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Di Albino Campa (del 12/03/2008 @ 23:36:13, in Eventi, linkato 4470 volte)

Dall’alto di un traìno
un giorno nella città dei cavalli

di Valeria Nicoletti

Non parte chi parte. Parte chi resta. Sembra recare con sé questo sussurro la tramontana che accarezza le case infarinate di Noha e solletica i pini e gli aranci. In realtà, è un nohano, puro fino al midollo, a ribadire questo singolare assioma. Antonio Mellone, che tornando in terra natia solo il sabato e la domenica, si riscopre sempre più legato alle strade ariose e alle piazzette assolate della sua Noha. E, per un giorno, con l’entusiasmo di chi è partito lasciando un pezzo di cuore nel suo paese, diventa guida insostituibile per le vie nohane.
Nessun treno arriva a Noha. Tappa obbligatoria è la vicina Galatina, la città “che ci ha inglobati e, soprattutto, dalla quale ci siamo fatti inglobare”, dice Antonio con tono amaro. Bastano poche centinaia di metri, infatti, e ci si lascia alle spalle la città per giungere nella piazza di Noha, frazione dal 1811. Piazza San Michele, cuore pulsante del paese, con il bar Settebello, la chiesa, la Torre dell’Orologio che, forse per un inconsapevole rispetto ai ritmi lenti di Noha, non sfoglia le ore ma si limita a dominare la piazzetta, e poi le voci, le notizie, i cappelli abbassati su volti rugosi immobili sotto il sole, e, proprio dietro l’angolo, lo studio d’arte di Paola Rizzo, pittrice e insegnante. Qui il profumo dei pasticciotti caldi, l’aroma del caffè, la sigla de “L’osservatore nohano”, gazzettino della frazione, ma soprattutto il sapore della genuinità e la sete di cose vere, sono solo l’inizio di una mattinata tutta nohana, all’insegna del suo spirito autentico, in questa che ormai, nonostante il disinteresse dell’amministrazione locale, inizia ad essere conosciuta come la “Città dei Cavalli”.
Proprio dalla bottega d’arte di Paola, infatti, redazione e fucina di idee, nacque l’idea di aggiungere sul cartello alla scritta Noha il degno sottotitolo di Città dei Cavalli, trovata che, nonostante il pieno consenso dei nohani, è andata ad ingrossare la pila di scartoffie impolverate su chissà quale scrivania.
Ma a dispetto della burocrazia la definizione ha iniziato a circolare, di voce in voce, di articolo in articolo, varcando i confini angusti della provincia. Così Noha per due volte all’anno si trasforma nell’ombelico del mondo per chi ama i cavalli. A settembre, durante i festeggiamenti della Madonna delle Grazie, e il giorno del Lunedì dell’Angelo, i prati fioriti che incorniciano il piccolo centro diventano il campo, di gioco e di battaglia, per decine e decine di eleganti destrieri, robusti cavalli da tiro e tenerissimi pony. Tutte le cavalcature dei dintorni si danno appuntamento nella frazione per celebrare una ricorrenza che, se non ancora nella storia, è entrata ormai di diritto nella tradizione pugliese. Sotto gli occhi incuriositi dei viandanti e degli stessi abitanti di Noha, cavalli di ogni razza e colore, addobbati con bardature preziose e ridondanti al limite del barocco, trottano e si sfidano nelle prove di forza, in una manifestazione dagli echi spagnoli ma dall’anima tutta salentina, dove lo spirito di competizione non riesce mai a vincere sulla voglia di stare insieme e passare una pasquetta lontana dai nevrotici imbottigliamenti e diversa dalle solite gite fuori porta.
Ma non è solo in virtù delle due tradizionali fiere che Noha merita l’epiteto di patria del cavallo. Di fronte al bar Settebello, ogni domenica, i tanti “cavallari” di Noha si danno appuntamento per un caffè e una passeggiata per le vie e i prati nohani, e, se una domenica di fronte al bar centrale, ci capita uno straniero, ti spiegano che i cavalli loro ce l’hanno nel sangue e non esitano a trascinarti sul calesse e a mostrarti una Noha che, dall’alto di un traino, appare diversa anche a chi da qui non è mai partito.
È così che, aggrappati a una mano forte e sicura e finalmente saliti sul traìno, si parte per un singolare giro, lungo le strade larghe, dove si respira un silenzio interrotto solo dagli zoccoli dei cavalli e da un continuo salutarsi, costume usuale in un paesino di circa 3.800 anime dove tutti si conoscono. Fischi e risate cadono dai balconi dove la gente è affacciata per godere del primo sole invernale e timidi cenni fanno la loro comparsa dietro le persiane. Pochi pedoni, rare biciclette, troppe macchine per un paesino dove a piedi si raggiunge il capo opposto, ma i nohani sembrano essere pigri. Pigri sì, ma, in compenso, di un’allegria contagiosissima mentre da ogni macchina si sbracciano per salutare e c’è anche chi tira il freno in mezzo alla carreggiata per scambiare quattro chiacchiere.
Fermi, all’incrocio principale, sul calesse dondolante, guardando verso la strada che porta verso Galatina, si vede già, a pochi chilometri di distanza, il profilo dell’imponente e scomoda vicina, la dirimpettaia la cui presenza ingombrante si avverte quotidianamente, a partire dalla mancanza di un comune, di un’amministrazione tutta nohana, disposti ad ascoltare più che a finanziare. Tra il comune madre e la frazione, forse per una natura conflittuale congenita ai rapporti gerarchici, infatti, non corre buon sangue.
Con Aradeo, invece, l’altra vicina, i rapporti sembrano diversi, migliori, forse perché la placidità degli aradeini, che scorrazzano in sella alle biciclette, rispecchia la mentalità nohana, una mentalità essenzialmente rurale, che ripone nella frugalità e nella semplicità il segreto di una vita serena che basta a se stessa. “Noi il turismo non lo vogliamo”, spiega Antonio, “ci piace trovare parcheggio quando torniamo a casa, ci piace la calma, l’aria pulita, le quattro chiacchiere tra di noi”. Ma questo voler preservare un clima terso e mite, pur segnato dalle piccole baruffe di paesino, non si traduce in una chiusura rigida e totale verso l’esterno ma, anzi, in una larghezza di orizzonti talmente rara da non essere sempre compresa.
Sì, perché i nohani non fanno dei loro piccoli tesori uno specchietto per allodole, esche per turisti assetati di folclore e, dalle pagine dell’Osservatore, i solerti redattori non mancano di tuonare contro chi arriva a Noha con la pretesa di trovare una cittadina turistica. Riuniti ogni sabato pomeriggio nello studio di Paola, all’ombra degli ulivi nodosi che ammiccano dai suoi quadri, Marco, Antonella e gli altri, capitanati dal direttor Mellone, seduti sui divanetti del laboratorio danno forma a sogni di pennelli e idee di carta, alla ricerca di quella Noha ancora da esplorare, e da far riscoprire, soprattutto agli stessi nohani.
Arrivati al crocevia principale, i cavalli non sono ancora stanchi, i campanelli ritornano a tintinnare e il giro continua per la strada adiacente alla piazza dove, solo in compagnia di un nohano che ti invita ad alzare lo sguardo, si scorgono tre casette misteriose appollaiate sull’alto bordo del muro del vecchio palazzo baronale. Sull’origine delle tre lillipuziane costruzioni, ricche di particolari dettagliatissimi ma che non riproducono nulla di questo paese, ancora si discute. Come su ogni creatura dell’ignoto, anche sulle tre casette di Noha circolano favole e leggende. Come quella di “Sciacuddhri”, l’anima bella di un bambino che si dice le abbia abitate. Non è una leggenda, invece, l’indifferenza che le ha colpite, scardinando il campanile di una delle tre, che giace riverso nella parte interna della piccola costruzione. Un danno invisibile agli occhi dei più, ma evidentissimo per chi, proprio per non coprire quel campanile, ha meticolosamente potato le cime dei pini che ne impedivano la vista. Ma insieme ai rami dei pini, cresce anche l’abitudine a non alzare più lo sguardo, a non guardare più in là del proprio naso, e questo solo perché tanto “a Noha stamu”, frase tanto ordinaria quanto odiata da chi, proprio della piccola straordinarietà di Noha, vuole fare tesoro e sottrarla al menefreghismo, anche di chi, in virtù di una dissennata discendenza, si ritrova in possesso di gioielli che sempre più raramente possono brillare per tutti.
È il caso dell’altrettanto misteriosa Casa Rossa, una costruzione a ridosso della strada che porta a Galatina, alle spalle del vecchio (e dismesso) stabilimento del celebre brandy Galluccio. La strana casupola è circondata da un meraviglioso giardino selvatico, dove svettano le zagare, i boccioli di rosa insieme ai più comuni “zangoni” e, tra i cespugli di bacche e gli alberi di arance, strisciano lucertole curiose. All’interno, le pareti ondulate, quasi spugnose, di pietra rossastra, le volte concave, morbide, costellate di dune e rientranze, danno alla casa un senso di effimero e di fresco, le porte a scomparsa, i vetri colorati - o quello che ne resta - le finestre a oblò, i caminetti dai contorni imprecisi alimentano questo gioco di vuoti e pieni ma anche le voci e le leggende che vogliono questa casa infestata dalle streghe o, maliziosamente, vecchia casa di tolleranza. La Casa Rossa è proprietà privata, ma, nei giorni propizi, il suo cancello si schiude. Ciò non accade invece con la recinzione in muratura che vieta a chiunque l’ingresso nel profumato aranceto che avvolge l’antica torre medioevale. Infatti, a guardia della bellissima torre, con il ponte levatoio dove prima si facevano transitare i cavalli, con l’arco a sesto acuto e gli aranci tondi e pieni che ti strizzano l’occhio dal muro di cinta, brillano minacciosi e appuntiti i cocci di bottiglia da un lato, mentre dall’altro il filo spinato incupisce lo sguardo e il paesaggio, sgraziato avvertimento a chiunque non si accontenti di ammirare solo attraverso un provvidenziale foro nel muro di cinta, questo tesoro costantemente sotto chiave.
Vetri taglienti e filo spinato, però, non fanno parte della natura allegra e accogliente dei nohani, ben contenti di mostrare quello che pochi conoscono del loro paese e soprattutto di rivelare il proprio atavico amore verso i cavalli, dando vita ad una piccola Città dei Cavalli anzitempo. La piazza, solo per gli occhi di pochi forestieri, s’improvvisa teatro di una festa di cavalli bardati e calessi dipinti a mano, un brulicare di speroni, voci, nitriti, code intrecciate che si agitano e crini solleticati dal vento, con il beneplacito di San Michele, patrono di Noha, che dall’alto del cielo, dalle due statue conservate nella chiesa e dalle edicole affrescate ai crocicchi delle vie, sorride e si compiace della natura dei suoi protetti, così inclini alla convivialità e sempre pronti a fare festa. A spasso sul traino, con Totò, Peppino, Emanuele, Igor, Rubino, lo splendido Kibli e gli altri cavalli, tutti disciplinati che si lasciano tentare dai grandi spazi, solo arrivati presso gli sterminati prati in fiore, si schiude piano un mondo sparito, che sonnecchia sotto il sole caldo sui tetti bianchi delle case mentre dalle finestre appena socchiuse si diffonde il profumo di cose buone. È quasi mezzogiorno, infatti, l’ora di pranzo qui. I carretti, però, trottano ancora, lungo la piccola Noha sempre diversa e che, dall’alto di un calesse, sembra davvero infinita.

(fonte http://www.quisalento.it/pagine/luoghi68.html)

(clicca qui per vedere la PhotoGallery)

 
Di Marcello D'Acquarica (del 17/09/2014 @ 23:21:24, in I Beni Culturali, linkato 3617 volte)

Il confronto o paragone è il metodo più diffuso per valutare un bene o un valore. Non è raro sentir dire, anche da assessori o personaggi di spicco nostrani, che Noha è parte integrante di Galatina.

Sostenere che Noha è di fatto parte sostanziale di Galatina ci fa piacere e ci porta immediatamente a farne un confronto positivo, dato anche il fatto che Galatina è ormai nota come ai più (forse meno ai galatinesi) come città d’arte. Peccato però che lo si dica soltanto quando non se ne può fare a meno (e soprattutto senza pensarlo).

Io sono il primo a dire che ci sono problemi ben più gravi che vanno affrontati con urgenza, come quello dell’inquinamento della terra e dell’aria e di conseguenza dei cibi che mangiamo, quello del consumo del territorio, della disoccupazione, delle piste ciclabili senza biciclette, delle scuole (incluse quelle senza cabina elettrica), eccetera, eccetera. Ma è ovvio che tutto nasce dalla nostra capacità di fare proprio il pensiero dell’aver cura del territorio in cui viviamo. Se capiamo l’importanza di questo il resto viene da sé.

Adesso passiamo alla sostanza, e cioè alle cosiddette "casiceddhre" di Cosimo Mariano, mastro costruttore di Noha, (Nato a Noha nel 1882 e morto a Galatina nel 1924 - cfr. anche L'Osservatore Nohano, n. 6, anno II, 9 Settembre 2008).

Da quel che si vocifera in giro, pare che lo stabile "case di Corte" su cui sono state costruite le nostre casette, sia passato ad altra proprietà, diversa dalla società immobiliare della famiglia Galluccio, ultima erede di una nobiltà deposta dall'abolizione della feudalità effettuata dai napoleonidi nel 1806. Oggi non ci è dato di conoscere il destino delle casette, ma è evidente che presto l'intero fabbricato diventerà un mucchio di macerie. Basta osservare le crepe delle mura laterali prospicienti la strada (vedi foto e confronta).

Inoltre non ci vuole molto a capire che in soli sei anni (2008 - 2014) il degrado è cresciuto e molti pezzi dell’artistico manufatto sono letteralmente scomparsi.

Vi ricordo che è ancora aperta la raccolta delle firme on-line per l'intervento FAI (Fondo Ambiente Italiano). La raccolta delle firme si può anche effettuare presso alcune attività commerciali di Noha. 

Ora vorremmo chiedere alla “nuova” proprietà cosa avrebbe intenzione di fare, e soprattutto se ha a cuore un pezzo dell’identità, della storia e della cultura nohana, ovvero se le casiceddhre con il passaggio di proprietà sono semplicemente transitate dalla padella alla brace

Marcello D’Acquarica
 
Di Fabrizio Vincenti (del 26/03/2014 @ 22:55:00, in NohaBlog, linkato 3168 volte)

In quest’epoca, che molti definiscono tecnologica, sempre più persone, tra cui io che scrivo, vivono un rapporto platonico con il proprio paese natio, costrette a un allontanamento forzato provocato dalla disoccupazione. Nei rapporti a distanza, si sa, è difficile cogliere ogni aspetto sentimentale della storia, eppure ogni emozione suscitata da questa relazione trasmette un’eco d’indicibile acutezza. Non saprei come definire il mio sentimento per Noha se non con l’ “Odi et amo” catulliano: è l’unico epigramma che si addice alla perfezione alla mia storia e, penso, a quella di molti altri obbligatoriamente esiliati come me. Quando leggo tutto ciò che scrivono quei “geni ribelli” nohani, mi sembra di ripassare la storia di Giona che visse tre giorni nella pancia di una balena. Ogni alta marea, sulle sponde di Noha viene risputato un profeta comandato di convertire Ninive dalla sua condotta ma, a quanto pare, viene rigettato in mare insieme alle sue profezie. Visto che c’è qualcuno che le allegorie non le sopporta, come capita spesso a me, vuotiamo il sacco.

Se dovessi chiedere al signor sindaco, in una piazza pubblica di Noha, cosa ha fatto lui e la sua amministrazione per il nostro paese, che non mi venisse detto  che si è partecipato a qualche processione in onore di qualche santo (è qualcosa che non rende se non alla propria coscienza e al Signore Iddio). Non mi venisse detto che è stato creato un solo posto di lavoro per qualche giovincello in cerca di occupazione. Non mi venisse detto che il centro polivalente è sorto per far fronte ai tanti bisogni dei cittadini. Non mi venisse detto che si è avuto un certo riguardo per i beni artistici e architettonici, né tantomeno per il patrimonio naturalistico. Non mi venisse detto che si è salvaguardata la salute dei cittadini né il loro sacrosanto diritto alla felicità. Non mi venisse detto neanche che è stato fatto un piano di tutto questo per il prossimo avvenire, perché nel mare delle parole si annega facilmente. Insomma, signore sindaco e signori assessori, chi sta facendo cosa per Noha? Ve lo chiedo perché, legalmente e soprattutto moralmente, un amministratore dovrebbe rendere conto del suo operato ai vari azionisti. E Noha di azionisti ne ha quasi quattromila. Fosse veramente una società per azioni la nostra, non si conterebbero gli anni di allontanamento forzato che v’infliggerebbe una qualche sorte di giustizia per il vostro operato. E non mi si venisse a dire neppure che non ci sono risorse a disposizione. Michelangelo, per dipingere la volta della Cappella Sistina, ha impiegato due anni e del colore. Voi non siete dei Michelangelo, ma di anni ne sono passati a decine, e non siete stati in grado neanche di fare uno schizzo tipico degli anni della pubertà. E non mi si venisse neppure a dire che non ci sono idee, altrimenti è come se vi stesse dando la zappa sui piedi: la mancanza di buone idee da realizzare esclude aprioristicamente l’atto di impegnarsi in un’amministrazione della cosa pubblica. E poi, se siete a corto d’idee e di soluzioni su come trovare risorse, conosco qualcuno che è in grado di darvi dei suggerimenti. A questo punto, solitamente, si attacca con gli esempi.

In Germania è stato ritrovato un elmo di età romanica e ci hanno costruito su un museo e tutt'intorno delle strutture turistiche. Tutto per vedere un pezzo di armatura, e il biglietto costa anche caro! A Noha c’è un frantoio ipogeo murato volontariamente e chiuso al pubblico, una piccola torre storica in rovina, casette in miniatura, la cosiddetta “casa rossa” e tutto il resto che già sapete. E non solo non si paga il biglietto, non ci portano neanche nessuno per poterle visitare. Volete creare due/tre posti di lavoro? Assumete qualche ragazzo preparato appositamente per fare da guida nella stupenda Basilica di Santa Catarina, in Galatina. Pensate: arrivano i turisti che non solo non pagano il biglietto, ma non trovano neanche una buona anima messa lì appositamente per spiegare quello che stanno ammirando a bocca aperta. Stabilite un giro turistico con un bus e guida a seguito che sia capace di portare sul posto i tanti turisti che ogni anno scelgono il Salento come meta per le vacanze. Ora siete pronti per lo sparo del cannone? A Otranto, nella Cattedrale, c’è uno dei mosaici pavimentali più grande d’Italia. Pensate che una sua figura è stata scelta come immagine simbolo dell’Italia all’EXPO 2015. La notizia non è questa ma è che il turista che va a Otranto ad ammirare il mosaico dell’albero della vita, non trova una guida in loco capace di spiegarglielo. E la seconda notizia, invece, è che la diocesi di Otranto considera uno spreco assumere un giovane come guida turistica per la cattedrale e i suoi tesori. Avete capito bene! A Noha, come a Galatina e come a Otranto, ciò che potenzialmente è una risorsa non è considerato affatto come una ricchezza. Credo che basti questa dimostrazione a giustificare la mia considerazione: siamo amministrati da incompetenti. Solitamente per misurare l’oro si usano dei pesi specifici e ben calibrati. Ciò che vedo, invece, è una folla capeggiata da un sindaco munito di stadera che, non solo non sa cos’è quella cosa che si ritrova in mano, ma è evidentemente anche all’oscuro di come essa si usi.

Fabrizio Vincenti
 
Di Albino Campa (del 20/11/2011 @ 22:10:11, in Racconti, linkato 4487 volte)

I bambini entrarono nella stanza cercando di far meno rumore possibile. Sapevano di trovare la nonna come al solito seduta su una vecchia sedia dietro l’uscio, addormentata in posizione così precaria che chiunque sarebbe caduto al suo posto, ma non lei. Con le spalle avvolte da una copertina di lana che lei stessa aveva fatto lavorando ai ferri e con una borsa d’acqua calda sulle gambe, la nonna sentì i due bambini che si avvicinavano di soppiatto ma non aprì gli occhi, continuando a far finta di dormire. Solo quando il più piccolo dei due, accovacciato ai suoi piedi, iniziò a giocare con i pendagli della copertina finse di svegliarsi quasi di soprassalto – “Ehi voi due che ci fate qui? Mi avete fatto prendere uno spavento, pensavo fossero i ladri”.
I due bambini iniziarono a ridere, contenti di aver fatto una sorpresa alla loro nonnina.

“Nonna, nonna … ci racconti una favola?” dissero quasi all’unisono. La nonna sapeva che ai nipotini piacevano le sue storielle e a lei piaceva raccontarle – “E quale favola volete che vi racconti?”.
“Quella del piccolo principe … si, quella del piccolo principe” -  “Dai nonna, … dai nonna!”.
“Va bene” disse la nonna, “ma prendete due sedie e alzatevi da terra, altrimenti se vi raffreddate chi sente vostra madre!”
I due nipotini presero due vecchie sedie impagliate e si sedettero quanto più vicino possibile alla nonna pronti ad ascoltare la storia.

