 Carissimo Lino,
Carissimo Lino,
non  buttarti giù in questo modo. Uno che scrive una lettera come la tua, tutt’altro  che “striminzita nel testo di esposizione”, e infarcita di lemmi ed espressioni  del tipo “malgrado non sia avvezzo”, “ [i testi] viscerali e sentiti”, “accezione  etimologica”, “il modus vivendi”, “il mio compiacimento”, e ancora “eufemismo”,  “PRAGMATISMO”, e mille altre amenità forbite e ricercate, è tutto men che  affetto da “scarsa cultura”. 
Che  gli strafalcioni, tuttavia, siano sempre in agguato è ben risaputo e possono  capitare a tutti: chi non scrive non incorre mai in errore, né di ortografia,  né di grammatica, né di sintassi, né di altro tipo. Al massimo si macchia del  peccato di omissione (che credo sia uno dei più gravi).
Se  ho segnato con il [sic] e successivamente  messo tra virgolette il tuo “soluzionare” è stato per evidenziare invece le tue  doti di neologista. Guarda che “soluzionare” non è poi così ripugnante, tanto  che l’ho utilizzato nel prosieguo del mio articoletto, pur sempre tra virgolette  (ma solo per questioni di copyright). 
“Soluzionare”  rende l’idea, e non è peggio di mille altri verbi che ormai s’utilizzano  correntemente, ma non sempre correttamente, come “implementare”,  “monitorizzare”, “taggare”, “scannerizzare”. Ma tant’è. 
Quanto  al mio “linoleum”, sì, è l’olio di lino, il quale con opportuni processi non  solo ossidativi, passando dallo stato liquido allo stato solido, diventa il  linoleum (di cui sono composti i pavimenti). Lino-oleum = linoleum, c’est plus facile, come per il Sanbittèr.
*   *   *
Ma  ora lasciamo perdere le questioni di lino lana caprina, per entrare nel merito  della tua epistola. Che in qualche tratto ha tutta l’aria di una excusatio non petita.
Ovviamente  qui non mi metterò a chiosare per filo e per segno ogni rigo della tua missiva  con il pericolo di non finirla più (e con il rischio che la testa mi caschi  sulla tastiera, ed un paio di attributi per terra), ma soprattutto perché,  prima di ogni nostra batracomiomachia, viene la battaglia per la messa in funzione  della vecchia scuola elementare di Noha, per la quale dovremmo essere tutti  uniti, evitando possibilmente di fare la fine dei capponi di Renzo Tramaglino,  mentre questi era diretto alla volta del dottor Azzeccagarbugli.
Tu,  caro Lino, sei vittima come me, e come molti altri nohani inconsapevoli, della  spesa pubblica di 1.300.000 euro effettuata per la ristrutturazione della  vecchia scuola elementare; spesa che finora non ha portato a nulla se non ad un  semilavorato inservibile. E forse non è chiaro nemmeno a noi quanto ci abbiano  preso in giro (non voglio credere per dolo, ma sicuramente per colpa, cioè per  negligenza, imperizia, superficialità, e soprattutto per sciatteria nei  confronti di Noha). Dunque io non sono contro di te, in questa lotta, ci mancherebbe  altro. Ma insieme a te vorrei trovare altri concittadini per fare fronte comune  (ovviamente discutendone, anche animatamente, come stiamo facendo noi).  
Mi  piacerebbe che su questo sito ci fossero altri interventi sul tema, pertinenti  e perfino impertinenti, per mantenere alta la tensione nei confronti di tecnici  e politici che dovrebbero mettere all’ordine del giorno, fino alla sua  soluzione definitiva, il problema di questa benedetta vecchia scuola elementare  di Noha. 
Sarebbe  ora che altri cittadini, degni di questo status, facessero le loro rimostranze  per il fatto che tecnici e politici si siano fatti vivi a Noha solo dopo tre  mesi e passa di suppliche, insistenze, video, inchieste, articoli e telefonate  in merito. Se ci fossimo rivolti a Benedetto XVI avremmo sicuramente ottenuto  udienza molto prima di quella gentilmente concessaci da questo stramaledetto  (sedicesimo) apparato burocratico.
