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Ritrovate ossa umane nel frantoio ipogeo di Noha
Di Albino Campa (del 07/10/2011 @ 00:00:00, in NohaBlog, linkato 3313 volte)

Del frantoio ipogeo e dello Scjakuddhi vi avevo relazionato, ma quella mattina del 1 Ottobre 2011 oltre la presenza del mitico folletto, abbiamo scoperto ed individuato in questo luogo buio ed umido, alcune cose, che faranno ancora parlare e discutere. Intanto la situazione delle sciave, cioè le stive dove venivano conservate le olive momentaneamente prima della loro molitura, murate e rese come deposito dei reflui fognanti delle case sopra il frantoio, sfruttando il camino di ingresso posto all’esterno, dove si svuotavano i sacchi di juta pieni delle preziose olive. Poi abbiamo scoperto un passaggio scavato nella roccia, che porta ad est dell’abitato, chiuso male da un muro posticcio non legato da calcina. Dove porta ? fa parte di una via di fuga ? e poi le vasche intonacate delle cisterne poste proprio sotto il marciapiede accanto all’ingresso superiore del palazzo baronale. Le stalattiti che pendono dalla parete, la data incisa 1771, la mancanza delle vasche di macina, dei torchi, delle lampade ad olio di terracotta, delle ruote di pietra delle stesse macine, ci fa pensare che in passato qualcuno si è impossesato di questi materiali, che hanno un senso solo se posti nel luogo dove si trovavano. Poi cosa ancor più straordinaria dello scjakuddhi è il ritovamento di ossa umane, si, ossa umane, poste sotto un mucchietto di vasellame sminuzzato. In particolare l’osso sacro, di chi è ? Come è finito sotto il frantoio ? Era un uomo ? Oppure una donna ? sarà stato vittima del tremendo ” Trabocchetto ” in cui sparivano le persone indesiderate posto in essere in tutti i castelli ? Quale sarà stata la sua vita, da quanto tempo si trova lì, perchè ? il resto dello scheletro ? spero di potervi aggiornare e rispondere alle mille domande. Ma quel sabato le scoperte non finivano mai.

Con Marcello D’Acquarica ed Albino Campa sono entrato nel giardino del castello da una porta accanto alle conosciutissime ” casiceddhe ” forzata alcuni giorni prima dagli ambulanti della festa patronale di Noha. Ci siamo ritrovati immersi nel giardino, un agrumeto che insieme alle vasche, i resti di quello che era un fontanile, le colonne crollatre a terra del pergolato e la visibile ” Casa Rossa ” posta ormai fuori dal giardino con la costruzione della strada anni fa. Sicuramente questo ci fa pensare ad un cosidetto giardino di delizia, luogo del quiete vivere, dove si rilassavano i signori. A partire dagli inizi del 1700, vi fu una riorganizzazione dell’habitat rurale che si concretizzò nella realizzazione di aristocratiche residenze campestri usate dalla nobiltà per trascorrere lunghi periodi di villeggiatura, quindi ville, casine e casini caratterizzarono il paesaggio. Il fattore comune è l’esaltazione del giardino chiuso, interpretazione poetica del tipico giardino all’italiana, dove l’elemento naturale e l’elemento artistico si combinano per creare sorprendenti scenografie, pozzi monumentali, fantasiosi padiglioni con pergolati, raffinati sedili in pietra, riposanti ed accoglienti coffee-house, geometriche intersezioni di vialetti, dove comunque il pozzo è il monumento principale. Poi come attirati da una calamità ci siamo portati lì dove il ponte in pietra della torre trecentesca gira ad est. Questa torre di avvistamento posta su di un promontorio ed alta più di dieci metri controllava il pasaggio della cosidetta ” Via Reale ” che tagliava da est ad ovest dall’adriatico allo Ionio il territorio, mentre sempre a vista correva la strada Pietrina, che oggi sarebbe la vicinale di S. Vito, che incrociava la Via Reale proprio all’altezza del cippo dove una volta si trovava il masso di S. Pietro, oggi posto in chiesa madre a Galatina per volere del vescovo Gabriele Adarso de Santader nel 1665. Oggi a ricordare il luogo, dove la scritta latina racconta che ” Riposò le stanche membra l’apostolo Pietro ” vi è un edicola votiva malmessa. Ma torniamo alla torre, sicuramente un mastio ( maschio ) del vecchio castello nella parte inferiore di esso anche qui abbiamo scoperto un passaggio sotteraneo che collega la torre al palazzo baronale, ostruito da materiale edile, mattoni posti quasi a chiudere il passaggio. Insomma tante cose in una sola mattinata, le foto a corredo raccontano in parte quello che abbiamo osservato. Con questo mio scritto vorrei lanciare un appello alla conservazione dei beni culturali, affinchè anche le future generazioni possano godere di quello che abbiamo visto noi, che si interroghino sulla presenza del folletto nel frantoio ipogeo, che godano della vista della Trozza un pozzo antico che conserva ancora la scritta in latino ” Disseto e non mi esaurisco ” da un lato e la firma dell’impresa H C ( Horatio Congedo ) Orazio Congedo avvocato ed amministratore per più di trenta anni del vecchio ospedale di Galatina. Conserviamo e tramandiamo le nostre tradizioni ai posteri, facciamolo con amore.

Raimondo Rodia