C’era una volta un piccolo principe che viveva nell’antico Castello di Noha. Purtroppo il piccolo era nato affetto da una rara malattia che gli impediva di uscire dalla sua stanza, e a nulla erano valse le tante cure e visite di dottori provenienti da tutto il mondo. Purtroppo niente e nessuno era riuscito a guarirlo. Nonostante questa grave limitazione e l’impossibilità di uscire all’aperto a giocare come gli altri bambini, il piccolo principe cercava di non annoiarsi e di divertirsi con i tanti giochi con i quali i suoi genitori  riempivano la sua stanza. Al piccolo piaceva in particolare disegnare case e palazzi, ricche di ghirigori ed elaborati  fregi. La sua passione era tale che si divertiva a riprodurre i più belli su una delle pareti della sua stanza, tracciando con la matita schizzi di grandi palazzi, torri e castelli, immaginando di poter passeggiare intorno o di vivere come un grande cavaliere pronto ad intraprendere eroiche avventure.

Case 4

Al principino sarebbe tanto piaciuto provare a realizzare sull’ampio terrazzo del castello le sue opere per farle vedere a tutti, ma sapeva benissimo che non poteva uscire, e suo padre non permetteva che giocasse nella sua stanza con pietre o altri materiali, giudicandoli giochi non degni di un principe.

Purtroppo un giorno il bambino iniziò a stare più male del solito e le sue condizioni peggiorarono rapidamente.

Una notte mentre dormiva, venne svegliato da strani bagliori. Aprì lentamente gli occhi, convinto che fosse entrata nella stanza sua madre con una candela per vedere come stava, come solitamente accadeva durante quelle notti. Ma quello che vide lo lasciò a bocca aperta per lo stupore. Una bellissima e splendente figura femminile gli apparve innanzi avvolta da un mantello stellato. La donna lucente si avvicinò lentamente al letto del piccolo. Il suo viso sorridente e il suo sguardo pieno di amore ebbero l’effetto di tranquillizzare il principino che si mise a sedere sul letto come se si trovasse in compagnia di un’amica, ma ancora incapace di proferire parola.

“Ciao piccolo principe” disse la donna “Dimmi cos’è che più desideri? Non aver paura!”
Il piccolo prese coraggio  e disse “Io vorrei tanto che i palazzi e le torri che disegno venissero costruite, anche se in miniatura. Purtroppo io non posso, ma mi piacerebbe tanto che altri li potessero vedere”
“Non ti preoccupare piccolo mio, tu ora riposa” e così come era apparsa, la donna scomparve.

Case 1

L’indomani mattina una guardia allarmata corse in gran fretta a svegliare di buon’ora il Signore del Casale. Strane costruzione in pietra, piccoli palazzi e case, erano state costruite da qualcuno nella notte sul terrazzo del Castello. Il nobile si fece accompagnare dalla guardia sul posto a vedere con i propri occhi quello che gli veniva raccontato. Credendo che fossero state costruite dal figlio uscito di soppiatto, andò nella sua stanza e gli fece una gran sfuriata ricordandogli che non poteva assolutamente uscire a causa delle sue condizioni, e che per punizione le avrebbe fatte abbattere. Guai a lui se fosse uscito nuovamente.
Il piccolo provò a spiegare che non era stato lui e che non si era mai allontanato dalla stanza, ma il genitore non gli credette e la sgridata andò avanti finché non si trovò costretto a promettere di non uscire più di nascosto.

Case 3

Quella notte, come la precedente, la donna lucente apparve nuovamente al piccolo.
Questa volta il principino non aspettò che fosse la Signora a parlare e le chiese – “Com’erano?”.
“Bellissime, come i tuoi disegni” rispose la donna lucente. E quella notte ripeté nuovamente la domanda “Dimmi cos’è che più desideri? Non aver paura!”. Il principino ci pensò un po’ su e rispose “Io vorrei tanto che i palazzi e le torri che disegno venissero ricostruite ancora più grandi e più belle”.
“Non ti preoccupare piccolo mio, tu ora riposa” e così come era apparsa, la donna scomparve.

Case 2
All’indomani il Signore del Casale era ancora più infuriato del giorno precedente. Fece nuovamente abbattere le casette e dopo una strigliata ancora più sonora al figlio, fece mettere di guardia alla porta della stanza un soldato con l’ordine tassativo di non farlo uscire per nessuna ragione.

Quel giorno purtroppo le condizioni del piccolo principe si aggravarono. I medici chiamati al suo capezzale uscirono sconsolati dichiarandosi impotenti.

Nonostante stesse molto male il bambino anche quella notte aspettò l’apparire della Signora dal mantello stellato, e come le notti precedenti, ella apparve circondata da una luce ancora più splendente. Si avvicinò al letto e amorevolmente gli accarezzò una guancia. “Dimmi mio piccolo principe, cosa vuoi che io faccia per te?”.
Il bambino rispose – “Vorrei tanto che tu ricostruisca le mie casette, falle più belle di prima, le più belle del mondo,  e che nessuno, neanche mio padre le possa distruggere”.

“Mio piccolo caro” – rispose la donna lucente – “non sono io ma è il tuo amore che le costruisce come tu le desideri. Farò ciò che mi chiedi, ma non posso prometterti che nessuno le distrugga nuovamente. Purtroppo io nulla posso contro la volontà di voi uomini. Le casette vivranno finché qualcuno si occuperà di loro, finché gli uomini sapranno custodire l’ambiente in cui vivono e si prenderanno cura dei doni che hanno ricevuto. Contro un animo ingrato e insensibile io nulla posso. Tutto è rimesso alle vostre scelte”.

La Signora dal mantello stellato abbracciò forte il piccolo principe e prendendolo per mano gli disse - “Vieni con me ora, ti porto da mio figlio che ti aspetta. Sai, lui da piccolo era un falegname e sono sicura che assieme costruirete giochi e palazzi bellissimi”.

L’alba del giorno dopo fu accolta da dolore e pianti. Tutto la popolazione del Casale si strinse affranta attorno al Castello alla triste notizia della morte del piccolo principe. Nessuno mancava, in particolare i bambini.
Il Signore del Casale si affacciò alla finestra  per ringraziare tutti per la grande dimostrazione di affetto, ma mentre parlava alla folla il grido di meraviglia di un bambino attirò l’attenzione dei presenti.

“Guardate! Guardate!” gridò a voce ancora più alta il bambino – “ le casiceddhre! le casiceddhre!”.

Case 5

Sul terrazzo erano nuovamente apparse delle piccole costruzioni in pietra,  palazzi e castelli, così belle che splendevano come il sole abbagliando i presenti. Un alone di luce le circondava, e quel giorno ci fu chi giurò di aver visto le figure di un bambino e di un ragazzo accovacciati accanto ad esse intenti a costruirle.

Da quel giorno un editto vietò che nessuno recasse danno alle casette del piccolo angelo di Noha.

Nonna e bimbi rimasero per un po’ in silenzio, finché uno dei due avvicinandosi all’uscio e guardando attraverso il vetro le piccole casette sull’altro lato della strada disse – “Nonna, ma tu hai mai visto il piccolo angelo?”.
“No cari miei, non l’ho mai visto. Ma sono sicura che, finché ci saranno le piccole casette, lui sarà lì a vegliare su di noi”.
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Le piccole costruzioni in pietra di palazzi e torri furono costruite da un certo Cosimo Mariano che visse a cavallo tra ‘800 e il ‘900.  Lui stesso si definiva “mastro”. Sono all’interno del complesso dell’attuale palazzo baronale di Noha, che fu un castello sino al ‘500 prima di essere abbondantemente rimaneggiato. Le casette, o casiceddhre, si trovano sulla terrazza di una delle corti della casa baronale e i disegni sulle pareti, molto probabilmente dello stesso Mariano, si trovano all’interno dei una delle abitazioni del complesso.
Le “casiceddhre” sono in stato di abbandono e versano in cattive condizioni. L’intero complesso è ora in vendita e sono in molti nel piccolo centro di Noha ad auspicare iniziative concreta per la loro salvaguardia.
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Massimo Negro

 
Di Fabrizio Vincenti (del 21/11/2013 @ 21:52:23, in NohaBlog, linkato 3309 volte)

Cari bambini, oggi voglio raccontarvi una storia. Una volta a Noha c’era il Natale. Non Babbo Natale, ma proprio il Natale in persona che si aggirava tra le vie del paese. C’erano alberi addobbati, luci colorate, panettoni e presepi, comete e regali. I bambini aspettavano che passasse quell’omone barbuto vestito di rosso sulla slitta, accompagnato da cornamusa, a consegnare il regalo che da tempo sognavano. La notte di Natale si ritrovavano tutti in Chiesa per adorare Gesù; si aspettava la mezzanotte per mettere lu bambinieddru nella sua povera mangiatoia. Anche gli adulti attendevano i loro regali non meno agognati di quelli dei loro figli. C’era chi aspettava un anno intero per giocare una partita a stoppa e chi non vedeva l’ora di spolverare il vecchio gioco della tombola, naturalmente sperando di vincere qualche cento lire. Ci si riuniva mesi prima per scaldare le voci per il concerto di Natale, ci si chiudeva intere notti nelle varie chiese per allestire il più bel presepe dell’anno, ci si vestiva tutti con abiti di festa per il giorno del bambinello. La gente sorrideva perché credeva nella felicità! Nell’aria c’era sempre un’aria solenne. Nella vecchia cappella “Madonna di Costantinopoli”, quella che ora è chiusa e abbandonata tra muffa e crepe, due o tre ragazzi passavano le loro sere al freddo gelido per costruire un bel presepe. Oggi le luci colorate sui balconi non ci sono più, i cenoni di Natale si sono trasformati in picnic solitari, i presepi sono stati abbandonati dai loro tradizionali personaggi. Il moderno Natale vede tutti vestiti con gli stessi abiti che vengono indossati tutto il resto dell’anno. Ci si regala lo smartphone o la playstation ma non si recitano più le poesie con le quali i più piccoli guadagnavano tanti soldini. Le veglie liturgiche del 24 sono un piccolo ritrovo tra i soliti conosciuti. Ah, quanto vorrei mostrarvelo il vero volto del Natale, cari bambini! Fatevi raccontare dai vostri genitori cos’era il Natale a Noha: un tempo di magia in cui tutti si riunivano in famiglia attorno a immensi tavoloni imbanditi con ogni ben di Dio. Lo so che ora, invece, vi vogliono far credere che la magia non esiste, ma non dategli retta perché a volte anche i vostri genitori che sono stati piccoli come voi e che ora son grandi, a volte si fanno vincere dall’angoscia. La magia del Natale c’è, e neanche una crisi economica come questa può cancellarla perché la magia del Natale è immortale. Se volete rivederla basta poco. Qualcuno di voi vada a chiedere le chiavi della cappella “Madonna di Costantinopoli” al parroco e prepari un bellissimo presepe da poter visitare nei giorni di festa. Tutti gli altri mettano anche una sola lucetta sui propri balconi. Altri ancora si cuciano un vestito da pastorello e vadano a fare la loro comparsa nel presepe vivente nella masseria “Colabaldi”. Arricchite i vostri presepi di nuovi personaggi perché il Natale è sempre nuovo. Scambiatevi i doni. Non serve spendere centinaia di euro: un portachiavi o una torta fatta in casa va benissimo. Vostro padre si accontenterà di una lametta da barba rubata magari dal bagno del nonno e vostra madre sarà felice nel vedervi donare un suo stesso maglione che aveva ormai da anni dimenticato nell’armadio. Non ascoltate quello che dicono in televisione; scambiatevi i doni (un vostro oggetto del passato che appartiene ai vostri più bei ricordi o un semplice disegno scarabocchiato) perché è questo il senso del Natale: contemplare la Bellezza concentrata in un semplice bambinello, donandosi gli uni agli altri e, soprattutto, pensare agli altri. Chiedete alle vostre nonne di prepararvi un bel cenone con quello che trovano in campagna, possibilmente non contaminato dai diserbanti. Alle vostre mamme ditegli di lasciarvi nell’armadio un vestitino esclusivamente per quei giorni di festa. Se andrete in Chiesa, forse qualcuno vi parlerà di alcuni personaggi del passato chiamati “Magi”. Anche loro portavano dei doni. So che quest’anno andrete a visitare il presepe vivente nella spettacolare masseria “Colabaldi”. Io spero che lì all’entrata, proprio davanti a quel bellissimo portone, possiate trovare due banchetti, uno a destra e uno a sinistra. Su di uno lascerete qualcosa da mangiare, un pacco di pasta o dei biscotti. Ci penserà la Caritas di Noha a distribuirli ai bambini che ne hanno più bisogno perché, anche se noi non li conosciamo, anche a Noha ci sono dei poveri, e il Natale è anche e soprattutto per loro. Sull’altro banchetto forse troverete un salvadanaio dove metterete il vostro euro. Alla fine dei giorni di festa lo romperemo e con quei soldi forse riusciremo a far rimettere in sesto almeno una delle casette del palazzo baronale o forse, chissà, basteranno per far ripartire le lancette della torre dell’orologio perché, se Natale è festa, lo è anche per Noha che non riceve visite di magi da secoli. Non si sa mai che forse la magia si trasformi in miracolo è qualche politichetto di quartiere, in preda ai fumi del vin brûlé, non sia illuminato dalla stella e si decida a far arrivare qualche bel regalino anche al nostro paesino. Sia chiaro, se non si tratta d’incenso, non vogliamo fumo negli occhi né porcherie sgradite a noi e all’ambiente. Per il resto non preoccupatevi, il Natale farà tutto il necessario affinché anche quest’anno resti in voi un barlume di speranza. Lasciate stare le vetrine, guardate piuttosto le pupille di chi incontrate, non lanciatevi occhiate di sfida né sguardi invidiosi perché una è la stalla, una è la mangiatoia e una è la stella da seguire che conduce sempre alla stessa grotta. A ognuno sarà chiesto, prima o poi, di aprire il suo scrigno e di mostrare al mondo intero cosa ha portato in dono. A chi nulla aveva, non gli sarà chiesto più di tanto, ma a chi tanto poteva fare e dare, non avete idea di quanto gli sarà domandato! In quel momento vedrete molti tornare in oriente con la faccia triste perché il Natale, prima o poi, si prende la sua rivincita. Nelle stalle del bambinello non serve spingere e mettersi in pompa magna, come tanti fanno o hanno fatto in questi ultimi giorni, perché ognuno sarà considerato per quello che è o è sempre stato. Sapete chi è quel bambinello che nacque? Fu uno che sedette accanto ai peccatori ma che non diventò mai uno di loro. Il mondo, cari bambini, vuole dimenticarsi del Natale e, mentre i pastori che vestono gli stracci fanno di tutto per tramandarlo, quelli che vestono le fasce tricolori nei giorni di festa e si mostrano in giacca e cravatta tutti i giorni dell’anno, fanno di tutto per distruggere la magia che è nei vostri occhi. Difendete il Natale perché ha bisogno di voi bambini e della vostra speranza per vincere contro i cattivi. E se un giorno dovreste incontrare per le strade di Noha uno sconosciuto che vi chiede “Che cos’è il Natale?”, voi rispondetegli: “Caro signore, il Natale è la Festa dei giusti”, anche se qui, a Noha come nel resto del mondo, di giusti non se ne vedono così tanti.

Fabrizio Vincenti
 
Di Marcello D'Acquarica (del 11/12/2013 @ 21:27:19, in NohaBlog, linkato 3533 volte)

In principio fu il re dei colori. Avvenne quando l’uomo primitivo perse il pelo e scoprì il fuoco. Poi scoprì l’arte e dipinse la sua caverna con il nero dei tizzoni e il rosso della terra. Da lì in poi divenne il colore per antonomasia. Fu scelto dagli incoronati e dagli stessi incoronanti. Col passare del tempo, divenne il colore di molti stemmi di città e di bandiere, del Corsaro Rosso e delle favole, dei garibaldini e delle toghe, degli abiti di vescovi e cardinali e degli addobbi natalizi, delle lotte degli operai e dei cortei della sinistra, per finire nel tifo sfegatato di molte maglie di serie A. Una simbologia contraddittoria, certo, ma a tutto c’è una ragione. Di sicuro il rosso è stato ed è ancora la tinta per eccellenza. Con l’aumentare del prestigio del rosso, soprattutto porpora, nacque una vera e propria malattia, la porporomania. Insomma il rosso con il tempo è divenuto una specie di status symbol, e quindi esclusiva di porporati e potenti. Solo con l’avvento delle rivoluzioni liberiste è passato in uso anche nelle categorie sociali più modeste. E quindi noi nohani, il colore rosso ce lo portiamo dentro ovunque si vada perché è legato all’immagine della nostra terra e alla bellezza della natura che essa stessa genera con i suoi colori e frutti. Terra che ha dato da vivere per secoli a tante famiglie e che invece da qualche tempo stiamo maltrattando ricoprendola di pattume, spacciato a volte per tecnologico, da piattaforme di cemento e da nastri chilometrici di bitume. Nel lasso di tempo di pochissime generazioni abbiamo sepolto più terra che miliardi di uomini in migliaia anni. Fino a poco tempo addietro (i nohani della mia generazione ne sono testimoni), le cappelle di S. Antonio, della Madonna di Costantinopoli e del Buon Consiglio, segnavano il limite dell’area urbanizzata di Noha. Superandole si era in aperta campagna. Il che voleva dire estensione di verde e terra rossa, tracciati di carrarecce e profumi di fiori. Oggi quel limite non esiste più. E’ fuso in egual modo ai medesimi dei paesi limitrofi. Un unicum indefinito di case, strade e mega-porcate di vario genere. Così mentre obbediamo all’incitazione del progresso, la terra si ammala, e noi dietro ad essa. In compenso i nostri figli continuano ad emigrare per cercare altrove ciò che potremmo avere in casa. Un’altra storia questa, ma sempre tinta di rosso, rosso- rabbia. Gli unici beni che ci restano e che per fortuna non possono essere de localizzati, come si usa fare di questi tempi con il lavoro, sono appunto la terra e i nostri beni culturali.

Come le emissioni di gas nocivi devono essere ridotte oggi e non domani, così anche la copertura eccessiva della terra deve essere fermata oggi e non quando il suo recupero sarà irreversibile. Se non decidiamo al più presto che il trend di avanzamento di questa tragedia deve finire, ci vuol poco a immaginare quale rosso vedranno i nostri nipoti guardandosi intorno. Non certo il rosso di vergogna che dovrebbe bruciare sulle facce degli attuali responsabili di questa tragedia, che siamo noi tutti, nessuno escluso, bensì il rosso della loro (dei nostri nipoti) stessa collera per aver ereditato (non certo meritato) un disastro senza pari.

Forse l’unica memoria prestigiosa del rosso che resterà, anche se sbiadito (perché a quanto pare non frega niente a nessuno, politici compresi), è quello della torre dell’orologio, dei sotterranei del castello adiacenti all’ipogeo, della casa rossa, dell’ex cinema dei fiori, degli affreschi nascosti sotto la calce delle colonne della chiesa matrice realizzati da Cosimo Presta, pittore nonché stuccatore della chiesa madre e di una prestigiosa casa privata di Noha, di ciò che resta delle casette che forse qualcuno aspetta che vadano in frantumi per costruirci al loro posto due piani di appartamenti. Forse possono essere salvati solo più da un miracolo del nostro San Michele Arcangelo, come avvenne nella notte del 20 Marzo del 1740, evento miracoloso riportato nel libro della storia di Noha (“Noha, storia, arte e leggenda” di P. Francesco D’Acquarica e Antonio Mellone, Milano, Infolito Group Editore, 2006), allorquando il nostro San Michele fermò l’uragano con un semplice cenno del suo mantello rosso.

Ecco, questo è quanto chiedo come regalo per il Natale in arrivo: la salvezza dei nostri unici beni culturali che, ahimè, gridano vendetta, compresa la terra che ancora si oppone alle colate delle nostre mega-porcate.
E perché no, aggiungo anche la preghiera per una valanga di rosso che si riversi sulle facce di certi pseudo-elargitori di politica, che hanno perso il pelo, sì, ma non il vizio di fingersi sordi, accecati come sono dall’ignoranza, dagli imbrogli e dalla mancanza di rispetto per Dio. Barcollanti senza mèta, se non la fame di una banale onnipotenza.

Marcello D’Acquarica
 
Di Redazione (del 09/01/2015 @ 21:20:35, in Presepe Vivente, linkato 4973 volte)

Ecco a voi il tema sul presepe vivente di Noha svolto dal piccolo Alessio Toraldo della terza classe della scuola elementare di Lequile.

Il Presepe di Noha
(di Alessio Toraldo)
 
La sera di Natale, io con la mia famiglia e dei nostri amici, siamo andati al Presepe vivente di Noha. Appena entrati, abbiamo visitato delle case antiche, e in ognuna c'erano dei personaggi che facevano rivivere i vecchi mestieri.
In una di queste case ho assaggiato il vino e il formaggio di Noha. All'uscita, abbiamo incontrato l'ex-direttore di mia mamma, che era la voce narrante del Presepe. Infatti, faceva interviste ai partecipanti e raccontava delle storie, che venivano sentite in tutto il centro storico grazie alla filodiffusione.
Lui all'inizio ci ha fatto notare le casicegge [sic], casette piccoline che si trovavano sulla terrazza di una casa antica di Noha e che formavano il villaggio di Novella, dove tanti anni fa abitavano gli gnomi. Poi ci ha accompagnati a vedere la natività in una casa molto strana, costruita nella roccia, chiamata "casa rossa".
Infine siamo passati da un giardino molto grande dove c'erano tanti animali come asini, cavalli, galline, anatre e dolci agnellini.
Il direttore ci ha dato anche un libro scritto da lui, che parla della storia di Noha.
 
Di Redazione (del 16/02/2015 @ 21:08:59, in NohaBlog, linkato 6684 volte)

Gli amici di Facebook ci hanno segnalato  questo bellissimo articolo di Alessandro Romano sulle nostre Casiceddhre. La loro fama inizia finalmente a varcare i confini "provinciali". Buona lettura.