Sarebbe  ora che i nohani si agitassero per il fatto che non ci abbiano ancora inviato  la lista degli arredamenti previsti per la struttura de quo, che ci avrebbero fatto avere “subito subito”, come da  promessa (da marinaio) fatta nel corso dell’ultima visita guidata nella  struttura. Sarebbe ora che anche gli altri concittadini alzassero la testa e si  interrogassero sul perché i nostri rappresentanti non si siano mai degnati di  farsi vivi  per iscritto. Ovviamente nemmeno  quelli di opposizione (che non si oppongono) hanno fatto capolino dal loro  rifugio segreto. Qualcuno m’ha pure riferito che se noi altri avessimo “presentato  domanda come previsto dalla legge”, sicuramente avremmo ottenuto risposta. Sì,  come no. Magari in carta da bollo. 
Converrai  con me, caro Lino Mariano, che quando tutte queste “autorità” cominceranno a  capire che la massima carica istituzionale è quella del cittadino sarà sempre  troppo tardi.
*   *   *
Congratulazioni  per il tuo curriculum professionale, per i titoli, i galloni, i pennacchi e le “gratificazioni  a non finire” ricevute dalla tua azienda. A saperlo prima ne avrei fatto  oggetto di uno degli articoli della rubrica “Curriculum Vitae” che tenevo sul  defunto Osservatore Nohano, del  quale, se non erro, eri uno dei nostri 25 affezionati lettori. 
Tu  hai scritto che hai fatto tutto questo senza chiedere niente a nessuno. Molto  bene. Ma perché considerare eroico quel che dovrebbe essere normale? Perché  vedere come straordinario quello che dovrebbe essere ordinario? Se uno ha  conquistato il suo posto di lavoro grazie alla sua bravura, o come si dice oggi  per “meritocrazia”, ha fatto semplicemente il suo dovere. Non vedo dove sia la  notizia. Così come non dovrebbe esser notizia il fatto che uno paghi le tasse,  rispetti la legge, non rubi, e rispetti l’ambiente. Insomma, se è vero che la  notizia non è il cane che morde l’uomo, semmai quella dell’uomo che morde il  cane, qui mi pare che ci troviamo nel caso topico in cui il cane che non abbia  morso proprio nessuno.
Continuando  a scorrere la tua lettera, leggo la seguente espressione: “Per quell’assunzione [in Fiat] non devo dire grazie a NESSUNO se non  (come tanti di Noha) a qualche membro della MIA FAMIGLIA”. E qui qualche  “domanda sorge spontanea” anche a me, della serie: cosa avrà mai voluto dire il  nostro Lino? 
Io  mi sono dato questa risposta. Questo qualcuno altri non potrà che essere il  padre, o la madre (che ricordo entrambi con affetto) o anche gli altri  famigliari, ed il grazie è soltanto per la vita, per l’educazione ricevuta, per  la scuola di formazione ai valori dell’onestà, dell’intraprendenza, della  voglia di lavorare, dello spirito di servizio, di abnegazione e di sacrificio.  Per questa roba e non per altra! Altre forme di “aiuto”, diverse da quelle testé  enunciate, non credo siano permesse. 
Io  penso che quel NESSUNO - che tu scrivi a caratteri cubitali - debba significare  nessuno, sic et simpliciter, nessuno  punto e basta, e non “nessuno tranne uno però famigliare”. Mi chiedo, nella mia  ingenuità: forse che chiedere “un aiutino” a qualcuno della propria famiglia  sia meno grave che chiederlo ad un estraneo? E dunque se mi raccomanda un  parente va bene, se invece dovesse essere un terzo, no? Ma che ragionamento è  codesto? Se fosse vero questo saremmo fermi ancora ai tempi del quarantennio di  monossido di democrazia cristiana. Ma non voglio proprio pensarlo. E certamente  avrò male interpretato le tue parole.
