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Punti di vista a proposito del testamento biologico
Di Marcello D'Acquarica (del 11/02/2012 @ 12:00:09, in NohaBlog, linkato 2367 volte)

Da un articolo pubblicato su La Repubblica, n.770, 13 Dicembre 2011.

 

La santa alleanza tra scienza e fede

Scrive Husserl: "Occorre qui illustrare ed evitare gli errori seducenti in cui sono caduti Cartesio e i suoi successori"

Penso che la legge italiana contro il testamento biologico, voluta e sostenuta dal clero cattolico, sia incoerente con la dottrina cattolica che la ispira, perché con questa legge i cattolici riconoscono al corpo il diritto di continuare a "funzionare" anche oltre il limite della naturale capacità di sopravvivenza, mentre invece negano proprio a quella che chiamano "anima", essenza suprema di ogni individuo, qualsiasi diritto a esprimersi. Parlo della legge che di fatto nega alla persona il diritto di decidere se e fino a che punto far dipendere la continuazione della propria sopravvivenza organica da macchine e terapie, una volta giunta per malattia o vecchiaia la fine naturale della propria esistenza. Diritto trasferito a degli estranei, i membri della classe medica, ai quali si attribuisce il potere di imporre qualsiasi trattamento messo a punto dalla tecnica (idratazione e alimentazione artificiale, ma non solo) a chiunque, pur di garantire al corpo la continuazione dei ritmi biologici che essi chiamano vita. Ecco il paradosso. I cattolici, che esaltano il valore supremo dell'anima assegnando ad essa il diritto di determinare la propria condotta, anche quando si commette un peccato, nel caso del testamento biologico riconoscono al corpo (anche se irreversibilmente privo di coscienza e ridotto a puro e semplice organismo vivente, in quanto tale non dissimile da quello di una rana o di un cammello) più diritti rispetto all'anima, unica dote che ci rende superiori a tutte le altre creature e vicini a Dio. In questo modo i sacerdoti della religione si alleano con i sacerdoti della tecnica per negare all'anima il suo diritto di esprimersi. Ho sempre rispettato coloro che credono in Dio e mi sarei aspettato che anch'essi rispettassero me e le mie convinzioni.

Giorgio Origlia ori.go@libero.it
Risponde Umberto Galimberti
 

Contrariamente a quanto alcuni potrebbero credere, non ho mai ritenuto che tra scienza e fede esista un vero e proprio conflitto. Al contrario ho sempre pensato che esista una santa alleanza a partire dal Seicento, quando Cartesio, inaugurando il metodo scientifico, ha ridotto il "corpo" a "organismo", a pura sommatoria di organi. Questa riduzione, che è essenziale per consentire alla scienza di poter conoscere e di conseguenza operare, travisa il senso del corpo perché , giusto per fare un esempio, il mio occhio che vede il mondo e risponde ai suoi stimoli è "corpo", mentre l'occhio, quando è visitato dall'oculista, non ha più alcun rapporto col mondo, perché, ridotto a oggetto ispezionato come si ispeziona qualsiasi oggetto, non è più "corpo", ma "organo". La riduzione scientifica del corpo a organismo ha fatto sì che tutti quei mali che non si riuscivano a spiegare a livello organico furono rubricati in una scienza allora nominata del "morbus sine materia", malattia senza riscontro organico, che solo in seguito fu chiamata "psichiatria" che letteralmente significa "cura dell'anima". Ma non solo la psichiatria nacque dallo spazio lasciato libero dalla riduzione del corpo a organismo. Anche la religione ne trasse vantaggio, perché di sua completa competenza divenne tutto ciò che era irriducibile all'organismo, e quindi l'anima, lo spirito e persino l'etica che stabilisce le colpe partire dall'intenzione interiore con cui si compie un'azione, e infine il diritto che, a partire dall'intenzionalità, distingue il reato in intenzionale, preterintenzionale, non intenzionale. In questo modo, a partire dallo spazio lasciato libero dalla scienza, la religione ha potuto dar vita a un'etica dall'interiorità e persino a una giurisprudenza che, al pari dell'etica, prendeva le mosse dall'interiorità dell'anima dove, come dice Sant'Agostino, "habitat Deus, habitat Christus, habitat veritas". Resta a questo punto la contraddizione da lei rilevata a proposito dell'impostazione religiosa che assegna all'anima il primato sul corpo, e poi, di fronte a un organismo senz'anima perché privo di coscienza, assegna a detto organismo il dovere di continuare, con l'aiuto della tecnica, il suo funzionamento biologico, riducendo così la vita alla pura animazione della materia, e subordinando le sorti dell'anima alle condizioni di un organismo i cui ritmi biologici sono garantiti solo dalla tecnica. Quella stessa tecnica che dalla Chiesa è fortemente limitata o addirittura messa al bando (come nel caso della fecondazione eterologa) quando non si è in grado di generare per via naturale. Se questa è coerenza...

 

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