C’è un luogo singolare, nascosto sul cornicione di una casa qualunque, a Noha, periferia di Galatina, piccolo centro ricco di tante peculiarità. Di solito nessuno alza mai lo sguardo, quando arriva a quell’incrocio, così questo luogo resta poco noto alla maggioranza dei turisti, ma anche dei salentini. Si tratta delle “casiceddhre”, le chiamano proprio così.

Poste in questo angolo sconosciuto, silenziose, piccole, con un campanile che a stento supera il metro e mezzo di altezza, queste case in miniatura, che una mente allegra e minuziosa concepì alla fine del XIX secolo, reggono ancora a stento il passare del tempo.

noha

Pare che il loro costruttore sia stato un certo Cosimo Mariano, un nome che fra l’altro è inciso nell’angolo di una piccola casa, ma di lui si sa ben poco, anche se dei talenti di Noha ci hanno scritto un romanzo e interi libri di storia locale citando questo luogo.

noha

Quello che sorprende di queste casette in miniatura è l’incredibile maestria con cui sono stati realizzati i particolari, gli intonaci, i balconi, tutto come in una casa reale!

Le casiceddrhe di Noha

Questo balcone qui sopra, per esempio, a concepirlo dal vero richiederebbe un bell’impegno!

noha

Sembra rappresentato un piccolo centro storico di una cittadina qualunque del Salento, con la guglia e i palazzi nobiliari.

le casette di noha

Non mancano gli elementi in stile gotico, quelle cuspidi poste in alto, che tendono a slanciare la costruzione verso il cielo…

noha

…o i particolari arabeschi, come questa finestra…

noha

L’interno delle casette è incredibilmente realistico, viene da chiedersi come abbia fatto il buon Cosimo!

noha

Purtroppo, da diversi anni, le casette versano in uno stato sempre peggiore. Avrebbero bisogno di cura e restauro, allo stesso grado d’amore dell’artigiano che le costruì, tanto tempo fa…

noha

Comunque, non sono le uniche, nel Salento. All’interno della storica Masseria Brusca, in agro di Nardò, ce n’è un altro esempio. Anche questo è storico, risale ai primi del 1900, e pare sia stato realizzato dal figlio del padrone di casa, unico figlio maschio. Per tenerlo al riparo dai pericoli, i suoi genitori gli chiesero di riprodurre la Masseria stessa, in miniatura, e così lo distrassero molto!

 Alessandro Romano

 
Di Marcello D'Acquarica (del 24/01/2016 @ 20:20:42, in I Beni Culturali, linkato 3830 volte)

A qualcuno importa se la piazza più importante di Noha sembra appartenere ad un paese da terzo mondo?

 

 

 

 

A qualcuno importa se abbiamo una storia millenaria come comunità,  se il vasellame recuperato dalle tombe messapiche di via Galatina-Noha (detta anche curve-curve) è scomparso dal museo di Galatina? 

 

A qualcuno importa se un nostro antenato oltre duemila anni orsono ha inciso il suo nome su di una stele (o menhir che dir si voglia) e quella pietra marcisce nell'incuria e nell'abbandono?

 

 

A qualcuno importa se le casette di Cosimo Mariano sono diventate un ammasso di pietre? A qualcuno importa se i resti del castello medioevale del XIV secolo, hanno nelle mura più  crepe che decenni?

A qualcuno importa se il frantoio ipogeo di Noha, uno dei più grandi del Salento, sottostante la via Castello è   terra di conquista per tavernette, cantine e cessi in cui scaricare le proprie fogne?

 

A qualcuno importa se l'unico e ultimo polmone di verde del centro abitato diventerà scavo per fondamenta di novelli centri residenziali? A qualcuno importa ancora se Noha,  nata sull'incrocio millenario di due grandi arterie pre-romane, finirà per essere non più la nostra cittadina animata da antiche tradizioni, come per esempio quella della Fiera dei cavalli, ma un grande casermone dormitorio?

A qualcuno importa se gli pseudo-amministratori del vicino Comune di Galatina e relativi delegati vogliono cancellarne anche il nome? Questo è il paese reale. Tutto il resto sono solite promesse, parole vuote di significato, inutili chiacchiere.

Marcello D’Acquarica

 
Di Marcello D'Acquarica (del 25/03/2014 @ 19:24:50, in NohaBlog, linkato 3942 volte)

Ieri, come capita ogni tanto, mi ha chiamato al telefono l’amico Antonio Mellone per dirmi che dalle terrazze della casa comunale di Noha hanno portato via una camionata di terra.

Bene! Concludo. Allora questo dimostra che scrivere e denunciare lo stato del degrado che regna sovrano sui beni culturali di Noha a volte serve a qualcosa.

A questo punto, per evitare che al prossimo sforzo debbano intervenire con intere carovane di autotreni per portare via le macerie dei restanti beni culturali di Noha come, dico a caso, la torre medievale, le casette, la casa rossa, la torre dell’orologio, il calvario che si appresta a sprofondare negli abissi della terra, la masseria Colabaldi, il frantoio ipogeo e tutto il centro storico di Noha, incoraggiato anche dal mastodontico sforzo dell’Amministrazione Comunale, rivolgo l’ennesima lettera aperta agli addetti ai lavori:

  • Signor Sindaco, dottor Cosimo Montagna, dov’è finita la documentazione che in occasione della festa di San Michele Arcangelo dello scorso anno, e precisamente nell’omonima piazza, in presenza del nostro “consigliere delegato”, consigliera avv. Daniela Sindaco, disse che avrebbe fatto vagliare dai suoi tecnici?
    (http://www.noha.it/NOHA/articolo.asp?articolo=868)
  • Assessore alla cultura, dottoressa e professoressa Daniela Vantaggiato, che fine hanno fatto i suoi buoni propositi riguardo sempre ai beni culturali di Noha, dietro mio invito a leggere la lettera aperta rimasta appunto aperta, in occasione di una sua visita al Presepe Vivente del Natale 2012 a Noha?
    (http://www.noha.it/NOHA/articolo.asp?articolo=868)
  • Assessore ai LL.PP, Sport e Politiche giovanili, ingegnere Andrea Coccioli, rispondere alle lettere richiede meno impegno che partecipare in una sede di partito, dove il dialogo rischia di diventare un monologo e le decisioni conseguenti, semmai ce ne fossero, un perseverare dell’errore. Non trova?
    (http://www.noha.it/noha/articolo.asp?articolo=1283)
  • Consigliere dottor Gian Carlo Coluccia, Sindaco al tempo della lettera allegata, perché non c’è mai una risposta alle nostre domande, compresa la lettera di sollecito per la Soprintendenza consegnatole a domicilio?
    (http://www.noha.it/noha/articolo.asp?articolo=225)
  • Avvocato Roberta Forte, che fine ha fatto l’impegno promesso nel febbraio del 2008 durante una serata “consiliare” nella sede del Circolo Culturale Tre torri di Noha, in presenza dell’avvocato Daniela Sindaco e dell’allora Sindaco Dottoressa Sandra Antonica? Problemi di memoria corta? O semplice disinteresse per la cultura?
    (http://www.noha.it/NOHA/photogallery.asp?dir=Serata_Consiliare_2008)

Non rispondere a domande democraticamente rivolte è un cattivo segnale che lancia messaggi diseducativi, non solo nei confronti del sottoscritto, ma all’intera cittadinanza.

Perché mai nessuno di voi si è degnato non dico di tentare di salvare il salvabile dei nostri beni culturali, ma semplicemente di formulare una risposta, magari banale, magari anche negativa in merito? Non trovate che una risposta alle domande formulate dai cittadini siano un segnale forte, magari in grado di farci ricredere su quell’assioma che vede Noha (ma anche Galatina) solo come una terra di conquista in tempi di elezioni politiche?

Marcello D’Acquarica
 
Di Antonio Mellone (del 22/01/2017 @ 17:45:22, in NohaBlog, linkato 3085 volte)

Capisco: la Masseria Colabaldi di Noha è in mano ai privati.

Capisco che chi a suo tempo ne è diventato il proprietario tutto aveva in mente men che conservare, tutelare e valorizzare questo antichissimo bene culturale del mio paese. Come noto a tutti, aveva invece in progetto l’affarone del secolo con la costruzione nelle sue immediate adiacenze di una ottantina di villette a schiera. O meglio: schierate. Come un plotone di esecuzione. Poi, per fortuna, non se ne fece niente per mancanza di acquirenti autolesionisti.

Capisco che Noha non è (per fortuna) una città per turisti in colonna, con una guida con bandierina in mano. Capisco che affidare il patrimonio storico e artistico ai privati è dimostrazione lampante di inefficienza, spreco, trascuratezza, insomma, stupidità di una nazione. E di una frazione.

Per questo basta dare un’occhiata anche allo stato delle ‘Casiceddhre’ in pietra leccese: stato che tra poco passerà da solido a liquido, anzi gassoso, aeriforme, visto il loro abbandono. [E pensare che il loro proprietario è stato amministratore pubblico, e s’accinge a ritornare ad esserlo nelle prossime elezioni: evidentemente per meriti sul campo, avendo già dimostrato di avere a cuore i beni pubblici come fossero privati. E viceversa, ndr.].

Capisco che per la sciatteria dei nostri “politici” i beni culturali nohani non sono mai stati all’ordine del giorno, nonostante il Codice di codesti Beni attesti chiaramente quanto la storia culturale aveva già affermato da tempo. E cioè che non importa il pregio, la rarità o l’antichità dei singoli oggetti: ciò che può renderli degni di essere tutelati dallo Stato può essere anche la relazione spirituale e culturale che li unisce alla vita locale.

Insomma capisco tutto.

Ma qui non sto chiedendo alla proprietà della Masseria Colabaldi di investirci dei soldi per la sua salvaguardia (e sarebbe forse l’unico investimento realmente produttivo: le colate di cemento invece da tempo non sono più un affare, bensì la causa principale del fallimento di tante imprese edili). Non sto chiedendo di provvedere immediatamente al restauro, al recupero e magari finalmente all’apertura al pubblico dell’intrigante costruzione ubicata sull’acropoli di Noha (troppa grazia sant’Antonio).

Qui sto semplicemente chiedendo che la proprietà dimostri ogni tanto, mica sempre, di meritare di avere per le mani una ricchezza non immediatamente esprimibile in termini economico-finanziari. Anzi pure.

Chiedo che insomma il solito padrone delle ferriere dia un’occhiata all’ingresso della Masseria, proprio al portale principale, dove campeggia un enorme ramo secco di Pino domestico (Pinus pinea) che, caduto da mesi, oltre che rappresentare un pericolo serio (di incendio, di caduta sull’edificio, di inciampo, eccetera), occlude la vista all’eventuale viaggiatore che volesse ammirare le vestigia del glorioso passato del paese, e magari fotografarle a futura memoria.

Purtroppo, di questo passo, l’unico modo per tramandare alle future generazioni la storia dei nostri monumenti sarà quello di fermarne la sagoma in un flash.

Come quelle di certi selfie. 

Antonio Mellone    

 
Di Albino Campa (del 22/04/2012 @ 16:29:49, in NohaBlog, linkato 3255 volte)

Comunico quanto di mia conoscenza, in merito alle unità facenti parte del cosiddetto "Castello di Noha"  ossia che come confermato dai diretti interessati, sono stati acquistati tutti i locali al piano terra, compresi quelli delle cossiddette "Casiceddhre ".

Mi rifaccio a quanto confermato dai nuovi inquilini (o più precisamente da uno di questi).

Oltre che confermare la circostanza, non sono in grado di dare altre precisazioni, in quanto non ho curato professionalmente la fase finale delle trattative.

 

Al di fuori dell'aspetto professionale esprimo una mia considerazione di carattere personale:

Condivido fino in fondo battaglia che state conducendo unitamente ad altre associazioni di Noha per la salvagurdia della testimonianza storica dell'intero complesso.

In tal senso fu anche tutelato con la classificazione (A1) di centro storico in fase di redazione e approvazione del PUG.

 

Mi auguro solo che i nuovi occupanti diano maggior valore alla struttura, con un recupero compatibile e di vera salvaguardia.

L'auspicio è che nel prossimo futuro non troveremo cancellati i segni della storia a favore di una moderna ristrutturazione,
tipo banca o finanziaria, o tipo farmacia veterinaraia per i numerosi piccioni presenti !(?)|

 

Cordiali Saluti

Giuseppe De Matteis

 

Domenica mattina, e cioè domani, tempo permettendo, è stato organizzato un giro cognitivo sui beni culturali di Noha, saranno ospiti e quindi fruitori dell'evento, un club di appassionati della lambretta: New Club Salento.
L'appuntamento è alle ore nove, nei pressi delle casiceddhre.
Siamo lieti che i Beni Culturali di Noha richiamino ancora  l'attenzione di "forestieri".
P.S.: l'organizzatore ci ha confidato queste parole: "vogliamo vedere le casette di Noha". 

Redazione

 

Parliamo di libri questo pomeriggio di fine estate, in questo cortile, luogo del cuore, purtroppo semidiruto, graffiato dall’ira del tempo e dall’abbandono degli uomini. E lo facciamo quasi sottovoce (anche se con il microfono), con delicatezza, come si conviene, per non svegliare i fantasmi del passato, aggrappati alle volte dei secoli.
In questo luogo, appena cinque secoli fa, si sentiva ancora rumore di armi e di guerrieri, di cavalli e cavalieri, di vincitori e vinti.
Al di là di questo muro, tra alberi di aranci, una torre si regge ancora, da settecento e passa anni, come per quotidiano miracolo: è la torre medioevale di Noha, XIV secolo, 1300. Quelle pietre antiche e belle urlano ancora, ci implorano, richiedono il nostro intervento, un “restauro”, il quale sempre dovrebbe rispettare e storia e arte.
Da quella torre, addossata al castello, riecheggiano ancora le voci lontane di famiglie illustri nella vita politica del mezzogiorno d’Italia. Qui abitarono i De Noha, famiglia nobile e illustre che certamente ha avuto commercio con i Castriota Scanderbeg e gli Orsini del Balzo, signori di San Pietro in Galatina (città fortificata chiusa dentro le sue possenti mura), ma anche con Roberto il Guiscardo e forse con il grande Federico II, l’imperatore Puer Apuliae, che nel Salento era di casa. 
Da Noha passava una strada importante, un’arteria che da Lecce portava ad Ugento, un’autostrada, diremmo oggi, che s’incrociava con le altre che conducevano ad Otranto sull’Adriatico o a Gallipoli, sullo Ionio.
Da qui passarono pellegrini diretti a Santa Maria di Leuca e truppe di crociati pronti ad imbarcarsi per la terra santa, alla conquista del Santo Sepolcro…
*
Ma la storia noi stiamo continuando a scriverla; voi potete continuare a scriverla, e non solo nelle pagine di un libro. Solo se diamo corso (come stiamo credendo di fare) ad un nuovo Rinascimento ed ad un nuovo Umanesimo di Noha, daremo una svolta alla nostra vita e alla nostra storia. E alla nostra civiltà. 
*    *    *
Noi ci troviamo dunque in un “praesidium”, un presidio. E Noha era un presidio.
E sapete anche che Noha è, da non molto tempo, invero, “Presidio del libro”.
Ma cosa è un presidio?
Sfogliando un dizionario d’italiano (che dovremmo sempre avere a portata di mano, pronto per la consultazione) al lemma o parola “presidio” troviamo questi significati: 1) presidio = complesso di truppe poste a guardia o a difesa di una località, di un’opera fortificata, di un caposaldo; luogo dove queste truppe risiedono (per esempio si dice “truppe del presidio”);
2) presidio = occupazione di un luogo pubblico a fini di controllo e sorveglianza o anche solo di propaganda (per esempio “presidio sindacale nella piazza”); 
3) presidio = circoscrizione territoriale sottoposta a un’unica autorità militare;
4) presidio = complesso delle strutture tecnico-terapeutiche preposte in un dato territorio all’espletamento del servizio sanitario nazionale (presidi ospedalieri);
5) presidio = difesa, protezione, tutela (essere il presidio delle istituzioni democratiche);
6) presidio = sostanze medicamentose (presidi terapeutici) oppure presidi medici e chirurgici….
Vedete quanti significati può avere la parola “presidio”!
Penso che per il concetto di “Presidio del libro”, tutte queste definizioni, più o meno, calzino bene.
E’ un luogo. E la biblioteca Giona è il cuore di questo presidio.
Ci sono le truppe.
Ma le truppe siamo noi e  le armi sono i libri; i carri armati sono gli scaffali che li contengono.
Le altre armi, invece, quelle da fuoco, le lasciamo agli illetterati, ai vandali, ai mafiosi, a chi non è trasparente, a chi non ha idee, a chi non ama il bello.
Presidio del libro è anche sostanza medicamentosa, terapeutica, contro i mali della società.
Il presidio del libro riuscirà a sovvertire, a sconfiggere quell’altro presidio: il “presidio della mafia”? 
Forse si: se questi libri li apriamo, li sfogliamo. Li annusiamo, anche, e li leggiamo, li prendiamo in prestito, li consigliamo agli altri, li doniamo. Ne incontriamo gli autori, ne parliamo a scuola, in piazza, dal parrucchiere, dall’estetista, al supermercato, al bar, al circolo, fra amici.
Tutti i luoghi sono opportuni per parlare di libri: a volte basta solo un cenno, non c’è bisogno di una conferenza in una sala convegni per parlare di letteratura, di poesia, di storia, di leggenda, di arte...
Ecco allora che “Presidio del libro” diventa “difesa”, “protezione”, “tutela”, “crescita”, rispetto della persona, dei luoghi, dei beni culturali, di Noha tutta. Solo chi legge difende i monumenti, la piazza, la torre, questo castello, la masseria, la casa rossa, la trozza, la vora, il frantoio ipogeo, le casette dei nani… Ma anche i giardini, le terrazze, la campagna, i colori delle case di Noha (che stanno sempre più perdendo il loro colore bianco brillante, quello della calce, per diventare d’arlecchino multicolore, a volte troppo appariscente…). Chi legge difende la civiltà, la democrazia, l’etica, la libertà del pensiero e del giudizio e finanche della critica (costruttiva), e tutela il bello che è integrità, luminosità e proporzione.     
Guardate che la biblioteca o la libreria (che non dovrebbe mai mancare in ogni casa: meglio se questa libreria è ricca, e piena di libri e non contenga solo un’enciclopedia a fascicoli che ti danno in regalo con l’acquisto dei detersivi o con la raccolta dei punti al distributore di benzina); dicevo, la libreria non è solo un deposito o una raccolta di libri. Ma uno strumento di conoscenza ed in certi casi di lavoro.
*
E’ vero: esistono così tanti libri, che spesso non si sa da dove incominciare.
Se soltanto volessimo leggere i “classici”, cioè i libri, diciamo, fondamentali per l’uomo di buona cultura, volendone leggere, ad esempio, uno ogni settimana (che è una ragionevole media), non ci basterebbero 250 anni. Dovremmo vivere almeno 250 anni, per leggere ininterrottamente i libri diciamo più importanti o indispensabili.
Se a questi volessimo aggiungere le collane della Harmony, o i libri di Harry Potter, o quelli degli scrittori minori o locali (come siamo noi), o gli altri che leggiamo per diletto o divertimento, (tutti ottimi! Ma non classici) necessiteremmo almeno del doppio di questi anni, vista permettendo!
Dunque: nessuno può aver letto o leggere tutto (neanche le opere più importanti).
E questo però ci consola.  
Intanto perché possiamo partire a piacere da dove vogliamo.
Ed un altro fatto che ci rassicura è che spesso i libri parlano di altri libri: cioè con la lettura di un libro a volte riusciamo a entrare in altri libri (anche senza aver mai visto questi altri libri): i libri infatti sovente, tra un riferimento e l’altro, si parlano tra loro.
I libri sono come i nostri amici che ci riferiscono come stanno gli altri nostri amici, che magari non vediamo da tempo.
*
Sentite.
Spesso si parla del dovere di leggere.
No! 
Leggere non è un dovere: è un diritto!
Inoltre il lettore ha altri diritti (come dice Daniel Pennac, nel suo libro intitolato Come un romanzo, Feltrinelli, 6 Euro):  e  questi diritti sono i seguenti: primo il diritto di non leggere (ciò che ci impongono); poi, il diritto di saltare le pagine; poi abbiamo il diritto di non finire un libro; il diritto di rileggere (non preoccupatevi: si può essere colti sia avendo letto quindici libri che quindici volte lo stesso libro. Si deve preoccupare invece chi i libri non li legge mai!); il diritto di leggere qualsiasi cosa; c’è poi il diritto di leggere ovunque (non solo a casa, ma al mare, sull’autobus, in villetta, ovunque); il diritto di spizzicare (si da uno sguardo, si legge la bandella della copertina, si apre a caso una pagina, si legge come comincia o come finisce: insomma pian piano un libro si può assorbire anche a “spizzichi e mozzichi”. Chi ce lo impedisce?); ancora il diritto di leggere a voce alta; infine il diritto di tacere: cioè nessuno è autorizzato a chiederci conto di questa lettura, che è e rimane una cosa intima, esclusivamente nostra.