*   *   *
Tralascio  il discorso sul primo (e per fortuna ultimo) consiglio circoscrizionale di  Noha, che se non sbaglio aveva soltanto “poteri” di proposta. Chissà perché lo  avranno abolito. Non sarà stato forse perché considerato come l’ennesimo  organismo inutile per l’organizzazione del nostro comune? Probabile. E senza  dubbio meglio così se uno dei suoi membri migliori (figuriamoci gli altri)  ancora oggi è costretto ad utilizzare espressioni altamente “politiche” come la  seguente: “Chi avrebbe dovuto darmi una  mano per quanto gli ho dato, ha appoggiato altri e non me”.  
*   *   *
Ancora  onore a te ed alla tua onestà per aver rifiutato al “compianto amico preside e presidente di una sessione di esami di  maturità il conferimento di un diploma magistrale, che [ti] avrebbe sempre con  il suo aiuto (allora si poteva) [sic] fatto vincere il concorso per  l’insegnamento”. Hai fatto benissimo ad opporgli il gran rifiuto. Non so  come fosse possibile una cosa del genere (sempre se ho ben capito) e cioè il  regalo di un diploma. Se avessi accettato avresti fatto la figura del Trota (ma  di Trota basta e avanza l’originale).
Ma  anche in questo caso, non mi è chiaro quel tuo successivo inciso tra parentesi:  “allora si poteva”. Si poteva cosa? Ottenere una cattedra grazie  all’interessamento di un amico preside? Io non credo proprio che si potesse. Mi  rifiuto di crederlo. Penso che anche allora, come ora e come sempre, fosse  illegale, anzi di più, disonesto, un abuso, una vigliaccheria, un’ingiustizia  nei confronti di chi invece non poteva permettersi il lusso di qualche santo in  terra (più che in paradiso) e si trovasse, poveretto, a partecipare, ignaro di  tutte le magagne ordite contro di lui, in un rito di ipocrisia chiamato “concorso  pubblico”. Concorso di cosa? O forse che anche questo sarebbe “pragmatismo”? 
Invece,  a mio avviso, quel preside si sarebbe dovuto denunciare alla magistratura su  due piedi; senza se e senza ma, anche per il fatto di aver solo pensato al più  classico dei favoritismi (o clientelismi, o parassitismi, o altra tipologia di  ismi, che hanno ridotto il nostro Stato in un colabrodo).
E  bene hanno fatto i tuoi figli (amici che saluto tutti cordialmente) a non  chiedere aiuto a nessuno, e a farsi in quattro svolgendo ogni tipo di lavoro  (dopo la laurea mi misi anch’io a lavare bicchieri in un ristorante, quindi so  di cosa si parla), e sopportando la croce dell’emigrazione, che sovente per chi  parte e per chi resta è così pesante che chi è credente potrebbe trovarne una  di maggior gravezza soltanto in quella che portò il Cristo.
*   *   *
E  veniamo al pragmatismo, anzi al PRAGMATISMO, ripetuto come il ritornello di un  novello salmo responsoriale. 
In  cosa consisterebbe questo pragmatismo? Nell’incensare con il turibolo sindaco,  giunta e tutto il cucuzzaro (pur  senza aspettarsi nulla in cambio in quanto mai fatto, anzi mai “unto e leccato nessuno in passato, anche  quando ce ne sarebbe stato il bisogno”)? Ed in cosa sarebbe “cambiato  sensibilmente questo vento”? Nel fatto che questi nuovi rappresentanti siano  meno peggio degli altri (e cioè che l’indecenza di quegli altri toccasse  livelli così elevati da risultare fuori concorso)?
Caro  Lino, io credo che pragmatismo sia attendere i risultati prima di cantar  vittoria e non lodare e ringraziare ogni momento i compagni di partito a priori  e a prescindere. Credo significhi stare con i piedi per terra (per esempio con  10 kwh non penso proprio che potrà entrare in funzione l’impianto di  condizionamento dell’aria - se mai si dovesse ottenere questo allacciamento per  gentile concessione o per grazia ricevuta), e non assumere, come mi pare  abbiano fatto i nostri ingegneri, l’atteggiamento tipico dei praticoni e degli  affaristi.
