Non vorrei urtare la suscettibilità del sindaco di Galatina e soprattutto dei suoi vassalli, assessori e valvassini, e senza tralasciare i selfie della gleba, se oso evidenziare due o tre cosette che m’appaiono di una certa rilevanza. Avverto però a mo’ di premessa che, salvo clamorosi accadimenti degni di minzione, ogni eventuale successiva fetta di Mellone 2024 proverà a discettare di ben altri temi magari più terra terra, provando a mantenersi pur sempre Vergine di servo encomio.
A proposito di terra, un cenno va all’erba voglio ai bordi delle strade e delle piazze comunali ribattezzata dai supporters ante-elezioni “erba non voglio”. Ebbene, mi permetto di far notare che in molti casi il prato inglese, tedesco e italiano (come nelle barzellette) adorna ancora imperterrito e rigoglioso cospicui lembi dello stradario urbano e inurbano nohano, probabilmente per concretizzare l’antico motto vernacolare che suona così: “Tienimi la samente [semenza] ”. Ora, in base al nuovo verbo incarnito scodellato nel classico comunicato stampa, l’erba incriminata verrebbe tagliata ogni mese e mezzo, e va bene. Ma a noi altri sarebbe bastato un pizzico di onestà in più se non politica perlomeno intellettuale espressa verosimilmente nei seguenti termini: << Cari Nohani, la lotta è impari, non riusciamo davvero a star dietro a tutto: l’erba non è un prodotto finito ma un processo continuo, e non si può vivere una vita intera con il decespugliatore spianato. Certamente noi faremo del nostro meglio, ma voi altri, e non vi sia per comando, dateci una mano, e cercate là dove possibile di fare la vostra parte per il decoro cittadino, tentando di mettere in pratica il celebre adagio secondo il quale se tutti pulissero davanti alla propria porta, il mondo intero sarebbe più pulito >>. Questo avrebbe oltretutto reso giustizia a chi, poveretto, durante la campagna elettorale ha battuto il marciapiede alla ricerca dei ciuffi di verdure ribelli un tempo definiti “erbacce” - oggi invece diventati oggetto di culto, sicché alla loro vista in tanti si scappellano ed esclamano in estasi: evviva la Maria!
La seconda cosetta è riferita al “restauro” (virgolette purtroppo ancora obbligatorie) della torre civica di Noha, e dunque dell’orologio e del relativo campanile tuttora infestato dai fantasmi (dal fantasma Formaggino a quello dell’Opera, tanto per rimanere nella fiction). Ne abbiamo scritto in altra occasione, evidenziando che 150 giorni di lavoro effettivo sarebbero stati un po’ pochini rispetto alla mole di attività da svolgere, ma temiamo di non essere stati compresi: colpa nostra evidentemente, mica dell’analfabetismo funzionale sparpagliato democraticamente qua e là, e/o della malafede concentrata nelle mani di pochi eletti. A questo si aggiunge la pigliata per fessi del cantiere e del relativo cartello più surreali al mondo: cartello probabilmente realizzato da Cattelan, quello delle tele avanguardiste, a fronte di un cantiere decisamente futurista con tutti gli operai rigorosamente in smart working diretti senza dubbio alcuno dall’intelligenza artificiale. Il suddetto manifesto, per chi si fosse perso la puntata precedente, indica la durata dei lavori nei famosi “150 giorni”, senza una data d’inizio fabbrica e men che meno una di fine. Sicuramente, come dicono gli esperti: “[…] sono quelli previsti al netto dei ritardi causati dalle valutazioni e dalle prescrizioni della sovrintendenza alle belle arti a cui il comune deve sottostare [sic: Uhahaha, ndr.]”. Sì, come no. Immagino lo indichi chiaro e tondo perfino il nuovo codice degli appalti pubblici: ‘Signori, i giorni di cantiere previsti dovranno rigorosamente somigliare a una variabile stocastica, tipo un gratta e vinci’. E ancora, continuando nella lettura delle solite anafore strappa-like: “Sarebbe utopistico sperare che ci si informasse sullo stato dell’iter procedurale nelle sedi opportune [sic]”. Ma infatti. Mica sono i rappresentanti o i delegati sindacali a dover spiegare a che punto sono gli “iter procedurali” (sarebbe utopistico e non vorremmo far “perdere il loro prezioso tempo”[sic]), è invece il cittadino curioso (e, diciamolo francamente, rompicoglioni) a dover fare l’accesso agli atti, inoltrare richieste formali e circostanziate a chi di dovere, e soprattutto presentarsi “nelle sedi opportune” per chiedere quando potrebbero terminare quei famigerati 150 giorni, atteso che oggi siamo già a ben oltre i 180 prendendo in considerazione la data di montaggio dell’”àndita”. La quale si spera sia a noleggio “a muzzo” e a tempo indeterminato, o al massimo con canone giornaliero legato ai soli giorni effettivi di azione, se no l’unico suono eventualmente possibile per le due campane della torre di Noha sarebbe quello a morto.
La terza e ultima cosetta riguarda l’affaire Ento-Sal (smaltimento rifiuti a km0 dalle prime case di Santa Barbara) scodellata dal nostro leader carismatico come una grande conquista della sua “compatta maggioranza” (veramente il voto in consiglio comunale è stato unanime, ma non attacchiamoci al pelo). Ebbene, posto che il molto probabile ricorso presso chissà quale tribunale da parte dei conquistadores di turno non invalidi la trionfale delibera, sarebbe stata vittoria vera da parte di tutti (e non una vittoria di pirla, pardon di Pirro) se ogni metro quadrato della superstite campagna galatinese - minacciato da devastazioni di ogni tipo, al cui confronto Ento-Sal sarebbe un’oasi del WWF degna di una copertina del National Geographic – venisse per cultura e per diritto considerata “zona agricola di massima salvaguardia”.
Altrimenti, come Ento-Sal sta per Sal-ento (basta leggere Ento-Sal al contrario, cioè da destra verso sinistra per gruppi di lettere), così tutta questa manfrina sarebbe una vera e propria (utilizzate, per sillabe e per singolo lemma, lo stesso metodo di lettura di prima) Sa-pre per il lo-cu.
Antonio Mellone