Leggendo, ragazzi, vedrete, poi, che riuscirete a descrivere qualcuno o qualcosa, utilizzando quelle stesse parole del libro: vi viene quasi automatico. Vi accorgerete di essere stati chiari e non banali; non avrete più il problema di cadere nei silenzi tra una parola e l’altra. Quei silenzi orrendi e imbarazzanti. Come il silenzio nel corso di certe  interrogazioni.
E non abuserete dei “cioè”; vi sentirete soddisfatti di questo, ma soprattutto imparerete a sognare, a volare alto, e difficilmente sarete malinconici.
*
Il nostro scritto prima ancora di iniziare a vivere nel libro, o su un giornale o su una rivista, si può già assaporare nelle parole della gente, con i suoi racconti, le sue esperienze: sentimenti, che lo scrittore ha raccolto e animato.
Ecco lo scrittore cerca di colorare il mondo. Noi abbiamo cercato di dare calore e colore alla nostra storia, alla nostra arte, alle nostre leggende.
P. Francesco D’Acquarica, che ha scritto con me le pagine di questo tomo (è come se avessimo eseguito una suonata a quattro mani e quattro piedi ad un organo a canne) ha compiuto un lavoro lungo decenni, s’è consumato gli occhi, per leggere, interpretare e ritrascrivere i documenti dell’archivio parrocchiale di Noha o quello vescovile di Nardò e numerosi altri documenti. E ha fatto rivivere la storia della gente ed i suoi pensieri (se leggiamo i proverbi che abbiamo posto in appendice, ad esempio, capiremo subito).
Ha risvegliato, ha ridato voce e fiato e vita e colorito ai nostri avi, ai nostri bisnonni, gli antenati. Per questo non finiremo mai di ringraziarlo.
Però il miglior modo di ringraziare uno scrittore è leggerlo.
E’ sfogliare il nostro libro, che abbiamo scritto con tanta passione. Leggerlo, consultarlo, criticarlo (anche), ma prima di tutto studiarlo.
*
Vedete: Noha dopo il nostro libro: “Noha. Storia, arte, leggenda” non è più quella di prima. Anzi quanta più gente legge il nostro libro, tanto di più migliorerà la nostra Noha. Potremmo anche dire che oggi Noha è un po’ migliore, rispetto a ieri. Non dobbiamo aver paura di pensarlo e dirlo.
E sarebbe proprio la città ideale se tutti leggessimo quel libro, fossimo curiosi, ci conoscessimo di più.
Saremmo più gentili. Meno sospettosi. E anche più accoglienti.
*
Abbiamo bisogno a Noha di scrittori, di gente che può cambiare il mondo. Ma prima di tutto abbiamo bisogno di lettori. I lettori sono i primi che possono cambiare il mondo. Se con la lettura si riesce a svagarsi, divertirsi, sognare, imparare a riflettere, allora si capisce meglio il mondo, e non si da retta alle futili mode o tecnologie o alle corbellerie. Ma è così che si cambia il mondo! 
Con la lettura miglioriamo il nostro stile di vita, il nostro equilibrio morale ed anche economico. Non a caso chi legge è anche più ricco, e gode di un più alto tenore di vita.
E, il più delle volte, è anche un po’ più affascinante (o almeno così qualcuna mi dice, lusingandomi)…
*
Democrazia e libri sono sempre andati storicamente a braccetto.
Le librerie e le biblioteche nei paesi liberi sono veri e propri presìdi di democrazia e civiltà. La libreria o la biblioteca è uno spazio amico. Giona è dunque una nostra amica. E certe amicizie vanno frequentate. 
In libreria o in biblioteca c’è la sostanza più potente di tutte: la parola scritta. Tutte le altre sono chiacchiere, parole al vento.
Nella vita di ogni uomo c’è un pugno di libri che lo trasformano radicalmente. Entra in un libro una persona e ne esce un’altra, che vede se stessa ed il mondo in maniera completamente diversa e farà cose diverse.
Un maglione, un’auto, una moto possono rappresentare un uomo ma mai cambiarlo come invece può fare un buon libro.
*
Il libro è un regalo. Un regalo che potete fare innanzitutto a voi stessi ma anche agli altri. E’ un regalo che si può “scartare”, aprire diverse volte e non soltanto una volta sola. E ogni volta la pagina di un libro può riservarci una gradita sorpresa.
Il libro è un capitale, un investimento che produce interessi incalcolabili.
E non c’è libro che costi troppo!
*
Qualcuno mi dirà alla fine di tutta questa pappardella: e il tempo per leggere? Dove lo trovo?
Certamente non abbiamo mai tempo! Presi come siamo dalla diuturna frenesia.
Ma su questo tema del tempo chiudo prendendo in prestito, guarda un po’, le parole di un libro.
E’ quello già citato di Daniel Pennac, il quale a pag. 99, di Come un romanzo, (Feltrinelli, ed. 2005), così si esprime:
<<…Si, ma a quale dei miei impegni rubare quest’ora di lettura quotidiana? Agli amici? Alla Tivù? Agli spostamenti? Alle serate in famiglia? Ai compiti?
Dove trovare il tempo per leggere?
Grave problema.
Che non esiste.
Nel momento in cui mi pongo il problema del tempo per leggere, vuol dire che quel che manca è la voglia. Poiché, a ben vedere, nessuno ha mai tempo per leggere. Né i piccoli, né gli adolescenti, né i grandi. La vita è un perenne ostacolo alla lettura.
“Leggere? Vorrei tanto, ma il lavoro, i bambini, la casa, non ho più tempo…”
“Come la invidio, lei, che ha tempo per leggere!”
E perché questa donna, che lavora, fa la spesa, si occupa dei bambini, guida la macchina, ama tre uomini, frequenta il dentista, trasloca la settimana prossima, trova tempo per leggere e quel casto scapolo che vive di rendita, no?
Il tempo per leggere è sempre tempo rubato. (Come il tempo per scrivere, d’altronde, o il tempo per amare.)
Rubato a cosa?
Diciamo al dovere di vivere.
……..
Il tempo per leggere, come il tempo per amare, dilata il tempo per vivere.
Se dovessimo considerare l’amore tenendo conto dei nostri impegni, chi si arrischierebbe? Chi ha tempo di essere innamorato? Eppure, si è mai visto un innamorato non avere tempo per amare?
Non ho mai avuto tempo di leggere, eppure nulla, mai, ha potuto impedirmi di finire un romanzo che mi piaceva.
La lettura non ha niente a che fare con l’organizzazione del tempo sociale. La lettura è, come l’amore, un modo di essere.
La questione non è di sapere se ho o non ho tempo per leggere (tempo che nessuno, d’altronde, mi darà), ma se mi concedo o no la gioia di essere lettore>>.

Grazie.


ANTONIO MELLONE
 
Di Redazione (del 03/02/2019 @ 15:45:19, in Necrologi, linkato 2403 volte)

E così se n'è andata anche la Michelina nostra.

Chi non la ricorda tutto il giorno dietro la finestra, alla luce del sole (si sta nella luce per fare bellezza), nella sua casa di fronte alla Trozza di Noha, con il capo chino sul telaio - il cerchietto in legno - con ago e filo tra le mani intenta a ricamare tessuti. Era il suo modo per imbastire i sogni sulla tela bianca, far fiorire lenzuola, merlare asciugamani, impreziosire tovaglie con l'arte appresa sin da bambina.

Un tempo, quando i corredi non erano snobbati, anzi costituivano "la dote" imprescindibile in ogni matrimonio, lavorata anche di notte per riuscire a finire il lavoro in tempo utile. Anche l'orlo del camice liturgico del parroco è stato intagliato dalle sue mani preziose, e la tovaglia dell'altare maggiore, e pure quella con il disegno di San Michele Arcangelo, patrono di Noha. Voleva sempre fare bella figura, la Michelina nostra, e ci riusciva, a costo di consumarsi gli occhi in cerca della perfezione.

Un tempo, quando nella processione del Corpus Domini in ogni strada di Noha veniva allestito l'altarino, le sorelle Tundo facevano a gara perché il loro fosse il più sontuoso, con quel trionfo multicolore di coperte, centrini, tendaggi e tappeti, molti frutto dell'abilità particolare delle loro mani esperte di intaglio, tombolo, filet, punto a giorno, chiacchierino...

Michelina ha sempre lavorato con grande concentrazione, onde evitare errori e sprechi, anche quando insieme alla sorella Giovanna, nella propria casa, gestiva la bottega di generi alimentari - un negozietto di cose buone ed essenziali come si usava una volta, prima dell'avvento degli ipermercati pieni di tutto, anche di quello che non serve.    

Sempre pronta nelle iniziative della comunità, Michelina non si è mai tirata indietro, nemmeno quando i ragazzi del Presepe Vivente le hanno chiesto di partecipare attivamente come attore protagonista. Per l’occasione non solo vestì i panni dell’antica ricamatrice, appunto, ma per la sua postazione, ubicata in una delle casette del Castello, tirò fuori dalla cascia tutto il suo armamentario, i pezzi più belli della sua collezione, gli attrezzi del mestiere degni del miglior museo della civiltà contadina.    

È proprio vero che la nostra vita somiglia spesso a un ricamo, un universo di trame, colori, forme e figure, bellezza e armonia: e rimane pur sempre appesa a un filo.

Condoglianze ai parenti e agli amici, e alla comunità di Noha.

La redazione di Noha.it

 
Di Albino Campa (del 14/02/2007 @ 15:13:03, in La Storia, linkato 6857 volte)

Eccovi le lezioni  tenute da
P. Francesco D'Acquarica - il 29 gennaio 2007
e da
Antonio Mellone - il 1 febbraio 2007
davanti a vasta e competente platea, nel ciclo di lezioni dell'Anno Accademico 2006-2007  dell'Università Popolare "Aldo Vallone" di Galatina, nei locali del Palazzo della Cultura, in piazza Alighieri, cuore di Galatina.
E' ora che la nostra storia varchi i confini e gli ambiti più strettamente "provinciali".

 

1)Lezione di P. Francesco D'Acquarica



2)Lezione di Antonio Mellone

Lunedi scorso da questa stessa “cattedra” ha parlato P. Francesco D’Acquarica. Il quale m’ha riferito di aver preparato la sua lezione con slides e foto che poi per questioni tecniche non ha potuto utilizzare.
Oggi chi vi parla, non disponendo,… anzi - diciamo tutta la verità - non avendo tanta dimestichezza nemmeno con quella diavoleria elettronica altrimenti chiamata Power Point, non ha preparato slides, né foto, non vi farà provare l’ebbrezza di effetti speciali (a prescindere dal loro funzionamento) e non vi proietterà nulla. E dunque, pur avendo oltre trenta anni di meno di P. Francesco, essendo molto meno tecnologico di P. Francesco, dimostrerà, con questo, come la storia a volte… possa fare salti indietro.

*

Quindi da un lato non vi proietterò nulla; dall’altro vi chiederò uno sforzo di immaginazione (ma alla fine vi suggerirò un supporto, uno strumento portentosissimo per fissare, per memorizzare quanto sto per dirvi. Poiché come diceva il padre Dante “… Non fa scienza, sanza lo ritener l’aver inteso”. La scienza è cioè contemporaneamente “comprensione” e “memoria”. Sapere le cose a memoria senza averle capite non serve a nulla; ma non serve a nulla nemmeno comprendere e non ricordarle! Cioè se uno intende, comprende, ma non ritiene, cioè non memorizza, è come se non avesse fatto nulla: o meglio non ha – diciamo – aumentato la sua scienza).

*

Questa sera cercheremo però in un modo o nell’altro di fare un viaggio nel tempo e nello spazio. E’ come se questa stanza si trasformasse in una macchina del tempo (ma anche dello spazio: ma non un’astronave!) che ci porti indietro nel tempo, nella storia, ma anche nella leggenda, nella favola, poiché, sovente, là dove scarseggia la documentazione, là dove il piccone dell’archeologo tarda a farsi vivo, è necessario supplire con altri dati, in molti casi con delle “inferenze” (che non sono proprio delle invenzioni) ma, diciamo, delle ipotesi ragionevoli.
Così dice il Manzoni nel capitolo XIII, allorché parla dello sventurato vicario – poi, bene o male, salvato, dalla inferocita folla, da Antonio Ferrer – “ Poi, come fuori di se, stringendo i denti, raggrinzando il viso, stendeva le braccia, e puntava i pugni, come se volesse tener ferma la porta… Del resto, quel che facesse precisamente non si può sapere, giacché era solo; e la storia è costretta ad indovinare. Fortuna che c’è avvezza.”
La storia è costretta ad indovinare; la storia s’inventa sovente le cose: fortuna che c’è avvezza.
La storia è avvezza ad inventar le cose!
E se lo dice il Manzoni stiamo tranquilli.
Dunque a volte nella storia può funzionare (e funziona: tranne che per qualche sofisticato prevenuto o per chi voglia leggere la storia con pretese inutilmente tormentatrici) la “ricerca interpretativa”; quella, per esempio, che porta un autore a dire esplicitamente quello che non ha detto, ma che non potrebbe non dire se gli si fosse posta la domanda.
Così in mancanza di documentazione la storia può servire non a darci delle risposte, ma a farci porre delle domande.
Le risposte ragionevoli a queste domande altro non sono che la costruzione della storia, nella quale – come dice Antonio Antonaci - il territorio, il folclore, la trasmissione orale, il dialetto, il pettegolezzo finanche, la leggenda il dato antropico, quello religioso, quello politico, ecc., si intersecano, uno complemento dell’altro…
E’ ormai pacifica un’altra cosa: lo storico, nelle sue ricostruzioni, inserisce il suo punto di vista, la sua cultura, finalità estranee ai testi ed ai fenomeni osservati. Per quanto cerchi di adattare il suo bagaglio concettuale all’oggetto della ricerca, lo storico riesce di rado a sbarazzarsi del filtro personale con cui studia le cose.

*

Ma prima, di procedere in questo viaggio fantastico, visto che vedo qualche volto perplesso (della serie: a che titolo questo sta parlando?) volevo dirvi chi è l’autista di questo autobus, chiamiamolo pure pulman turistico diretto verso Noha: la guida, se volete, di questa sera.
Dunque mi presento intanto dicendovi che sono Antonio Mellone. E su questo non ci piove.
E poi come constato con piacere, in mezzo a voi questa sera ci sono tanti miei cari ed indimenticati maestri che mi hanno avuto alunno alle scuole superiori: oltre al prof. Rizzelli, vedo la prof.ssa Benegiamo, la prof.ssa Baffa, la prof.ssa Giurgola, il prof. Carcagnì, la prof.ssa Tondi, la prof.ssa Masciullo, il prof. Beccarrisi, il prof. Bovino conterraneo, il preside Congedo, vedo l’ing. Romano, e tanti altri illustri professori delle medie, dei licei, della ragioneria ed anche dell’Università di Lecce, come il prof. Giannini, che ringrazio per le parole a me indirizzate. Sicché stasera più che in cattedra, mi sento interrogato, diciamo.
Grazie per l’onore che mi concedete nel parlare a voi, siate indulgenti con me, come tante volte lo siete stati allorché sedevo … dall’altra parte della cattedra!

*

Dunque per chi non mi conoscesse…
Sono di Noha, 39 anni, laurea cum laude in Economia Aziendale presso la Bocconi di Milano, dottore commercialista e revisore ufficiale dei conti, attualmente impiegato alle dipendenze di un importante istituto di credito (importante è l’istituto di credito: non io!) con la carica di Direttore della filiale di questa banca in quel di Putignano, in provincia di Bari.
Ecco: finora questi dati sono soltanto serviti a confondervi ulteriormente le idee, perché da subito spontanea sorge in voi la domanda: e questo Mellone cosa c’azzecca con la storia di Noha?
Allora aggiungo qualche altro dato: e vi dico che sono di Noha e che quell’Antonio Mellone che scrive su “il Galatino” (e gli argomenti nella maggior parte dei casi vertono su temi nohani) da ormai oltre 10 anni, è il sottoscritto.
Non solo, aggiungo e quadro il cerchio, dicendovi che ho curato e scritto insieme a P. Francesco D’Acquarica per l’editore Infolito Group di Milano nel mese di maggio 2006, il libro “Noha. Storia, arte, leggenda”, sul quale ritornerò qualche istante alla fine della nostra conversazione.
Fatta tutta questa premessa di carattere metodologico (che se volete potete considerare pure come “excusatio non petita”) entriamo nel vivo della discettazione, o lectio, o “lettura” che dir si voglia (così come un tempo veniva chiamata una lezione universitaria).

*

Per la Storia di Noha, questa sera, non faremo un exursus: salteremo da palo in frasca, parleremo di tutto di più, ma vedrete che, senza dirvelo, un filo conduttore, un disegno, fra tutte queste disiecta membra ci sarà.

*

La prima domanda che sento rivolgermi da tutti quelli con cui discetto di Noha è la seguente: da dove deriva questo nome?
Risposta a voi qui presenti: ve ne ha già parlato P. Francesco D’Acquarica lunedì scorso.

*

Una curiosità intanto: sapete cosa significa Noha nell’arcaico linguaggio degli indiani d’America? Il lemma “Noha” significa: auguri di prosperità e gioia. L’ho scoperto sentendo un CD dal titolo The sacred spirit - Indians of America. Collezione Platinum Collection 2005. Quindi a qualcuno se volete augurare salute, prosperità e gioia, d’ora in avanti, al compleanno, a Natale o al compleanno, potete dirgli “Noha”. Noha: e non sbagliate!

* * *

P. Francesco la volta scorsa vi ha parlato di una serie di ipotesi a proposito del nome Noha. Io questa sera vi racconto un mito: quello della principessa Noha, che poi avrebbe dato il nome al nostro paese, che prima si chiamava NOIA..
… Noha era una bellissima principessa messapica, che per amore di un giovane principe-pastore, Mikhel, principe di Noia, si stabilì in quel paese cui poi diede il nome.

*

Nei campi dell’antica Messapia, per una traccia di sentiero, segnata da innumerevoli piedi nudi tra le erbe, (solo le più abbienti portavano i calzari) le donne messapiche, sguardo fiero di occhi neri e pelle bruna, capelli lucidi aggrovigliati e andatura energica, portavano con sé panieri pieni di cicorie e formaggio.
Andava, sì, scalza, anche la principessa Noha, mentre le piante dei piedi si espandevano illese sul sentiero, ma il suo portamento, il piglio, il tintinnio dei suoi monili e la cura con cui annodava i capelli e li fermava con cordelle di seta colorata, manifestavano la sua origine regale, nonché la sua voglia di essere bella.
Quando fu il tempo deciso dal re suo padre, Noha si trovò a dover scegliere quale compagno di vita uno fra i molti pretendenti invitati a palazzo…
Ogni pretendente portò con se un dono, secondo le proprie possibilità. Ora, uno portò collane di diamanti costosissime, un altro un anello d’oro molto prezioso, un altro ancora in dote avrebbe portato terreni e palazzi…
Ma la saggia principessa Noha, fra i tanti corteggiatori, per condividere la sua vita, scelse Mikhel, principe di Noia, che le aveva portato in dono solo ciò di cui egli era dotato: e cioè il sorriso, la gentilezza, la semplicità, il rispetto dell’ambiente, l’altruismo, la gratitudine, il senso del dovere e tutto quanto fa vivere in armonia con se stessi, con gli altri e con il creato. Noha reputò che questo era un vero e proprio scrigno di tesori.
Noha rinuncia così per amore allo sfarzo ed agli agi del castello della “Polis” di suo padre (che viveva nella importante città di Lupiae), vivendo felice e contenta nella cittadina del suo Mikhel.

Mikhel e Noha celebrarono le loro nozze a palazzo reale, ma poi vissero la loro vita coniugale nella piccola Noia, nella semplicità, nella concordia e nell’armonia e la governarono così bene da rendere tutti felici e contenti.
Fu così che il popolo, grato, scelse democraticamente di cambiare il nome della cittadina da Noia in Noha.

* * *

Ora allacciate ben bene le cinture di sicurezza: andiamo finalmente a Noha!
La volta scorsa avete avuto modo di conoscere la chiesa piccinna, il Pantheon della Nohe de’ Greci, una chiesa che si trovava proprio in centro, accanto alla chiesa madre, dedicata a san Michele, patrono di Noha.
Questa chiesa piccinna era dedicata alla Madonna delle Grazie, compatrona di Noha, e presentava all’interno degli affreschi. Non esistono delle foto che la ritraggono nella sua interezza: ma soltanto dei disegni di chi la ricorda bene, e qualche foto di piccoli brani dell’interno e dell’esterno di questo monumento.
Era di forma ottagonale. Io non l’ho mai vista (se non in disegno e nelle foto di cui dicevo).
Ma se vi volessi dare una mano o qualche idea ad immaginarla, vi direi che era molto somigliante alla vostra chiesa delle anime (aveva una cupola, però, con dei grandi finestroni).

Ma questo monumento non c’è più: abbattuto, come molti altri…
Ma è inutile ormai piangere sul monumento abbattuto, così come è inutile piangere sul latte versato. Ma questo non è l’unica chiesa abbattuta. Le chiese di Noha abbattute furono molte… Ve ne ha già parlato P. Francesco…
Ma non vi preoccupate. Non sono state abbattute proprio tutte. Qualcuna rimane ancora e qualcun’altra è stato costruita ex novo.
Oggi ne rimangono in piedi, (molte rifatte ab imis) - oltre alla chiesa Madre, dedicata a San Michele Arcangelo, la chiesa della Madonna delle Grazie inaugurata nel 2001, la chiesa di Sant’Antonio di Padova, (che per la forma ricorda in miniatura la basilica del Santo a Padova), la chiesa della Madonna di Costantinopoli, e la chiesa della Madonna del Buon Consiglio e la grande chiesa del cimitero, il quadro del cui altare maggiore, ricordo da ragazzino allorchè ero chierichietto, rappresentava la Madonna del Carmine.
Ma questa sera non voglio portarvi in giro per chiese… che magari vedremo una prossima volta.