Pragmatismo  è non accontentarsi delle stupidaggini che ci raccontano dalla mattina alla  sera, ma pretendere quanto meno il rispetto della parola data. E se si fosse  davvero pragmatici non ci si esalterebbe per il vuoto pneumatico (qui infatti  non si vedono “né ove né caddhrine”, manco con il binocolo), ma si  richiederebbe a tutti il minimo esistenziale di serietà, e soprattutto il  rispetto dei progetti (costati un sacco di soldi alla collettività).
Infine  pragmatismo non è chiudere gli occhi di fronte alle responsabilità, non è far  finta di nulla, non è “chi ha avuto avuto  chi ha dato ha dato scurdammoce ‘o passato simmo ‘è Nove paisà”. E’  pragmatismo, invece, e per di più scientifico, evidenziare la storia e i fatti,  e far capire alle persone (quelle che vogliono capire, per gli altri invece “è   inutile ca li fischi”), chi ha fatto chi, e dove, e come, e quando,  e perché si sarebbe potuto fare e non s’è fatto, e non invece far finta di  nulla, mettere la testa sotto la sabbia come gli struzzi (qui una z potrebbe  essere sostituita con una n), e ripetere a pappagallo “u fattu è fattu e l’arciprevate è mortu”. Altro che dietrologia.  Questa è “avantilogia”, e le cose migliorerebbero infinitamente se si riuscisse  a bilanciare il sapere ed il credere (oggi, per comodità, molto  sbilanciato, anzi assolutamente squilibrato a favore del secondo). 
Con  questa storia “del fatto è fatto” non si sa più chi debba rispondere delle  proprie azioni o inazioni, sicché a pagare rimane il solito Pantalone.
Il  “fatto è fatto e l’arciprevate è mortu”  rievoca molto l’istituto giuridico della prescrizione. Quella prescrizione che  ha ammazzato tanti processi, e che ha fatto cantare vittoria a tanti  personaggi, uno meglio dell’altro, a partire da Giulio Andreotti (colpevole per  concorso esterno in associazione mafiosa, ma non condannato per intervenuta  prescrizione), per finire al piccolo cesare  arcoriano (il minuscolo non è casuale) per una serie di altri reati, che non  sto qui ad elencare. Certo, noi non siamo giudici, ma cittadini. Ed in quanto  tali abbiamo il diritto-dovere di sapere, conoscere, intendere e volere. 
Ah  dimenticavo: anche nei famosi condoni (fiscali, edilizi, tombali, ecc.) è come  se venisse recitato con salmodiante ottusità “il preziosissimo proverbio”: u fattu è fattu e l’arciprevate è mortu.  Vogliamo accodarci anche noi a codesto coro belante, sapientemente sfruttato  dai paraculi di professione?       
*   *   *
Caro  Lino, scusami se non mi dilungo oltre su questi e su altri interessanti punti  della tua letterina, ma rischierei di non finirla più.
Sono  certo che continuerai anche tu, insieme a me (ormai non puoi più tirarti  indietro) a lottare per l’apertura di quel nuovo centro sociale nohano, che ci  auguriamo avvenga nel migliore dei modi, senza ripieghi, espedienti e rimedi  abborracciati di secondo ordine (il famoso “uovo oggi”, che quasi sempre è  anticamera della “gallina mai”).
Vedrai  che alla fine, magari ad obiettivi raggiunti, festeggeremo insieme. E vedrai  anche che in quell’occasione anche io mi esibirò in lunghi e sperticati elogi,  plausi, complimenti, e lustrate nei confronti dei nostri preparatissimi amministratori  e tecnici. Naturalmente con un’abbondante dose di olio di lino (o linoleum, c’est plus facile).
Con  altrettanta simpatia, e anch’io ovviamente senza rancore,
Antonio Mellone