiche cuddhrure, i mostaccioli e poi lei, la levigata e sublime pasta di mandorla nelle paste secche e nell’oltretutto artistico pecurieddhru.

Sicuramente l'attesa era lunga (40 giorni), ma ne valeva la pena.

P . Francesco D’Acquarica