*

Ma si diceva: un tempo le persone non capivano erano iconoclaste incoscientemente; non si dava importanza ai beni culturali, si abbatteva tutto con facilità.
Può darsi.
Ma questo poteva essere vero quaranta o cinquanta anni fa.
Ma oggi?
Un delitto contro la cultura e la storia, lo stiamo compiendo noi (non il tempo!) oggi: nel 2007! Noi di Noha; voi di Galatina: anche voi che mi state ascoltando, nemmeno voi ne siete esentati.
Perché? Perché tutti siamo responsabili di qualcosa.
Per esempio siamo responsabili se non conosciamo questi luoghi e questi fatti che si trovano ad un fischio da noi. Dovremmo cioè smetterla di pensare al mondo, solo quando al mondo capita di transitare dal tinello di casa nostra!
Il piccone della nostra ignavia si sta abbattendo giorno dopo giorno su quale monumento? Sulla torre medievale di Noha.
Si, perché, signori, se non lo sapete a Noha c’è una torre medioevale le cui pietre gridano ancora vendetta. E questa torre si trova proprio in centro. Dentro i giardini del castello.

*

Al di là di un muro di cinta, in un giardino privato (ma trascurato: quindi non sempre il privato è meglio del pubblico), dunque in un giardino tra alberi di aranci mai potati. Questa torre si regge ancora, da settecento e passa anni, come per quotidiano miracolo: la torre medioevale di Noha, XIV secolo, 1300.
Da quella torre, addossata al castello, riecheggiano ancora le voci lontane di famiglie illustri nella vita politica del mezzogiorno d’Italia. A Noha abitarono i De Noha, famiglia nobile e illustre che certamente ha avuto commercio con i Castriota Scanderbeg e gli Orsini del Balzo, signori di San Pietro in Galatina (città fortificata chiusa dentro le sue possenti mura), ma anche con Roberto il Guiscardo e chissà forse con il grande Federico II, l’imperatore Puer Apuliae, che nel Salento era di casa.
Da Noha passava una strada importante, un’arteria che da Lecce portava ad Ugento, un’autostrada, diremmo oggi, che s’incrociava con le altre che conducevano ad Otranto sull’Adriatico o a Gallipoli, sullo Ionio.
Da Noha passarono pellegrini diretti a Santa Maria di Leuca e truppe di crociati pronti ad imbarcarsi per la terra santa, alla conquista del Santo Sepolcro…

La sopravvivenza stessa e lo sviluppo dell’antico casale di Noha debbano molto a questa torre di avvistamento e di difesa, situata su questo asse viario di cui abbiamo già parlato (così come riconoscenti ai loro edifici fortificati devono essere Collemeto e Collepasso; mentre a causa della mancanza di tali strutture difensive vita breve ebbero i casali di Pisanello, Sirgole, Piscopio e Petrore).

La “strada reale di Puglia” ed in particolare la sua arteria che congiungeva Lecce ad Ugento, nata su un tracciato di strada preromana, aveva proprio nelle alture di Noha e Collepasso, e nelle rispettive torri, due punti strategici di controllo e difesa del percorso.

Come si presenta dal punto di vista architettonico?
La torre di Noha, che raggiunge i dieci metri d’altezza permettendo così il collegamento a vista con le altre torri circostanti, si presenta composta da due piani di forma quadrangolare. Una bella scala in unica rampa a “L” verso est, poggiata su un arco a sesto acuto, permetteva l’accesso alla torre tramite un ponte levatoio (una volta in legno oggi in ferro).
La torre è stata realizzata con conci di tufo regolari, un materiale che ha permesso anche un minimo di soluzioni decorative: la costruzione infatti è coronata da un raffinata serie di archetti e beccatelli.
Dei doccioni in pietra leccese permettevano lo scolo dell’acqua della terrazza (con volta a botte).

*

Chiuso anche questo argomento della torre.

* * *

Nel complesso del castello si trovano (oltre al castello stesso: ma di questo non ve ne parlo) altri monumenti: il primo è curiosissimo. Si tratta delle “casette dei nani o degli gnomi”, anche queste un mistero. (Il secondo è un ipogeo; il terzo la “casa rossa”)
Le casette dei nani.
Le avete mai viste? Qualcuno di voi le ha mai viste? Sapete cosa sono? E dove si trovano?
E’ una specie di villaggio in pietra leccese, un capolavoro di architettura, fatto di tante casette piccole, che sembrano tante case dei nanetti. Si trovano sulla terrazza di una casa che fa parte del complesso del castello di Noha. Una delle case dove abitavano i famigli, i servi dei signori del palazzo.

Il villaggio di Novella frazione di Nove è fatto di casette piccine e leggiadre: un piccolo municipio, la piazzetta, la chiesetta con un bel campanile, la scuola, la biblioteca, le casette degli altri gnomi, il parco dei giochi, ecc.
Nel paese di Novella non vi erano mega-centri commerciali, aperti sette giorni su sette e fino a tarda ora; ma negozietti e botteghe a misura d’uomo… anzi di gnomo… di gnomo.

Così, da basso (lasciando alle spalle la farmacia di Nove) basta alzare lo sguardo e tra la folta chioma di un pino marittimo, si riesce ad intravedere il campanile ed il frontespizio di una “casetta” dalla quale sporge un balconcino arzigogolato, finemente lavorato.
Ma per poter vedere tutto quanto il paese di Novella bisogna salire sulla terrazza di quella casa - chiedendo il permesso alle gentilissime signore che attualmente abitano il primo piano del castello.
Quando passate da Noha, fermatevi un attimo ad ammirare i resti di queste casette. Sono ricami di pietra, lavoro di scalpellini e scultori che hanno creato opere d’arte. Anche queste casette-amiche ci chiedono di essere restaurate.

*

Ora facciamo quattro passi a piedi (abbiamo lasciato il nostro pulman virtuale) e attraverso via Castello dirigiamoci verso il centro della cittadina.
Stiamo calpestando un luogo antico ed un manto stradale che cela un sotterraneo: è un ipogeo misterioso.

*

Nella primavera del 1994 a Noha, fu una ruspa, impegnata in lavori alla rete del gas metano, durante lo scavo di una buca, sfondandone improvvisamente la volta, a portare alla luce un mondo sotterraneo, un ipogeo misterioso di notevoli dimensioni.
Il gruppo speleologico leccese "'Ndronico" invitato dall’allora sindaco prof. Zeffirino Rizzelli, provvide alla perlustrazione, ai rilievi ed alle analisi di quegli antri. E conclusero che si era in presenza di un reperto di archeologia industriale di Terra d'Otranto: un frantoio ipogeo.
Concordo con questa conclusione e con la relazione degli speleologi. Però aggiungo che è proprio della scienza la ricerca continua di elementi che possano confutare o confermare una tesi.
La tesi in questo caso è quella della vox populi che narra di un passaggio segreto in grado di collegare il palazzo baronale di Noha con la masseria del Duca nell'agro di Galatina.
E come in molti altri Castelli italiani o stranieri avviene, è ragionevole ipotizzare che anche in quello di Noha possano esserci anfratti, nascondigli, passaggi, dei trabucchi, carceri e bunker sotterranei, al riparo da occhi indiscreti, o di difesa dalle armi nemiche, o assicurati contro facili evasioni, o in grado di imporre dura vita ai prigionieri.
Vi sono in effetti alcuni elementi contenuti nella relazione e confermati da una nostra visita che abbiamo avuto la fortuna di compiere proprio in questo ipogeo, durante l'estate del 1995, insieme ad un gruppo di amici (tra i quali P. Francesco D'Acquarica: non pensavamo dieci anni fa di scrivere un libro a quattro mani) elementi, dicevo, che fanno pensare che ci sia un collegamento tra il Palazzo Baronale, l'adiacente Torre medioevale, l'Ipogeo stesso e chissà quali altri collegamenti.

Dalla relazione degli speleologi si legge: "sul lato Nord si diparte un corridoio che, dopo alcuni metri, si stringe e permette di accedere ad un pozzo d'acqua stagnante sotto una pittoresca piccola arcata bassa, di elegante fattura e dolcemente modellata e levigata, dinanzi alla quale siamo costretti a fermarci…". Poi ancora un altro brano dice: "…la pozza sull'altra sponda presenta una frana in decisa pendenza accumulata fino alla sommità superiore di un arco ogivale che a sua volta sembrerebbe nascondere un passaggio risalente in direzione del Palazzo Baronale..". In un altro stralcio leggiamo: " …esiste un cunicolo a Sud. Tale galleria risulta riempita, al pavimento e sino ad una certa altezza, di terriccio, per cui abbiamo proceduto carponi. Il corridoio di mt. 11,00 circa, largo mt. 1,10 ed alto nel punto massimo mt. 1,30, mette in comunicazione i due ipogei, come se il primo volesse celare il secondo in caso di assedio…". Infine in un altro pezzo è scritto: "Ripartendo dalla scalinata Sud ed inoltrandoci nella parte destra, a circa 6,00 mt., vi è un tratto di parete murata come se si trattasse di una porta larga circa mt. 1,30…"
Dalle mappe abbozzate risultano a conferma "porte murate", "probabili prosecuzioni", "cunicoli da utilizzare in caso di assedio".
Se questi elementi da un lato, non dandoci certezze, ci permettono di fantasticare e nutrire mitiche leggende di "donne, cavallier, arme e amori” o il mito dell’Atlantide sommersa proprio a Noha; dall'altro potrebbero servire agli addetti ai lavori, agli studiosi, per proseguire, nella ricerca di altre tessere importanti del mosaico di questa storia locale. Per ora questo ipogeo è chiuso e dimenticato da tutti.

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Un altro mistero. Vedete quanti misteri. Questa sera più che Antonio Mellone sembro Carlo Lucarelli, con la sua trasmissione Bluenotte, quella che va in onda su Rai tre.

Ora un cenno ad un altro mistero, un monumento: la Casa Rossa.

La Casa Rossa è una costruzione su due piani, che un tempo era parte del complesso del palazzo baronale di Noha (o Castello). E’ così chiamata a causa del color rosso mattone delle pareti del piano superiore. La Casa Rossa ha qualcosa che sa di magico: è un’opera originale e stravagante.
Da fuori e da lontano, dunque, si osserva questa specie di chalet, rosso, dal soffitto in canne e gesso, con tetto spiovente (cosa rara nel Salento), con due fumaioli, una tozza torre circolare, a mo’ di garitta a forma di fungo, con piccole finestre o vedute.
L’ingresso alla Casa Rossa si trova sulla pubblica strada, continuazione di Via Michelangelo, nel vico alle spalle della bella villa Greco (oggi Gabrieli).

Il piano terra invece pare ricavato nella roccia: all’interno si ha l’impressione di vivere in una grotta ipogea, scavata da una popolazione africana. Le pareti in pietra, prive di qualsiasi linearità, hanno la parvenza di tanti nidi di vespe, con superfici porose, spugnose, completamente ondulate, multicolori (celestino, rosa e verde), ma dall’aspetto pesante: somigliano quasi a degli organismi naturali che sorgono dal suolo.
In codesta miscela d’arte moderna e design fiabesco, ogni particolare sembra dare l’idea del movimento e della vita.
I vari ambienti sono illuminati dalla luce e dai colori che penetrano dalle finestre e dalle ampie aperture da cui si accede nel giardino d’aranci.
In una sala della Casa Rossa c’è un gran camino, e delle mensole in pietra.
In un’altra v’è pure una fonte ed una grande vasca da bagno sempre in pietra, servite da un sistema di pompaggio meccanico (incredibile) dell’acqua dalla cisterna (cosa impensabile in illo tempore in cui a Noha si attingeva con i secchi l’acqua del pozzo della Trozza o dalla Cisterneddhra, che sorgeva poco lontano dalla Casa Rossa, mentre le abluzioni o i bagni nella vasca da bagno, da parte della gente del popolo, erano ancora in mente Dei).
Le porte interne in legno, anch’esse, come le pareti, sembrano morbide, come pelle di vitello. Il cancello a scomparsa nella parete e le finestre che danno nel giardino sono grate in ferro battuto e vetro colorato. I vetri (quei pochi, purtroppo, superstiti) rossi, blu e gialli ricordano per le loro fantasie iridescenti le opere di Tiffany.
Al piano superiore si apre un ampio terrazzo, abbellito con sedili in pietra, che permetteva di godere del panorama del parco del Castello o del fresco nelle calde serate estive.
Ma cosa possa, di fatto, essere la Casa Rossa (o a cosa potesse servire) rimane un mistero.
Alcuni la ritengono come il luogo dove venivano accolti gli ospiti nel periodo estivo, del solleone; altri come la casa dei giochi e degli svaghi della principessina (proprio come era la Castelluccia che si trova nel parco della Reggia di Caserta); altri ancora ipotizzano che si tratti di un “casino” di caccia.
Qualcuno maliziosamente afferma che fosse adibita a casa di tolleranza.
Le leggende sul conto della Casa Rossa s’intrecciano numerose: storie di spiriti maligni e dispettosi, di persone che sparivano inspiegabilmente, di briganti che là avevano il loro quartier generale, di prigionieri detenuti che nella Casa scontavano, castighi, torture, o pene detentive.
Qualcuno azzarda anche l’idea che fosse abitata dalle streghe, o infestata dai fantasmi; qualcun altro dice addirittura che fosse occupata dal diavolo in persona (per cui un tempo la Casa Rossa di Noha era uno spauracchio per i bambini irrequieti)…

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La Casa Rossa di Noha a me sembra un vero e proprio monumento in stile Liberty.
Il Liberty è il complesso e innovativo movimento stilistico europeo che si diffuse tra il 1880 e il 1910.
Elemento dominante di questa “moda” sono le linee curve ed ondulate, spesso definite con l’espressione coup de fouet (colpo di frusta), ispirate alle forme sinuose del mondo vegetale e combinate ad elementi di fantasia. Non fu un unico stile: ogni nazione lo diversificò, lo adattò, lo arricchì secondo la propria cultura.
Il modernismo o arte nuova (art nouveau) toccò anche Noha e Galatina. E la Casa Rossa, quindi, costruita con molta probabilità tra l’ultimo ventennio del 1800 ed il primo del 1900, è la massima espressione di quest’epoca, che diventerà in francese belle epoque, in nohano epoca beddhra.

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Allora vi ho parlato fino a questo momento di monumenti. Vi avrei potuto parlare dei personaggi di Noha. Ce ne stanno. Ce ne stanno. E molti pure!
Se vi va lo faremo una prossima volta.
Ora permettetemi solo di fare un cenno ad un solo personaggio di Noha, scomparso recentissimamente. Lo merita. E’ venuto a mancare a Firenze all’età di 53 anni. Era un artista. Un grande.
Era il grande Gino Tarantino, architetto, scultore, pittore, fotografo: un maestro, un esteta.
Ha vissuto gli anni della giovinezza a Noha e dopo ha studiato architettura a Firenze, dove è rimasto e dove ha creato la maggior parte delle sue opere d’arte. Originali e geniali. Gino Tarantino era un artista, ma, prima di tutto, un uomo intelligente e sensibile. Un uomo che ha dato lustro a Noha ed al suo Salento (la sua opera fu perfino pubblicata da “Flash-art”, rivista d’arte e cultura, conosciuta in tutto il mondo, se non altro dagli addetti al settore)…

Qualcuno lo definiva un tipo “eccentrico”.
Io l’ho conosciuto nel corso della scorsa estate. Gino Tarantino aveva piacere di trascorrere le vacanze a Noha, nella sua terra natale, ne amava il sole, il mare, la luce ed in fondo anche la gente. Colse molti volti salentini, specialmente di adolescenti e giovani. Creava e lavorava anche in vacanza: disegnava, fotografava, impastava, scolpiva, plasmava.
Creava. Elaborava interiormente immagini su immagini.
Era il Gaetano Martinez di Noha.

Diciamo che era un tipo originale, anticonformista, estroso, creativo, uno spirito libero, uno che volava alto con il pensiero, non influenzato dalla banalità delle immagini televisive (“non ho la televisione. Non ho neanche un’antenna” – diceva. E veramente, nemmeno la macchina e nemmeno la patente: per scelta di vita).
Era cordiale, sorridente e (anche a detta di molte donne) un tipo affascinante.
Le sue opere stupiscono e incantano, seducono ancora e riescono, con combinazioni inedite di elementi noti, a dare idea di quanto la mente umana sia in grado di inventare.
Con la sua arte e le sue capacità intellettive ha lottato per integrarsi in quel mondo (chi è del giro sa) così duro e ristretto degli artisti, e delle gallerie; un campo difficile, e ancor peggio, in una città come Firenze: culla dell’Arte Italiana.
Uno spirito così libero ed estroverso come Gino non avrebbe mai accettato di fare altro. A volte partecipava a progetti di architettura (ha arredato case di illustri personaggi a Roma, a Parigi, in Spagna ecc.) ma esclusivamente per ragioni economiche: preferiva dedicare il suo tempo e le sue energie alle sue sculture, alle sue opere la cui rendita economica, come sempre accade per l’arte in genere, si proietta quasi sempre in un futuro estremo.
Ci auguriamo che quanto prima molte sue opere rimesse sul vagone (anzi su più di un vagone) di un treno tornino a Noha. E che presto trovi giusta collocazione nella storia, nell’arte e nella leggenda anche Gino Tarantino e la sua opera, finalmente catalogata e rivalutata.
Purtroppo, dobbiamo constatare ancora una volta che anche per Gino Tarantino vale la legge della morte quale condizione necessaria per l’immortalità della fama!

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A mo’ di notizia in anteprima (questa non è storia, non è attualità è futuro… prossimo) vi comunico che con un gruppo d’amici abbiamo dato vita ad una redazione che sta per dare alla luce un nuovo periodico (di cui non conosciamo, pensate un po’, neanche la periodicità!) on line dalla testata che suona così: L’OSSERVATORE NOHANO. Somiglia per assonanza, ma solo per assonanza all’altra testata ben più famosa: l’organo della Santa Sede. Ma rispetto a quello il nostro è di matrice puramente laica. Rispetteremo la chiesa cattolica così come rispetteremo, né più né meno, le altre Istituzioni.
Abbiamo dedicato il primo numero a Gino Tarantino, del quale vorremmo poter emulare la libertà del pensiero e dell’azione (sempre nel rispetto degli altri, s’intende). Potete accedere al nostro Osservatore attraverso il sito www.Noha.it e buona navigazione. Come dicevo non sappiamo dove tutto questo potrà portarci: a noi interessa partire con entusiasmo e dirigerci ed andare là dove ci porterà il cuore.

* * *

Lo strumento portentosissimo di cui vi parlavo all’inizio di questa mia relazione che volge al termine (vi ricordate quando dicevo: non fa scienza sanza lo ritener l’aver inteso?), dunque questo strumento è (non poteva essere altrimenti) un libro. Il libro scritto a quattro mani dal sottoscritto e da Padre Francesco: il titolo: “Noha. Storia, arte e leggenda”. Un libro prezioso, per il contenuto, e pregiato per il contenitore. Che questa sera chi lo volesse potrebbe farlo ad un prezzo speciale. Prezzo speciale Università Popolare 30 euro, anziché 35.
Ma non voglio fare la Vanna Marchi della situazione. E non vorrei approfittarne. Se lo volete me lo chiedete. Altrimenti non fa nulla.

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Cari amici concludo.
Questa sera vi ho parlato di Noha.
Ve ne ho parlato per contribuire solo un poco alla sua conoscenza. Perché si sa che la conoscenza è condizione necessaria (e sufficiente, dico io) per il rispetto e per l’amore dei luoghi, delle persone e della loro storia.
La conoscenza ci rende un po’ più umili. E l’umiltà ci permette non di giudicare, non di guardare dall’alto verso il basso, ma di guardare dentro, di sintonizzarci, di imparare, di capire, di rispettare.
Solo con questi atteggiamenti miglioreremo: e staremo bene con noi stessi e con gli altri.
Mi auguro che non pensiate soltanto che Noha sia come la cronaca nera ci fa leggere sui giornali soltanto la cittadina della mafia o della sacra corona unita. Non è questo. Non è solo questo. Come ho cercato di raccontarvi fino a questo momento.
Mi auguro dunque alla fine che amiate un po’ di più Noha, i suoi monumenti, la sua storia, i suoi abitanti, e - se questa serata non v’è dispiaciuta affatto – anche chi vi ha parlato finora, tenendovi incollati o inchiodati alla sedia.
Se invece fossi riuscito soltanto ad annoiarvi: guardate non l’ho fatto apposta!

Grazie.

 

Quella che oggi è “solo” frazione del Comune di Galatina fino a qualche secolo fa era un centro autonomo con una chiesa matrice, un castello, mura di difesa, il nome potrebbe derivare dalla famiglia de Noha già presente in alcuni documenti del 1253. L’autonomia del feudo de Noha è stata sottolineata dalla torre campanaria con orologio, costruita dalla famiglia Congedo agli inizi del XIX secolo e dalla presenza di uno stemma proprio: tre torri coronate che poggiano su un ramo d’arancio ed uno di leccio.

Dal punto di vista ecclesiastico la chiesa era sotto la giurisdizione della diocesi di Nardò e non di Otranto, come la vicinissima Galatina. Del patrimonio medievale è possibile ancora ammirare la torre di guardia del XIII secolo che ha conservato intatta la struttura originaria: la scalinata in pietra staccata dalla torre, cui si poteva accedere solo con il ponte levatoio ( ancora presente all’interno).

A Noha, agli inizi del Novecento, la rinomata distilleria Galluccio produceva il brandy migliore per tutto il mondo. Il grande complesso, che oggi dovrebbe essere un vanto dell’archeologia industriale, prevedeva anche una costruzione piuttosto anomala che gli abitanti ancora oggi chiamano la casa rossa:  una costruzione in pietra che ricorda le baite di montagna, con ambienti interni che simulano grotte e anfratti. Un gusto dell’eclettico figlio dello stile liberty di quegli anni, che attingeva alle diverse forme della natura. Sempre agli inizi del XX secolo mastro Cosimo Mariano, muratore, realizzava degli edifici in miniatura sulla balconata del castello, modellini in pietra di edifici realizzati per tutta la provincia di Terra d’Otranto. Si tratta delle “casiceddhe de Noha”, un tesoro di tradizione popolare, antesignane dell’Italia in Miniatura,che negli anni hanno alimentato storie e leggende. E poi il ricchissimo sottosuolo di Noha: una serie di frantoi ipogei che producevano l’ olio lampante destinato a Gallipoli.

Quanta storia, un patrimonio unico, che oggi 1471 cittadini chiedono che venga sottoposto a tutela e rivalorizzato. La raccolta firme è stata promossa in occasione della festa patronale di S. Michele Arcangelo grazie alla sensibilità del gruppo Mimì, in collaborazione con il circolo ricreativo le Tre Torri, aziende private e singoli cittadini che non ci tengono affatto che un tesoro che ha resistito alle insidie del tempo e della storia vada perduto nel giro di pochi anni.

 Il pericolo maggiore è che buona parte dei beni fin qui descritti, essendo privati, possano essere distrutti per far posto a moderni ed anonimi edifici: l’intero complesso del castello, con le casiceddhre e lo splendido aranceto è già stato posto in vendita. Parte delle fabbriche Galluccio vedrà presto la realizzazione di immobili. La rivalorizzazione di questi beni potrebbe essere un ulteriore elemento economico per il tessuto di Noha e non solo, basti pensare al presepe vivente che anche quest’anno verrà riproposto all’interno dell’antica masseria Colabaldi, del XVI secolo. Un evento che lo scorso anno ha contato 15.000 presenze. Basta poco per muovere tanto: e’ un appello agli organi amministrativi e alla Sopraintendenza della Puglia per la salvaguardia di un intero borgo quale è quello di Noha. E’ quello che chiedono 1471 firme.

Bibliografia: F. D’Acquarica, A. Mellone, Noha , storia, arte, leggenda,Milano, 2006

M. D’Acquarica, I Beni Culturali di Noha, Galatina, 2009

torre XIII secolo

Angela Beccarisi

 
Di Antonio Mellone (del 20/12/2014 @ 14:51:49, in Presepe Vivente, linkato 3019 volte)
Il presepe vivente di Noha si lascia alle spalle la cinquecentesca masseria Colabaldi per trasferirsi nel cuore del caratteristico paesino e offrire così ai visitatori l'opportunità di addentrarsi tra le sue peculiari bellezze.
 
I numerosi personaggi che interpretano mestieri e scene di vita quotidiana di un antico villaggio si muovono tra via Castello, via Donatello e via Cisternella impegnati nelle proprie mansioni anche all'interno delle casette poste sul lato destro del maniero di Noha, dimore un tempo abitate dai famigli del feudatario.
 
Sulla sommità dell'ultima di queste dimore è possibile ammirare quel capolavoro di scultura in pietra leccese che tutti conoscono come il complesso monumentale delle "casiceddhre" [inserito da poco nel catalogo del FAI, Fondo Ambiente Italiano, ndr].
 
Tra artigiani e contadini, pastori e massaie non possono mancare i nobili destrieri e i cavalieri - dato che questa è anche "la Città dei Cavalli" - ma si possono trovare anche altri animali da masseria e da cortile di ogni taglia, dalle galline alle pecore, dagli asinelli alle mucche, alle capre, ai maialini.
 
Il percorso illuminato da fiaccole (mentre su all'ingresso di ogni casa nohana brillerà un piccolo lumicino) si fa più suggestivo e magico giungendo al cospetto della Natività allestita nel luogo simbolo di questo presepe e di tutto il borgo: la "Casa Rossa".
 
Soffitto in canne e gesso, tetto spiovente, una torre circolare a mo' di garitta, e, al pianoterra, ambienti come scavati nella roccia, la casa rossa (che prende l'appellativo - più che il solo attributo - dall'antichissimo color rosso pompeiano dei suoi elementi) immersa in un aranceto - giunta fino a noi quasi per quotidiano miracolo con un bel contorno di leggende tutte da scoprire - quest'anno ci racconterà ancora una volta la Storia di un Dio che decise di farsi Uomo.
 
Il Presepe Vivente di Noha è aperto nei giorni 25, 26, 28 dicembre e 1, 4 e 6 gennaio, dalle ore 16 alle ore 22.30.
 
[fonte: quiSalento, 15 - 31 dicembre 2014]
 
Di P. Francesco D’Acquarica (del 18/03/2018 @ 14:49:35, in I Beni Culturali, linkato 2263 volte)

L’affresco in questione, di autore sconosciuto,  può essere databile tra il 1600/1700 ed è molto deteriorato perché ha subìto l’incuria dell’uomo e il logorio del tempo. Si trova in Via Calvario, di fronte all’affresco di S. Michele, in una nicchia alta  poco più di un metro e larga circa 60 centimetri, ricavata nel muro di fronte a chi sale le scale dell’abitazione della Sig.ra Concettina Tundo.           

            Si tratta della Madonna del Carmine. La Santissima Vergine è incoronata. Con il braccio sinistro regge Gesù Bambino. Con la mano destra porge l’abitino o scapolare a qualcuno che è in basso ai suoi piedi: infatti si intravedono due santi e forse sono San Pietro e il Beato Andrea Conti. La mia ipotesi della identificazione dei due santi è supportata dal fatto che, come leggerete fra poco, la stessa immagine era riprodotta in una grande tela posta nella vicina chiesa madre all’altare delle Anime del Purgatorio.

            A proposito dell’origine della de-vozione alla Madonna del Carmelo possiamo ritenere questa breve sintesi pubblicata dal giornale cattolico l’Avvenire.

           Il primo profeta d'Israele, Elia (IX sec. a.C.), dimorando sul Monte Carmelo, ebbe la visione della venuta della Vergine, che si alzava come una piccola nube dalla terra verso il monte, portando la pioggia e salvando Israele dalla siccità. In quella immagine tutti i mistici cristiani e gli esegeti hanno sempre visto la Vergine Maria, che portando in sé il Verbo di-vino, ha dato la vita e la fecondità al mondo. Un gruppo di eremiti, «Fratelli della Beata Vergine Maria del Monte Carmelo», costruirono una cappella dedicata alla Vergine sul Monte Carmelo. I monaci carmelitani fondarono, inoltre, dei monasteri in Occidente. Il 16 luglio del 1251 la Vergine, circondata da angeli e con il Bambino in braccio, apparve al primo Padre Generale dell'Ordine, beato Simone Stock, al quale diede lo «scapolare» col «privilegio sabatino», ossia la promessa della salvezza dal-l'inferno, per coloro che lo indossano e la liberazione dalle pene del Purgatorio il sabato se-guente alla loro morte. (dal giornale quotidiano l’Avvenire)

            La devozione alla Madonna del Carmine è molto diffusa un po’ dovunque. Anche a Noha lo era. Don Michele Alessandrelli (1812-1882) che fu arciprete di Noha dal 1847 al 1882, in una sua relazione del 1850 così descrive l’altare e la cappella della Madonna del Carmine o delle Anime del Purgatorio che si trovava nella chiesa madre di Noha:

            E cominciando dall'Altare Maggiore verso la porta  Maggiore a man destra vi sta il Cappellone delle Anime del Purgatorio, che ha la lamia a spicolo pittata. L'Altare è privileggiato. Sta per suo uso tre tovaglie di tela paesana, le Carte Gloria, un Crocefisso, ostensori in numero 7. Candelieri piccoli 2. Un leggile, ed un quadro grande di cappella col suo cornicione indorato con canaletti coloriti, dove si sta dipinta l'immagine della Beatissima Vergine di Monte Carmelo, che tiene il Bambino Gesù in braccia con abitini in mano: sotto della quale figura stan dipinte l'Anime Sante del Purgatorio, e nelli lati pittati S. Pietro ed il beato Andrea Conti, ed altri scherzi di puttini attorno, quale quadro lo fè fare il signor Ferdinando Pandolfi per sua divozione. Non si ha notizie del fondatore, e pel suo mantenimento concorre la pietà dei fedeli.

            Questo cappellone con relativo quadro grande di cappella oggi non esiste più, ma ci fa capire che la devozione alla Madonna del Carmine era molto sentita anche a Noha.

 

            A proposito dei Santi appena visibili in basso ritengo che siano: San Pietro e il Beato Andrea Conti, come nel quadro descritto dall’Alessandrelli. Di San Pietro si sa quanto la devozione sia ed è ancora molto diffusa anche a Noha. Del Beato Andrea Conti sappiamo che il suo culto fu riconosciuto ed approvato da papa Innocenzo XIII, l'11 dicembre 1724: e questo potrebbe essere l’anno probabile di quando fu fatto l’affresco in questione e forse anche l’altare descritto dall’Alessan-drelli.

 

Andrea De Comitibus dei Conti di Segni, nacque ad Anagni verso il 1240; fu parente stretto dei papi Innocenzo III, Gregorio IX, Alessandro IV e Bonifacio VIII, degli ultimi due fu rispettivamente nipote e zio. Dalla città di Anagni, che fu sede pontificia di alcuni papi e in cui conobbe l'Ordine Francescano, facendone parte, venne trasferito per suo desiderio nel vicino convento eremitaggio di Piglio, alle pendici del monte Scalambra, dove rimase per tutta la vita. In questo convento divenne modello perfetto di umiltà francescana e mortificazione, di modestia e di pietà. Ma fu anche uno studioso, suo è il trattato "De partu Virginis" purtroppo andato perduto; ebbe doni carismatici da Dio nell'aiutare le anime, con consigli e miracoli, specie contro le insidie diaboliche. Nel 1295 suo nipote il papa Bonifacio VIII, voleva nominarlo cardinale, ma egli rifiutò tale dignità, preferendo servire la Chiesa nella sua solitudine. A circa 62 anni, morì il 1° febbraio 1302. Il suo culto fu riconosciuto ed approvato da papa Innocenzo XIII, l'11 dicembre 1724.

 

            Del signor Ferdinando Pandolfi, il benefattore che per sua devozione commissionò in chiesa l’altare e il quadro della Madonna del Carmine, sappiamo quanto segue. Nei registri parroc-chiali del 1725/ 1726/1728 viene riportato il nome di un certo Ignazio Pandolfi, napoletano ma residente a Noha, nella qualità di agente del Sig. Antonio Filomarini affittatore a Noha. In un matrimonio del 18 novembre del 1725 si dice che erano ‘Presenti per testimoni Ignatio Pandolfi et Ferdinando Pandolfi, padre e figlio della città di Napoli habitanti in questo casale di Nohe’. Io penso che questo Ferdinando Pandolfi, napoletano, a cui accenna il documento sia il benefattore. E molto probabilmente suo nonno, anche lui Ferdinando Pandolfi, nei primi anni del 1600 fece l’altare dedicato a San Michele, perché in alto sulle due colonne tortili dell’altare sono ben visibili due lettere maiuscole: una P tra due punti e una F appuntata, Pandolfi Ferdinando appunto. 

 

            Ora tenendo conto del luogo dove si trova questo affresco si può affermare che in quella zona esisteva la masseria di Giovanni Giuseppe Congedo, un altro grande proprietario di terre a Noha. Infatti tutto l’isolato che partiva da Via Aradeo angolo Via Agrigento, proseguendo in Via Aradeo per svoltare in Via Calvario fino a girare poi a destra in Via Principe Umberto per uscire in Via Agrigento, Corte Agrigento compresa, formava la Masseria  Congedo. Il ‘palazzo’ in via Aradeo detto oggi ‘de li Prantera’  (l’unico palazzo blasonato a Noha: vedi lo stemma nella foto) era la dimora del signor Giovanni Giuseppe Congedo e tutte le altre casette attorno erano la dimora dei contadini.

            Nel registro dei defunti di Noha del 1700 leggiamo:

 

* Adì 25 Luglio 1724

            Gaetano Tundo marito di Leonarda Mangione della Terra di Soleto, habitante in questo casale di Nohe nella massaria dell'Aere di Gio:Giuseppe Congedo morì di età d'anni 60.

* A 5 Giugno 1748

            Anna Marti moglie di Giacomo Montagna d'anni 40 in circa, morì in questo casale di Nohe commorante nella masseria delli Sig.ri Congedi a 5 giugno come sopra a ore 8 in circa.

            La Masseria dell’Aere vuol dire che la Masseria del Sig.Congedo era dentro il territorio di Noha. A quei tempi tutte le masserie importanti avevano una loro cappella. Nel 1719 per esempio il Vescovo di Nardò Sanfelice, visitò la cappella (sacellum) di S. Maria Annunziata dall’Angelo che trovò edificata dentro il castello Baronale di Noha;  o forse bisogna pensare che fosse una edicola votiva dei contadini.

P. Francesco D’Acquarica

 
Di Marcello D'Acquarica (del 10/09/2013 @ 14:35:51, in NohaBlog, linkato 4156 volte)

Oggi, sciroppo nohano, ops... volevo dire scirocco nohano. Quando l’aria si fa irrespirabile e soprattutto alla sera, quando cala la cappa di umidità, arriva il cosiddetto “faugnu”. “C’è cu mmori” si dice dalle nostre parti.  Il caldo torrido di Agosto fa il resto. Ma a questo, per fortuna, ci pensa Qualcun altro, diciamo il più altolocato. Il clima, come anche tante altre cose, non le decidiamo noi.

“Tu sei un fenomeno…” - mi dice Gianluca Misciali, neofita nohano alla ricerca delle sue origini (un altro che non ascolta le prediche nostrane dove viene abiurato il passato, quale testimone dell’antiprogresso) - “…capisco amare una donna, un Santo, il lavoro, ma un paese.”

In effetti, al contrario degli altri anni, quest’anno mi sono sorpreso pensando ad alta voce, “ma chi me lo fa fare!”. Tranquilli. Mi è capitato una sola volta. Forse vinto dalla puzza nauseabonda di cani morti che regna a Noha da qualche tempo. D'altronde, se fosse solo un romanzo, sarebbe tutto normale, così finiscono buona parte dei racconti di storie d’amore: annegati nel tradimento da parte di chi hai sempre amato e rispettato. Per convincermi che sbaglio a pensare questo, provo di nuovo a cercare la meraviglia che da sempre mi riporta in questo meraviglioso paese:

 il silenzio che regna nelle vie, gli orizzonti a portata di mano, i colori del tramonto e il suono delle campane che, anche se impostate da un banale programma di neo-battenti, si ostinano a rammentarci il fascino misterioso di riti antichi e menzadie cadenzate. Cose di un altro mondo.

Guardando le facce beate dei nostri politici (e ci li vide mai? Bisogna cercarli su face-book, o nei “santini” pre-elettorali) sembrerebbe che nulla accada, se non le loro faccende in cui sono affaccendati.

Ho chiesto agli abitanti di via Aradeo, a cosa si deve l’olezzo di cadavere che si sente in giro per il paese, soprattutto nei pressi della grotta della Madonna di Lourdes. Qui la puzza è davvero insopportabile. Vengo così a conoscenza che la signora Maria Rosaria Mariano, contitolare del negozio di ferramenta, con l’aiuto di alcuni cittadini, si è data da fare con una petizione popolare per informare del cattivo odore il sindaco Montagna e gli amministratori de-localizzati altrove (tanto, anche se abitassero a Noha, come i nostri 4 consiglieri eletti, cambierebbe poco o nulla). Dopo alcune cantonate lapalissiane (del tipo: pulire dalle foglie solamente il tombino davanti al negozio di ferramenta, oppure inviare una squadra di tecnici sprovvisti del più banale attrezzo per aprire un tombino), finalmente si è concluso di demandare la questione all’azienda incaricata al completamento dei lavori della fogna bianca (ca puzza cchiui de a nera). Intanto una buona parte di Noha, tutta la zona del Calvario per intenderci, da anni soffre dello stesso problema a causa dell’ennesima vigliaccata perpetrata approfittando della buona fede della gente: la discarica dell’impianto fognario adiacente alla villetta dedicata a Padre Pio. Siamo nel terzo millennio, a Galatina ci si vanta d’essere “Città d’Arte” e traboccante di cultura, ma quando non si sa che fare si ricorre sempre all’aiuto dei Santi. E sarebbe pure una cosa giusta, basterebbe però riconoscere i propri limiti, che nel nostro caso si sciolgono in vaveggianti e perenni indecisioni. Povero Padre Pio. Tutte le disgrazie spettano a lui. E ai cittadini di Noha. Ma che avranno fatto mai per meritarsi tutto questo? Insomma non possiamo dire che a Noha ci si annoi.

Ogni giorno che passa i problemi aumentano e l’ultimo scaccia sempre quelli già esistenti: chiodo scaccia chiodo. A questo punto diciamo che Noha è diventato un paese dove si mangia con la puzza di fogna, ci si lava con la puzza di fogna, si dorme con la puzza di fogna, si vive sempre con la stesa puzza, che importa se l’orologio della piazza - fiore all’occhiello di ogni paese - è una taroccata, se i beni culturali di Noha sembrano quelli che erano sepolti sotto la città di Acaya fino a qualche anno addietro, se la casa Rossa è solo un ricordo sbiadito, se il frantoio ipogeo più originale del Salento diventa una discarica di rifiuti, se le casette di Cosimo Mariano non reggono più nemmeno le luminarie pietose della festa di San Michele, se le pantegane girano indisturbate dentro e fuori del Castello, se la campagna de lu Ronceddhra è un ammasso di pannelli fotovoltaici riparati da pochi scheletrici ulivi trapiantati per nasconderli alla vista, se un faro da 5000 watt acceca gli automobilisti che transitano su quella via, se il viale che porta al cimitero sembra un residuato del dopoguerra, se si spendono milioni di euro in ristrutturazioni di edifici confiscati alla mafia e in vecchie scuole elementari (senza manco pensare all’allaccio elettrico come si deve)…

Se potessi continuare non basterebbe un’enciclopedia, tanti sono i fenomeni nohani dipendenti dalla trascuratezza e dalla dabbenaggine dei nostri rappresentanti (che a questo punto penso rappresentino solo se stessi). Speriamo che il vento cambi al più presto, e la tramontana non ci porti altre sorprese visto che ultimamente sono di moda i cosiddetti “termovalorizzatori” e a pochi passi da Galatina ne abbiamo uno che, forse, non aspetta altro.

Marcello D’Acquarica
 
Di Marcello D'Acquarica (del 04/09/2013 @ 13:56:07, in NohaBlog, linkato 3524 volte)

Noha-patia un male auspicatoDa quando Antonio Mellone mi coinvolse in quell’avventura che risponde al nome de “L’Osservatore Nohano”, mi rendo sempre più conto che la mia presunta patologia d’amore per la mia terra è tutt’altro che un male raro. Infatti a Noha non mancano le persone che condividono questo sentimento. Quando lo racconto a Angela, mia moglie, lei esordisce dicendo che le perle migliori sono quelle nascoste alla luce del sole. Quelle che non si fanno vedere e non fanno rumore. Ma quando meno te lo aspetti arrivano le sorprese, a volte anche le belle. Mai più mi aspettavo che qualcuno, tantomeno non residente, ci dimostrasse la sua gratitudine con un dono straordinario. Insomma non capita tutti i giorni che uno, anzi in questo caso due, suonino al campanello della porta e si presentino sovraccarichi di buste e scatoloni trasportati da Milano a Noha, sacrificando il piccolo spazio del baule tolto ai vestiti o altre cose utili per le vacanze di un mese. Già da questo possiamo immaginare quanto amore abbiano dedicato Fabio e Laura a questo loro pensiero per il sottoscritto e per mia moglie Angela.

Dovete però sapere che questi due ragazzi, Fabio Solidoro e la solare moglie Laura Romanelli, “suonati persi irreversibilmente” per Noha (oltre che l’uno per l’altra), ogni anno, invece di assicurarsi una vacanza in una delle tante località pubblicizzate dalle agenzie viaggi, trascorrono le loro ferie proprio a Noha.

Ma questa sorpresa di Fabio e Laura proprio non ce l’aspettavamo. Un dono, anzi due, non solo inatteso ma straordinari e unici: vere opere d’arte. Non è facile descrivere con le parole ciò che rappresenta l’arte di Fabio.

La prima cosa che prendiamo in considerazione è un servizio di bicchieri colorati con incise le lettere “A e M”. Dopo un attimo di sorpresa, compresa la faccia sorniona di Antonio Mellone, ci rendiamo conto che il servizio di bicchieri non è per Antonio Mellone, appunto, come la sigla potrebbe far supporre di primo acchito, ma per me e per Angela: le lettere “A” ed “M” sono appunto le iniziali del mio nome e di quello della mia consorte. Fino qui, possiamo dire che il tutto è gratificante.

Così, dopo questa simpatica sorpresa, passiamo ad analizzare il secondo regalo. Qui la cosa supera ogni aspettativa. Ciò che appare alla nostra vista, dopo una elegante confezione multistrato, è una vera e propria opera d’arte: un vaso in cristallo stupendo, alto all’incirca 45 cm e del diametro di 25 cm. La straordinarietà non è nelle dimensioni o nell’oggetto in sé, ma nelle decorazioni incise che ci appaiono in tutto il loro splendore. Non si tratta solo di saper disegnare in prospettiva le architetture stupende della chiesa di San Michele, della Trozza, della Casa Rossa, delle casette, dello stemma delle Tre Torri e del resto, ma di incidere e dorare il vetro su di una superficie tondeggiante: non è facile, non è da tutti. Certi lussi possono permetterseli solo gli artisti.

Sapevo che Fabio Solidoro, questo nohano incallito di rare qualità, avesse qualche “mania” artistica, difatti su uno dei primi numeri del nostro giornale on-line, avevamo addirittura pubblicato la mappa di una metropolitana tutta nohana, disegnata e progettata da lui manco fosse un ingegnere specializzato in trasporti. Ma non immaginavo tanta bravura. Ci sarebbe da chiedergli ora di disegnare anche un circuito di piste ciclopedonali per questo straordinario paese pianeggiante che rimpiango per undici mesi all’anno.

Purtroppo dove trascorro la maggior parte dell’anno, cioè Rivoli (To), le strade sono in salita e impegnano non poco fiato e muscoli, che, ahimé, si fanno sempre più corti.

Fabio vive a Milano da sempre, eppure se provate a chiedergli dove è nato, non riesce mai a risponderti di getto. Subito appare dubbioso, come se non ne avesse più memoria, ma poi appena inizia a parlare ti rendi conto della sua faticosa rassegnazione nel dover dichiarare la sua vera nascita, che non è tanto il giorno in cui è venuto al mondo, quanto la data del suo concepimento avvenuto esattamente nove mesi prima nel paese che lui adora di più al mondo e che corrisponde al bellissimo nome di Noha.

Che cos’è questo anomalo sentimento per le proprie origini in un mondo dove contano solo utili e titoli, quello che uno sente pur non essendovi nato e nemmeno vi risiede?  Se questo non è amore, ditemelo voi, che cos’è? Naturalmente, essendo io stesso portatore sano della Noha-patia, il mio parere non fa testo. Una malattia come questa è auspicabile che si trasformi in epidemia al più presto, prima che sia soffocata dalla forza dirompente di quell’altra vera e propria mania di indifferenza alle cose semplici, al sorgere del sole e al suo ripetuto accavallarsi sulla notte, ai prati di quadrifogli, ai campi distesi di ulivi e muretti a secco, al profumo dei gelsomini, agli aloni colorati degli arcobaleni, al cadenzarsi delle fette di lune, all’odore della pioggia o dell’erba tagliata.

Poesia? Nient’affatto, questa è pura ragione, niente a che vedere con il dimenarsi degli ultimi colpi di coda di questa unta e logorante mania del bruciare tutto, in tutti i sensi, compresa la vita.

Grazie Fabio, grazie Laura, siete stati e siete per noi una miracolosa e inaspettata terapia.

Marcello D’Acquarica

 

Noha-patia un male auspicato Noha-patia un male auspicato
Noha-patia un male auspicato Noha-patia un male auspicato
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Noha-patia un male auspicato Noha-patia un male auspicato
Noha-patia un male auspicato Noha-patia un male auspicato

 

 

 
Di Antonio Mellone (del 04/01/2016 @ 13:29:11, in Presepe Vivente, linkato 2785 volte)

Caro Antonio Mellone,

quando ci siamo incontrati l’ultima volta al Presepe vivente di Noha,  per un attimo, alla fine dell’intervista che con il mio supporto (nel senso che tenevo in mano il microfono) hai fatto a mio fratello P. Francesco, ho temuto che, come nei tuoi soliti “agguati”, subito dopo, volessi fare un’intervista anche a me.

Dico “ho temuto” perché (come già accadde a quella del Presepe nella stupenda Masseria Colabaldi, che si erge ancora oggi fiera sul promontorio della serra nohana), avevo delle cose da dire, ovviamente; ma poco belle e quindi, giusto per non rovinare l’aria di festa che invece aleggia in tutta Noha per il felice evento, devo concludere così: “ Meno male che non mi hai chiesto nulla”.

Però qui, dove l’aria diciamo è per pochi intimi, te lo voglio dire lo stesso, il mio pensiero, a proposito del nostro magnifico Presepe.

Un Presepe unico, se non altro,  per la sua ubicazione. E’ inutile star qui a decantare e riscrivere cose trite e ritrite del castello di Noha, del ponte levatoio sulla torre, dell’arco a sesto acuto, delle casette (ca sta cadanu), del parco degli aranci con fontana ellittica, della torre con impianto elettrico da archeologia industriale, del magazzino delle botti dell’ex-distilleria Brandy Galluccio, della dirimpettaia Casa Rossa illuminata a festa (sia ca se vidia pocu, speriamo che presto venga abbattuto anche quell’altro muro di Berlino, come promesso dai proprietari). Punto.

Tanto si è parlato e scritto di questi  beni, che per molti oramai è cosa conosciuta. Anche se poi chi dovrebbe conoscerle meglio, finge, o proprio  non ha intelligenza a sufficienza (nu lli rriva, si dice da noi); e mi riferisco ai vari sindaci e assessori che fanno finta di alternarsi a palazzo di città. Non serve nominarli, in quanto somigliano molto alle bevande dei distributori automatici delle sale d’attesa: cambiano nome ma  il gusto è sempre lo stesso.

Veniamo al dunque, e cioè all’intervista mancata. Allora la prima domanda sarebbe stata: “Ci dici il tuo parere sul Presepe Vivente di Noha di questa edizione?”

Risposta: “Sono arrivato al punto che considero questo evento un Mistero dalla doppia valenza. La prima in assoluto è il riferimento all’evento cristiano che tutti conosciamo e (spero) consideriamo nella Sua radicale importanza.

La seconda (valenza del Mistero), è la forza silenziosa che muove braccia e mani, cuori e cervelli di questo popolo. Mi riferisco naturalmente ai figuranti, alle donne e agli uomini che lavorano nelle varie botteghe, e alle maestranze che costruiscono l’opera magna”.

Ti avrei detto caro Antonio, che questa gente, la nostra gente, compie ogni anno una rivoluzione.

Il termine “rivoluzione” richiama alla mente masse di popolo che si riversa nelle strade, e con bandiere e slogan, quando va bene, protesta e grida la sua rabbia per le ingiustizie da cui si vuole difendere.

Invece, i nostri amici del presepe ci insegnano che le rivoluzioni si possono fare brandendo il segno di pace per eccellenza. Ci insegnano che hanno capito cosa vuol dire “preghiera”, e con il loro sacrificio, perché tale è, pregano le nostre sconsiderate e innominabili “bevande calde”, che Noha attende il battesimo delle sue meraviglie storiche, che la storia di Noha non è da confondersi con quella di Galatina ma da “fondersi” in una unica forza.

Questo pregano e preghiamo.

Cari Sindaco Montagna e Assessore alla Cultura Prof.ssa Vantaggiato, la Soprintendenza attende ancora dal 2013 (http://www.noha.it/noha/articolo.asp?articolo=967) una risposta sui Vostri progetti che riguardano i Beni Culturali di Noha”.

Con gratitudine.

Marcello D’Acquarica

 

Caro Marcello,

che dirti? Mi hai tolto le parole di bocca. Per quanto riguarda le domande, ma soprattutto le risposte.

Con altrettanta gratitudine.

Antonio Mellone

P.s. Continuiamo a lottare, caro Marcello, per i nostri beni culturali.  Purtroppo siamo ancora ai piedi della croce. Il primo gennaio nohano è stato purtroppo funestato da un atto criminale che ha semidistrutto uno dei simboli della Storia di Noha: la Trozza. Qui c’è ancora molto da fare. A partire dalla base, per finire alla cosiddetta altezza (cioè le suddette “bevande calde”).  

 
Di Marcello D'Acquarica (del 23/09/2014 @ 12:44:48, in Lettere, linkato 3684 volte)

Carissima Martina,

ti scrivo mettendo anche gli altri per conoscenza, perché la tua iniziativa di raccolta firme, da inviare al FAI (Fondo Ambiente Italia) per la tutela delle nostre casiceddhre, coinvolge tutti.
Quindi è giusto che tutti sappiano di cosa si tratta.
Come sai, durante la sera della festa di San Michele, con la collaborazione del Circolo culturale Tre Torri, porteremo avanti la raccolta delle firme per le casette di Cosimo Mariano da inviare al FAI.
Come abbiamo fatto sempre (spesso non riuscendovi, ma noi non ci diamo facilmente per vinti) cercheremo di far passare questo messaggio:
"le nostre casiceddhre non sono, come qualche stupido di complemento purtroppo crede (vedi commenti su Noha.it), un banale mucchio di pietre più o meno raggruppate ad arte, bensì espressione della dignità di un paese lasciato nella più totale trascuratezza".
Il fatto che al di fuori delle nostre quattro mura domestiche ci sia il degrado più assoluto non è questione da poco. E a noi non va di continuare a tacere. Le nostre battaglie sono sacrosante, e tutti noi dovremmo pretendere un pizzico di interesse in più da parte degli addetti ai lavori. Il degrado chiama altro degrado, è una questione psicologica. Infatti, come spesso accade, quando qualche incivile butta un sacchetto di immondizia fuori posto (vedi per esempio l'angolo in largo "cisterneddrha"), quasi sempre altri si sentono autorizzati a fare altrettanto.
A proposito di Beni Culturali, come si evince dall’ultima (e unica) risposta data all’Amministrazione Comunale dalla Soprintendenza, in cui si chiedono maggiori ragguagli (cfr. allegato), il dirigente del Servizio, Avv. Silvia Pellegrini, firmataria della missiva, attende risposta dagli addetti ai lavori di Palazzo Orsini, da più di un anno.
Più volte ho sollecitato l’intervento dei nostri rappresentati politici presentando fotocopie di tutto il percorso burocratico della questione. L’ultima volta, esattamente il 29 settembre 2013, al Sindaco Montagna per il tramite della nostra Daniela Sindaco.
Tutto continua come da prassi: silenzio assoluto.
Ed i nostri beni culturali subiscono gli schiaffi del tempo, l'incuria degli uomini, l'egoismo di proprietari privati.
Occorre, tuttavia, insistere, perché le persone capiscano che non è sufficiente lamentarsi dello stato delle cose, bisogna agire mettendo in atto tutte le iniziative che la legge ci consente.
Sarebbe ora che anche a Noha qualcuno leggesse e soprattutto rispettasse il Codice dei Beni Culturali, che è legge dello Stato.
Un caro saluto a te e a Michele.

Marcello D'Acquarica

 
Di Antonio Mellone (del 26/11/2022 @ 12:10:19, in NohaBlog, linkato 1133 volte)

Ci siamo quasi. Voglio dire che a Noha procedono di buona lena i lavori di ristrutturazione di uno dei due marciapiedi di via Castello: il primo, lato palazzo baronale, fu terminato – buona parte a spese dei titolari di Nohasi - verso i primi del mese di maggio di quest’anno; il secondo, dirimpettaio, lo sarà a breve, anche stavolta grazie al maestro Chittani Giovanni (prima il cognome e poi il nome, come usavamo appellarci tra compagni di classe), e ai suoi bravi collaboratori: maestranze a chilometri zero, come si dice, ma note in urbe et in orbe, dunque a più ampio chilometraggio, per serietà, impegno e puntualità. 

Sicché, molto probabilmente entro Natale potremmo percorrere, meglio se a piedi, il nostro Boulevard de Noha (da leggere in francese, con l’accento tonico sull’ultima sillaba), con compiaciuto amor di campanile, tra due file di grandi lampade in cima ai pali artistici in ghisa, la nuova pavimentazione non più sconnessa da svariati lustri di comunale sciatteria, e i teneri alberi d’ordinanza al posto dei vecchi pini domestici colpiti dalla sega (sciagurati, “davano fastidio ai camion” [sic]).

Ma c’è un ma: ed è un neo in tutto ‘sto splendore, che continua a lasciare un certo amaro in bocca all’osservatore appena appena attento, ma assolutamente nulla al solito sbadato urbano che non vede, non sente, in compenso parla a vanvera. E non si tratta tanto dell’asfalto stradale che sarebbe appena il caso prima o poi di sostituire con un più decoroso basolato fino a comprenderne tutta piazza San Michele, nonché ovviamente via Aradeo e le altre strade del centro storico del paese (cose che avvengono da decenni non dico a Stoccolma o a Copenaghen, ovvero in alcune comunità del Trentino-Alto Adige o del Veneto, ma in numerosi altri comuni del Salento, frazioni incluse).

Dicevo: il neo, cioè il cruccio che a tratti diventa sconforto se non proprio tormento incazzatura & depressione, sta nel fatto che il famoso villaggio di casette in miniatura edificato all’inizio del secolo XX sulla terrazza di uno degli antichi alloggi un tempo di pertinenza del maniero nohano, parlo del caseggiato artistico meglio noto come Le Casiceddhre, sta cadendo a stozzi, sgretolandosi sotto il bombardamento nucleare dell'insipenza e dell'ottusita molto comuni in queste lande, in uno col paraculismo di cui soffrono o forse godono alcuni esponenti della classe padronale indigena detentrice di codesti peculiari pezzi d’antiquariato trattati come pezza da piedi [vorrei ricordare che il manufatto de quo non è l’unico capolavoro architettonico di pertinenza della nostra piccola patria abbandonato al proprio ineluttabile destino: ché anzi Noha, anche da questo punto di vista, è una discarica a cielo aperto, ndr.].  

E non starò qui a confutare per l’ennesima volta la scemenza massima incautamente definita “proposta” dai novelli dadaisti, vale a dire quella della traslazione di codeste pietre scolpite e parlanti alla volta di un qualche museo: le Casiceddhre non sono cose (anzi case) da museo o da piedistallo, né normali soprammobili, men che meno una collezione di icone, ma un deposito di memoria culturale, uno dei simboli dell’identità nohana (stavo per scrivere Dignità, con la maiuscola, ma poi mi è venuto un crampo alle falangi). Ergo fuori contesto non avrebbero nulla da dire, e si dimetterebbero all’istante dal loro ruolo di monumento, di sito locale di interesse comunitario, e di emblema del Genius Loci casalingo.

Ora, è vero che la storia delle Casiceddhre non è in cima alle priorità dell’agenda Draghi, pardon Vergine, ma sarebbe d’uopo che il nostro sindaco intervenisse in qualche modo per dimostrare di avere a cuore persino quistioni annose come questa. Non stiamo mica chiedendo che metta mano al portafoglio delle finanze pubbliche (che, si sa, hanno più grane che grana) per un chimerico restauro, non previsto oltretutto per un bene culturale “privato”; ma soltanto che osasse provare a infrangere un tabù: quello di conferire con la proprietà del suddetto micro-complesso, tentando di spiegarle da un lato quanto sia importante la difesa delle eredità iconiche di un luogo, e quanto queste, se tutelate, contribuiscano a rendere l’ambiente cittadino più prezioso e civile; e dall’altro che gli oneri del restauro di quel che rimane di queste benedette sculture non sarebbero a carico del disponente, ma del gruppo di visionari che, loro sì incrollabili, sognano di salvare il salvabile.

Impresa titanica, lo sappiamo bene, tanto che sul tema sono in tanti (ma non tutti) ad aver gettato la spugna e da tempo. Ma magari il novello primo cittadino potrebbe pure farcela ricorrendo alle sue doti manageriali, all’innata leadership, all’ormai proverbiale ars oratoria e, con il permesso di Kant, alla dialettica trascendentale.

Oppure, senza permesso, al dialetto.

Antonio Mellone

 
Di Albino Campa (del 28/09/2006 @ 12:06:38, in NohaBlog, linkato 4634 volte)
Di Noha e dei nostri monumenti (come le mitiche casette dei nani, invero un po' dirupate) s'inizia ormai a parlare al di là dei confini di Noha e di Galatina.
Per esempio andando sul sito www.pescoluse.it troviamo questo articolo:
 
 

Le "casette" di Noha (fraz. di Galatina - LE)

Le "casiceddhre", casette.  A Noha frazione di Galatina siamo andati dopo aver letto un articolo sul numero di Ottobre 2004 del periodico quisalento a cui riconosciamo tutta la paternità della scoperta. Giunti sulla piazza principale (p.za Castello) alziamo gli occhi e dal parapetto di una terrazza sul palazzo baronale ecco ... vediamo affacciarsi un piccolo balconcino intarsiato in pietra leccese. Ci dirigiamo verso il portone principale e chiediamo al bar accanto come possiamo salire a vedere le casiceddhre. Ci dicono che è proprietà privata. La gentilezza dei proprietari ci ha permesso di ammirarle e scattare alcune foto. Sembra che siano state costruite in epoca seicentesca, ma non ci hanno saputo dire altro. Notiamo le rifiniture, le tracce di decorazioni esterne ed interne ma anche lo stato di abbandono in cui versano. Pensiamo che qualcuno dovrebbe recuperare questa piccola testimonianza artistica anche se ci rendiamo conto che ci sono ben altre urgenze nel Salento. Ed ora le foto: sembrano le casette degli gnomi. P.S. Altezza totale circa mt.1,80.

noha frazione di galatina galatina salento curioso salento vacanza
casiceddhre visitare il salento curiosità del salento galatina
salento galatina vacanze nel salento    
 

C’è qui un gruppo di ragazzi ai quali non importa la partita doppia.

La loro contabilità conosce solo il dare. All’avere preferiscono l’esserci. Per questo fanno a pugni con il destino.

Migranti in casa loro non si scoraggiano di fronte allo sfratto: ne hanno ormai il callo. La loro Bet Lèhem, casa del Pane, non riesce a trovare alloggio stabile: il suo destino sembra essere l’espulsione, l’allontanamento, una porta in faccia.

Fu così anche per la ragazza madre e per il padre putativo cui fu assegnato il compito di accogliere il Figlio dell’Uomo.

Sbaraccare con cortese sollecitudine è l’espressione che questi ragazzi non s’aspettano ma che arriva puntuale con cadenza periodica: ieri da una masseria, oggi dalle casette, domani da chissà dove.

C’è chi intende il diritto di proprietà come esclusivo, senza obiezioni o ragioni, e non immagina la nudità di chi rischia di perdere il suo alloggio e fissa il cielo della stanza temendo di trovarsi senza.

Così s’apparecchia il presepe vivo di Noha, partendo da uno sfratto, una rimozione, un rifiuto.

Nel parco con torre e ponte sfrattati dall’oblio, tra mura scrostate ricovero di immagini e di storie, il viandante troverà dimora ospitale, e potrà capitargli d’interrompere gli incontri mancati con quel Dio, si spera, pronto a riscattare gli sfrattati dal lavoro, dalla casa, dalla propria terra, dal letto coniugale, dalle amicizie credute vere, da un ospedale senza risorse, da una scuola che cade a pezzi, da una terra che trema.      

Questo luogo diventa il domicilio del pane vivo disceso dal cielo, residenza di un Dio sfrattato dalle stelle.

Antonio Mellone

 
Di Marcello D'Acquarica (del 05/06/2013 @ 11:40:00, in NohaBlog, linkato 4265 volte)

Alessio Ingusci un piccolo OsservatoreQuando si parla di un argomento, uno qualsiasi, ascolto con attenzione prima di esprimere il mio parere. Se però l’argomento è il disegno, l’antenna telescopica della mia attenzione si proietta come il periscopio di un sommergibile che scruta l'orizzonte, in cerca della meta da raggiungere. Oggi sono a casa di Mauro, il papà di Alessio, che con evidente orgoglio, mi racconta della premiazione del suo bambino per un disegno scelto a scuola, l’Istituto Comprensivo Polo 2 di Galatina e Noha, avvenuto a Lecce presso l'Hotel Tiziano, il 31 Maggio. Il concorso, denominato “Lo scrivo io”, a cui hanno partecipato molti studenti della provincia di Lecce, è stato indetto dalla Gazzetta del Mezzogiorno. Non faccio nemmeno in tempo ad abbozzare il desiderio di vedere quel disegno che Mauro sparisce nella stanza affianco per riapparire con una valanga di pagine colorate. A parte la mia esperienza quarantennale nel disegno, ho visto molti bambini, fra cui i miei due figli, crescere con il loro modo di disegnare. Oltre alla parola, il disegno è uno dei primi metodi di comunicazione. Infatti un bambino, appena è in grado di tenere in pugno una matita, inizia a compiacersi dei suoi “geroglifici” che con il passare del tempo prendono forma. Osservando le opere di Alessio mi rendo conto di avere fra le mani qualcosa di diverso dal solito. Alcuni suoi lavori esprimono la normale espressività di forme e figure tipiche dei bambini della sua età, come per esempio, il villaggio Maya, dove la rappresentazione topografica del fiume e di alcune scene di vita quotidiana spiana la vista isometrica del tempio. Forme che con il raffinarsi della tecnica e con l’avanzamento nei corsi di studio cambiano generalmente allo stesso modo quasi per tutti. Ma qui noto una capacità libera e straordinaria di entrare nel disegno prospettico che sicuramente Alessio non può avere acquisito da regole o insegnamenti che fanno parte di programmi scolastici ancora a divenire. Alessio è in grado di intercalare nello spazio del suo disegno strutture dislocate in varie angolazioni mantenendo alto il livello del buon gusto visivo. Per rendersene conto, basta osservare la piazza con lo sfondo della cupola di San Pietro che lui ricorda (senza l’ausilio di foto) da una sua recente gita a Roma. Una capacità evidentemente innata in lui poiché, io stesso dovendo impegnarmi in cose del genere, dovrei necessariamente ricorrere a regole e trucchi acquisiti con l’esperienza del mio lavoro, naturalmente dopo la maturità tecnica. Quindi Alessio ci dimostra di essere un concentrato di attenzione, oltre che di maestria del disegno. Sicuramente ha un alto spirito di osservazione che lui, ovviamente, non gestisce con la ragione ma estrapola liberamente dal suo animo con la leggerezza di chi vede e sente con il cuore. E’ chiaro che Alessio in questo momento dell’età, attraverso i disegni che fa di sua libera iniziativa, ci racconta dei suoi sogni di bambino. Ma è probabile che con il passare del tempo diventerà comunicazione pura e forma espressiva dei suoi pensieri. Lo spirito di osservazione è la base necessaria per costruire un qualsiasi progetto, nel bene e nel male. Se non siamo capaci di osservare non saremo mai in grado di decidere cosa fare. E se non lo facciamo noi ci sarà sempre qualcuno pronto a prendere e pretendere di dominare sulla nostra stessa libertà. I risultati sono evidenti ovunque, Noha compresa, ma questa è un'altra storia. Quindi Alessio è un “osservatore”, come me, uno che osserva e disegna. A questo punto non mi resta che proporgli di “osservare” Noha. E così prendo dalla mia borsa una copia del Catalogo dei Beni culturali di Noha pensando di fargli un gradito regalo. Alla vista del libro la sua sorpresa è grande. Fino a questo momento il nostro dialogo è stato distratto e discontinuo, sono stato io a tenere “vincolata” la sua attenzione. Ma appena aperto il libro sulle pagine dei disegni delle nostre Chiese, delle masserie, delle casette, della Casa rossa, del Castello, della Torre, della Trozza, della pianta di Noha, della masseria Colabaldi, ecc. Alessio sbarra i suoi grandi occhi scuri. Anche se non lo fa con le mani (educatamente ferme), sento le pagine scivolarmi sotto le dita, mosse certamente dal suo forte desiderio di ammirazione per i disegni a colori che si susseguono nelle pagine del Catalogo. Quasi me lo strappa dalle mani per immergersi in quelle pagine che lo attraggono visibilmente. Ora Alessio è sereno, sta certamente elaborando nella sua mente altri progetti da disegnare sui fogli di carta che in casa abbondano. Forse si è aperta una nuova vena preziosa in questa miniera di tesori che è Noha con i suoi valori e i suoi beni.

Auguri Alessio, per la tua passione e per il tuo futuro di giovane Osservatore Nohano.

Marcello D’Acquarica

Alessio Ingusci un piccolo OsservatoreAlessio Ingusci un piccolo OsservatoreAlessio Ingusci un piccolo Osservatore

 
Di Redazione (del 19/01/2019 @ 09:32:59, in Comunicato Stampa, linkato 1443 volte)

“La parola giusta può essere efficace, ma nessuna parola è tanto efficace quanto un silenzio al momento giusto.” - Mark Twain

Abbiamo letto tanto, tantissimo, sulla nostra Associazione ma abbiamo preferito tacere e lasciar passare del tempo perché sicuri del nostro operato.
Si critica portando nuove idee, non dando la colpa agli altri.
Ci è sembrato più saggio continuare a lavorare con serietà per il bene della Città, dedicandoci con il massimo delle nostre forze all'interesse comune.

L’Associazione “Città Nostra” ha sempre agito con estrema trasparenza, qualsiasi tipo di attacco e di ignobili illazioni non hanno mai scalfito il nostro impegno a risollevare questa Città che nuota controcorrente, in balia delle “penne velenose” di chi punta il dito, di chi sciorina la lingua senza prima impegnarsi in un lungo esame della propria coscienza.
D’altra parte, la saggezza popolare che ci è stata tramandata dai nostri nonni recita che “uomo di malcoscienza, come le fa, le pensa”. Parole sante.

Cosa facciamo

“Città Nostra” vanta una lunga ed importante esperienza nell’ambito dell’organizzazione di iniziative e attività che nel corso degli anni hanno interessato vari campi: dalla tutela dell'ambiente alla promozione del territorio, dai progetti di educazione ambientale nelle scuole alle iniziative di solidarietà, decine e decine di manifestazioni e attività di promozione turistica.
L'Associazione si è nel tempo strutturata, iscrivendosi negli albi comunali, provinciali e regionali. Ha iniziato a partecipare a diversi bandi, acquisendo sempre più esperienza anche grazie all’impegno attivo dei professionisti che ne fanno parte e ad altri che collaborano con noi. 

Passione ed imparzialità

Ogni attività svolta da Città Nostra è stata realizzata senza scopo di lucro.
Gli associati dedicano il proprio tempo e le proprie competenze per il mero piacere di contribuire alla crescita della città, senza aspettare nulla in cambio se non la gratificazione di far parte di un gruppo di amici con uno scopo comune: amare Galatina.
Ciò che ci preme ribadire è che l'associazione “Città Nostra” non si è mai dipinta di nessun colore politico e per molti anni ha collaborato tranquillamente con diversi schieramenti politici.

 

La realtà dei fatti

Eppure, malgrado sia tutto sotto la luce del sole salentino, in alcuni articoli locali si sono lette delle bassissime allusioni a dei "contributi" o a dei “regali”.
Con questa nostra, vorremmo redarguire gli improvvisati scribacchini che ciò di cui si sospetta non sono altro che somme affidate all'Associazione “Città Nostra” per coordinare e gestire alcuni eventi senza alcun compenso per l'attività - dettaglio ben specificato nelle delibere comunali che a quanto pare non sono state consultate prima della pubblica accusa sulle tortuose vie del web.
Ogni singola spesa, seguendo i criteri dell’estrema trasparenza, è stata preventivamente comunicata all'amministrazione comunale.

Quello che non si riporta negli “articoletti” è che le spese sostenute dall'associazione sono state di gran lunga maggiori di quelle rimborsate dal comune, perché alcuni acquisti - che inevitabilmente si affrontano nell'immediatezza delle attività svolte - non possono essere rendicontati, ad esempio piccole spese o scontrini.
Per essere più specifici, vale la pena informare che l'associazione sostiene anche il pagamento del 50% dell'iva delle fatture presentate al Comune di Galatina.

La risposta ad hoc: “Mezzogiorno in famiglia”

La partecipazione di Galatina alla trasmissione televisiva di Rai 2 “Mezzogiorno in famiglia” - un evento di cui essere più che fieri - è stata trasformata dalle malelingue in oggetto di sibilline insinuazioni.
Con il rischio di essere prolissi, specifichiamo che le quattro delibere comunali, in riferimento alle quattro puntate di “Mezzogiorno in famiglia” hanno stabilito di affidare all'Associazione un totale di €8.593,00 (iva compresa).

Le somme ricevute dal GAL Valle della Cupa per l'allestimento degli spazi espositivi, sono state di €980,00 iva compresa.

L’importo rendicontato e documentato per spese sostenute dall'associazione, è stato di €9.193,17.

Le somme non rendicontate ma sostenute dall'associazione ammontano invece a €776,00.   

L'iva da versare per le fatture emesse al Comune di Galatina ed al Gal è di €863,14.

In più, l'associazione dovrà versare circa €86,00 in fase di dichiarazione dei redditi.
 

Riepilogando, a fronte di entrate per €9573,00, le uscite sono state di €10.915,31. €1.342,31 in più ed a carico di “Città Nostra”.

Tutte le spese sostenute per la realizzazione delle puntate galatinesi sono state anticipate dall'Associazione “Città Nostra” e successivamente rimborsate dal Comune di Galatina, solo dopo l'approvazione di un'attenta e precisa rendicontazione.

Rispondiamo, quindi, ad alcune domande che ci sono state rivolte.
Ha pagato la RAI?
Sono arrivati dei rimborsi?
Era tutto a carico del programma?
Ebbene: no, non ha pagato la RAI.

Come probabilmente in qualsiasi programma televisivo, la Rai ha fornito solo un gettone di presenza ai ragazzi che hanno partecipato in studio, un piccolo contributo utile per i loro spostamenti in città ed il loro sostentamento.
Viaggio e alloggio sono stati sempre, per 4 settimane, a carico dell'Associazione, poi rimborsata dal Comune.

“Città Nostra” ha garantito un impegno 24/7 e non solo durante i fine settimana, per la preparazione degli allestimenti per gli esigenti produttori Rai e per la preparazione dei giochi in piazza. - Con l'occasione, ringraziamo nuovamente la moltitudine di galatinesi che ci ha affiancato ed ha appoggiato l’iniziativa con passione, dimostrando orgoglio e amore per la nostra città. –

Da parte nostra, abbiamo lavorato indefessamente alla realizzazione della trasmissione, fino a tarda ora, valutando idee e opzioni. Ci siamo confrontati con quanti hanno avuto piacere ad aiutarci. Abbiamo dato il massimo per mettere in risalto Galatina, non di certo per un riscontro economico.
E siamo riusciti nel nostro intento!
Abbiamo mostrato alcune delle bellezze della nostra terra, siamo fieri del nostro lavoro e dei nostri ragazzi.

La promozione turistica

Dato che si tratta di rispondere in estrema trasparenza alle vili insinuazioni sull’appropriamento indebito di denaro, ci teniamo a precisare che - per la promozione ed accoglienza turistica - molti altri costi sono stati sostenuti dall’Associazione nell’ultimo periodo.

 

Tre Laboratori di Pizzica in piazza San Pietro durante l’estate scorsa, diverse visite guidate a sostegno di relazioni pubbliche tra il Comune di Galatina e varie figure professionali della multimedialità turistica. Senza dimenticare le trasferte a Bari presso gli uffici di PugliaPromozione. Inoltre abbiamo commissionato la produzione di un cortometraggio sulla città, fondamentale per la promozione turistica, che sarà pronto a breve.

La risposta ad hoc: Natale 2018

Un altro punto che ha acceso le ultime polemiche è l’organizzazione del Natale -le casette in legno del mercatino in piazza San Pietro. Di queste ultime il dubbio che ha tolto il sonno ai critici è: di chi sono? Come sono state assegnate?

Facciamo un passo indietro.
Lo scorso anno, €4.000,00 tra quelli del bando di rafforzamento Info Point - vinto dal Comune di Galatina ed affidato a “Città Nostra” - erano stati destinati al mercatino natalizio. In quell'occasione, l'Associazione ha ritenuto conveniente investire una cifra più alta per l'acquisto delle casette (il solo noleggio costava €4.000,00!) per poterle riutilizzare in occasioni successive.
Le casette sono quindi di proprietà dell'associazione “Città Nostra”, che ha sostenuto per il loro acquisto - ed allestimento - una spesa complessiva di circa €7.700,00, e che anche quest'anno le ha messe a disposizione del Comune gratuitamente, accollandosi di nuovo le spese di montaggio e smontaggio (circa €600,00).

Per quale motivo l'Associazione avrebbe preso a carico tutte queste spese e questo impegno? E’ nello statuto di ogni associazione senza scopo di lucro l’obbligo di utilizzare gli avanzi di bilancio.

Riteniamo di saper gestire in modo oculato - al contrario di quello che si pensi - le risorse economiche derivanti da contributi ed attività varie; dunque, siamo in grado di decidere come meglio utilizzare le somme a nostra disposizione, con l’obiettivo di realizzare sempre al meglio le attività che ci vedono partecipi.

Ci contraddistingue un profondo senso di responsabilità verso Galatina, la nostra Città, la Città di tutti.
Probabilmente per alcuni è inconcepibile spendersi per la propria città senza la pretesa di riempirsi le tasche, e quindi s’impegnano a sprecare il loro tempo nel peggiore dei modi: cercando colpevoli e colpe.

I risultati ci sono, e si vedono!

Intanto ci attribuiamo l’onere di aver contribuito fattivamente a portare Galatina su Forbes, rivista americana di rilevanza internazionale.
Infatti, la giornalista Irene S. Levine girovagava per l’Italia alla ricerca di mete alternative a quelle di massa. È arrivata all’Info Point di Galatina dove ha incontrato la volontaria di turno, che con la sua cortesia, disponibilità ed un fluido inglese, ha saputo riconoscere l’importanza di quella presenza nel Salento e si è quindi messa a disposizione della turista, passeggiando con lei per la nostra città alla scoperta delle bellezze, degli scorci, delle tradizioni, della gastronomia.
Ha destato così un giustificato entusiasmo nella giornalista che successivamente ha pensato bene di divulgare l’incanto di Galatina con un articolo sul suo blog “More time to travel” e successivamente su “Forbes”.

Alla luce di tutti i risultati positivi, pensiamo di aver contribuito sostanzialmente alla promozione del territorio con relativo beneficio per l’intera comunità.

La nostra intenzione rimane quella di costruire.
Gli altri continuino anche a tentare di demolire.

Associazione Città Nostra

 

Riceviamo e pubblichiamo con molto piacere l'interrogazione che ha presentato il Consigliere Comunale Antonio Pepe al Sindaco di Galatina nel corso del Consiglio Comunale del 30 luglio u.s. per porre, all'attenzione dell'Amministrazione Comunale, la preoccupante situazione delle "Casiceddhre"

Interrogazione urgente a risposta orale. Interventi di ristrutturazione e recupero c.d. “Casiceddhre o casette dei nani” site in via Castello, Noha.

http://www.noha.it/photogallery/view.asp?dir=casiceddhre_di_novella

Il sottoscritto Antonio Pepe, Consigliere Comunale dell’UDC,

premesso che

  1. - nella frazione di Noha (via Castello), insistono sul terrazzo del palazzo baronale delle costruzioni in miniatura in pietra leccese policroma, dai più denominate e conosciute con il termine di “Casiceddhre o casette dei nani”, di notevole importanza storica, artistica e culturale;
  2. -  tali costruzioni costituiscono la fedele riproduzione in miniatura di palazzi seicenteschi, ricche di dettagli e particolari architettonici (capitelli, volte a stella, volte a croce, etc.), definiti da studiosi e tecnici che hanno avuto la possibilità di visionarle interessanti e sorprendentemente uniche e rare;
  3. - a causa di alcune crepe presenti sul lastricato del terrazzo, che interessano anche il muro dell’edificio sottostante, e della vicinanza di alcuni alberi di pino, che con i rami stanno letteralmente e costantemente “schiaffeggiando” tali “opere d’arte”, e con le radici, probabilmente, provocando le lesioni precedentemente descritte, le condizioni di tali costruzioni stanno visibilmente ed irrimediabilmente peggiorando;
  4. - il testo consultato per la ricostruzione storica narra che “tra le notizie, non documentate, abbiamo quella secondo la quale le “casiceddhre” sono opera di un giovane morto nella guerra del 1915 – 1918. Un’altra vox populi afferma che un pastorello per diletto le abbia costruite in epoca ignota. Un’altra ancora addirittura indica in un mastro fabbricatore, tale Cosimo Mariano di Noha, l’artefice di quel gioiello d’arte. In questo settore in cui non possiamo esprimere che dubbi, incertezze, ipotesi, una facile congettura è quella secondo cui la contemplazione di dette casette contribuiva sia ad alleviare le fatiche e gli impegni profusi nell’amministrazione del feudo, sia a ritrovare tra amici e parenti il gusto dell’esercizio dell’otium letterario e non, ingannando il tempo passato nel paesello in attesa di raggiungere Lecce o Napoli, onde godere e respirare a pieni polmoni l’aria della nobiltà e dell’aristocrazia” (Noha – Storia, Arte, Leggenda di Francesco D’Acquarica e Antonio Mellone - Aprile 2006, Istituto Grafica Silvio Basile S.p.a.);
  5. - sono state numerose le recensioni fatte da esperti d’arte e giornalisti, a testimonianza della curiosità e dell’importanza che rivestono;
  6. - negli scorsi anni sono stati saltuariamente effettuati degli interventi di potatura degli alberi, per prevenire ulteriori deterioramenti;

considerato che

  1. - tali costruzioni rappresentano un patrimonio storico, culturale e artistico per la comunità di Noha e potrebbero sicuramente costituire motivo di attrazione per numerosi visitatori, se adeguatamente restaurate;
  2. - per la ristrutturazione alcuni tecnici sarebbero disponibili a prestare la loro opera gratuitamente, elaborando idoneo progetto;
  3. - insistendo su un edificio di proprietà privata, sarebbe auspicabile contattare i proprietari e prevedere di stipulare, ove possibile, forme convenzionali che prevedano il totale recupero e la ristrutturazione di tali “casette” interamente a spese del Comune, prevedendo anche l’illuminazione con idonei corpi illuminanti e, se necessario, l’abbattimento degli alberi, per salvaguardarle e renderle maggiormente visibili;
  4. - trattandosi di interventi di poche migliaia di euro, si potrebbe dare una risposta immediata alla risoluzione di tale problema;

con la presente,

chiede

alla S. V. se ritiene opportuno intervenire immediatamente per porre rimedio a tale situazione, se ritiene possibile contattare nel breve periodo la proprietà al fine di verificare la realizzabilità di quanto prima esposto e se ritiene utile reperire le somme necessarie, ricorrendo anche a finanziamenti extra-comunali, consapevole che ciò costituisce un’importante occasione per l’ulteriore crescita non solo culturale della frazione di Noha, ed in attesa di altri interventi tesi a recuperare l’importante patrimonio presente sul territorio della frazione.

 

Nella sua risposta  Sandra Antonica ha assicurato l'impegno dell'amministrazione comunale.

Antonio Pepe

 
Di Marcello D'Acquarica (del 07/02/2022 @ 08:00:49, in NohaBlog, linkato 1434 volte)

I cimiteri a Noha sono stati tanti e in parte lo sono ancora. Noha conserva ancora alcune testimonianze e i posti in cui sono stati seppelliti i morti fin dal tempo dei Messapi.

Andiamo per ordine.

Negli anni fra il 1954-57, a Noha ci fu una mezza rivoluzione urbanistica. Il Paese Italia era da poco uscito dal disastro della seconda guerra mondiale, e la cosiddetta “ricostruzione” venne pure nella nostra Noha, difatti è di quegli anni la costruzione del cimitero attuale in contrada “La Monaca”. Dello stesso periodo è la piantumazione degli eucaliptus di via Aradeo, e l’asfalto della vecchia via Santa Lucia,  che da Galatina portava e porta  a Noha per proseguire successivamente verso Collepasso e verso Aradeo.

In quella occasione, tagliando il monte roccioso per far diminuire l’eccessiva pendenza del terreno adiacente allo stabilimento Brandy Galluccio, vennero alla luce delle tombe antichissime. Dai reperti funebri trovati, si capì che risalivano al tempo dei Messapi. Anche nell’ultimo sopralluogo della Soprintendenza di Lecce (vedi prot. 0012250; 19/06/2017; CI. 34.31.01/59), il funzionario che ha visto i resti trovati nelle tombe ancora esistenti, ne ha confermato l’antichità.

A pochi metri dall’ex Stabilimento Brandy Galluccio, in direzione di Collepasso, qualche anno dopo, durante lo scavo per le cisterne di un distributore di carburante, venne alla luce la tomba di un visir turco, Risalente probabilmente al periodo antecedente l’eccidio dei Martiri di Otranto eseguito dai Turchi. Fu quello un lungo periodo in cui le scorrerie dei saraceni furono frequenti. Gli invasori Turchi rimasero nel Salento per circa un anno invadendo anche Galatina e Noha e qualcuno quindi ci moriva pure.

Sempre nella stessa zona, in alcune case private, in occasioni di ristrutturazione di vecchi caseggiati, sono state trovate altre tombe.

Altre sepolture sempre in zona, sono emerse dall’abbattimento della Masseria cosiddetta “le cambare”, la struttura di fronte che era di fronte alle case di corte del palazzo baronale, esattamente dove oggi sono le Casiceddhre di Cosimo Mariano, casette che se potessero parlare avrebbero da dirci un sacco di cose, pure brutte. Evidentemente quell’area è stata per molti secoli luogo di sepolture, un grande cimitero della Noha antica. Non è difficile immaginarne la ragione visto che l’antico abitato si limitava all’agglomerato rappresentato nella mappa. Per cui l’area in questione era in periferia, lontana dalle case. Anche perché i Messapi usavano seppellire i loro morti fuori dall’abitato.

Altra zona in cui sono state rinvenute delle povere sepolture, è il tratto di via G. Verdi, compreso fra via Cadorna e via Congedo. Vennero alla luce negli agli anni ’60 del secolo scorso, quando l’area in questione era ancora aperta campagna, durante dei lavori di scavo per delle nuove abitazioni. Dalle testimonianze raccolte pare fossero delle sepolture semplici e chiuse da semplici tegole di terracotta.

Le prime sepolture gestite cristianamente dalla Chiesa, possiamo dire che sono quelle trovate nelle mura dell’antica chiesa ottagonale (la Chiesa cosiddetta “Piccinna” dedicata alla Madonna delle Grazie), risalente al tempo dei Basiliani (750 d. C.), e ab immemorabili, con il sorgere della Chiesa dedicata a San Michele Arcangelo, nelle due cripte cimiteriali sottostanti al pavimento della suddetta chiesetta.Le due cripte sono sempre state adoperate per la sepoltura dei nohani, fino alla costruzione del cimitero di Galatina (1886), anche perché dal 1812 Noha non ha più avuto gestione amministrativa comunale indipendente, ma come ben sappiamo, divenne frazione di Galatina, anche per l’uso del cimitero. Difatti nella Chiesa Piccinna si conservava una cassa di legno per il trasporto dei defunti nohani verso il cimitero di Galatina. La cassa di legno era una cassa esterna dentro la quale si poneva quella di abete rustica con il cadavere. Una volta portato il morto al cimitero, la cassa esterna ritornava alla confraternita e veniva ogni volta affittata con il pagamento di un canone. Ma questa era un’usanza comune in tutto il territorio e non solo a Noha.

Ora le due cripte sono chiuse e sigillate dal pavimento dell’attuale Chiesa, dove nel 1980, in occasione dei lavori di demolizione del vecchio altare, cedette la volta di una delle due cripte, gli operai impegnati nel progetto del nuovo vi furono gettate molte parti della struttura dell’altare demolito, con la pace alle ossa dei morti seppelliti e ai vivi che oggi si godono il nuovo e spaziosissimo altare.

Finalmente nel 1951 Noha ha un suo cimitero.  E i precedenti, alcuni persi del tutto, attendono di essere riportati all’onore che spetta loro, testimoni della nostra storia e molto probabilmente, nostri diretti antenati,  tesori di famiglia.

n.b.: Fonte della maggior parte delle notizie storiche è: “La storia di Noha” di P. Francesco D’Acquarica, imc; Editrice Salentina, Galatina 1989

Marcello D’Acquarica

 

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