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Di Antonio Mellone (del 13/08/2019 @ 16:50:01, in Fetta di Mellone, linkato 1389 volte)

C’è chi ha le fette di prosciutto, chi lenti di salame, e chi invece ostenta filtri in materiale così variegato che non basterebbero a spiegarne la composizione tutti gli elementi della tavola periodica, specie lo stronzio. Confesso che su certe materie, come quella della quale vi parlerò questa volta, io, sempre sugli occhi, ho le fette di Mellone.

Ebbene sì, quando parlo di musica organistica e dunque di organi a canne e organisti non riesco proprio a essere vergin di (servo?) encomio, né invero di (codardo?) oltraggio all’indirizzo di chi, questi organi a canne, li considera alla stessa stregua di un mobile di arredamento, un pezzo da museo (cioè da cimitero per cose che hanno perso la loro casa naturale), se non un ingombro anacronistico o addirittura un centro di costo. Non così, per dire, un Dante Alighieri che nella Commedia ne parla nel Purgatorio (canto IX - 144), e ovviamente anche nel Paradiso (canto XVII – 44).

Per fortuna, qui in provincia di Lecce, da qualche anno a questa parte, c’è un bel gruppo di Leoni da tastiera che, navigando controvento, son riusciti a dare fiato alle trombe, anzi alle canne di un bel po’ di organi installati, alcuni da secoli, nelle chiese salentine.   

Attenzione, precisiamo: questa volta Leoni da tastiera non sono gli analfabeti funzionali che sui social capiscono fischi per fiaschi, o i famosi troll che dietro l’anonimato ne dicono di cotte e di crude, o gli estensori di post senza capo né coda, o the giornalisti copia-incollatori di comunicati-stampa, o i dispensatori di insulti o minacce a fronte di una critica, o Dio non voglia di un pezzo satirico. Nossignore: Leoni da tastiera in questo caso sono degli artisti che, per la gioia dei melomani (e dei mellomani), in consolle, sanno metter mano su tastiere, pedaliere, staffe, pistoni e comandi di registro, dando voce e colore a spartiti musicali, dai classici agli inediti, in una combinazione prodigiosa di suoni soavi e impetuosi, funesti e lieti, delicati e potenti.

 
Di Antonio Mellone (del 20/08/2019 @ 15:15:14, in Fetta di Mellone, linkato 1602 volte)

Tranquilli, questo non è un necrologio. Anche perché per definizione Albino Campa.

Se state leggendo questo pezzo su Noha.it e/o sul profilo Nohaweb è perché da un lato sono riuscito a convincere Albino che, se anche non avesse voluto pubblicarlo sul suo sito, io l’avrei comunque postato sulla mia bacheca fb (ergo qualche internauta, e per di più nohano, prima o poi se ne sarebbe accorto), e poi perché Albino è un ragazzo intelligente, e va da sé che uno non può fare tanto il prezioso dopo aver ingoiato rospi per anni sopportando magari miriadi di comunicati stampa - tra i vuoti di contenuto e i raccapriccianti nella loro sintassi – spediti in redazione da una genia di politici, molti per fortuna ex, convinti del fatto che il rasoio di Occam sia lo strumento per depilare gambe ascelle e inguine.

Per chi ancora non lo conoscesse, Albino Campa, esperto informatico, è l’ideatore, il creatore, il patron, insomma il tutto del sito www.noha.it, partorito nel 2002 (mentre, per la cronaca, le Fette di Mellone festeggeranno il decennale l’anno prossimo, sempre se esisterà ancora la libertà di parola contraria).

Noha.it, diciamolo subito, non è una testata giornalistica, non un quotidiano on-line, né un “prodotto editoriale” ai sensi della legge sulla stampa, ma un blog aggiornato senza periodicità alcuna. È senza scopo di lucro, non riceve finanziamenti pubblici né contributi da parte di alcuno, non ha sponsor, e come potete accertarvi di persona non fa alcuna raccolta pubblicitaria (questo per dire che l’economia del dono esiste, funziona benissimo, e il suo metro è la dismisura). Non è espressione di partiti o movimenti politici (alla fazione preferisce la frazione, per dire), non ha un editore o una casa editrice alle spalle; la sua ragione sociale è la libertà di espressione, di critica e, per chi la capisce, di satira (roba che i cultori del diritto vedrebbero contemplata nella nostra Costituzione; i cultori del rovescio invece chissà dove).

 
Di Antonio Mellone (del 31/08/2019 @ 17:16:00, in Fetta di Mellone, linkato 1386 volte)

Conoscete la storia del dito e della luna, no?

Ebbene, sappiate che in genere è la massa che si fa incantare dalla luna (nel pozzo); è il saggio poi ad accorgersi che quello non è l’indice, ma il dito medio.

L’altra sera, per dire, mi faccio convincere dagli amici a fare un salto a Otranto. Ma Otranto era già assaltata da un pezzo.  

Mancavano sedie e tavolini giusto sul mosaico pavimentale della cattedrale per completare il quadro espressionista: vale a dire l’Urlo di ‘sta Minch (quell’altro era di Munch).

Dai - mi son detto -, guardiamo il lato positivo della cosa: un giorno moriremo.

Siccome i guai non vengono mai da soli, la settimana scorsa un telegiornalista reggeva il moccolo, ossia il microfono, a un manager affranto dalla chiusura della sua bella discoteca salentina vista mare, prostrato dal fatto che il “Salento non è Ibiza”. Ora, va bene che tira più un pelo di Twiga che tutto il parco buoi, ma uno s’aspettava che il whatchdog anziché scodinzolare gli rispondesse per le rime (evidenziando l’orrore di certe affermazioni che vorrebbero essere sarcastiche), o almeno battesse ciglio. O tutt’al più cassa. Niente: si è limitato solo a battere.

 
Di Antonio Mellone (del 13/09/2019 @ 19:54:35, in Fetta di Mellone, linkato 1249 volte)

Ma che figura mi fate fare? A me e a quegli altri quattro sfigati “che dicono sempre di no a tutto”.

Dico a voi, eh: politici ex-politici e caricature della politica (onde la satira sarebbe ormai tautologica se non proprio pleonastica), consiglieri comunali di maggioranza e minoranza tanto è uguale, sindaci e assessori “allo sviluppo e alle ricadute occupazionali”, dirigenti comunali in conferenza dei servizi permanente effettiva, responsabili del Diciamo Progetto, economisti da letto magistralis, comitati spintanei pro Mega-Porco (scusate, ma il lemma Parco sul mio vocabolario ha tutt’altro significato), Theggiornalisti pronti a riportare su carta o video le elucubrazioni del bar dello sport senza fare una piega, intellettuali muti ergo asserviti alla greppia dei poteri che in teoria dovreste controllare, vedove allegre inconsolabili per la sua prematura dipartita, e voi altri indicibili “punti vendita” aderenti all’iniziativa, dei quali giammai saprei indovinare le mansioni.

Di cosa vado blaterando? Ma del Mega-Porco, no? Vale a dire del novello Centro Commerciale di ventisei ettari da colare in contrada Cascioni, comune di Galatina.

Secondo la di solito ben informata stampa quotidiana, quel gran pezzo della GDO, vale a dire Grande Distr(ib)uzione Organizzata, dovrebbe emettere il suo primo vagito a km 0 sotto forma di scontrino fiscale entro e non oltre il 21 settembre 2019, cioè tra meno di dieci giorni, pena la decadenza.

Ora. Vi pare mai possibile che in dieci giorni si possa procedere all’acquisto dei terreni, al loro sbancamento, e poi ancora a recinzioni, perforazioni, livellamenti, indi edificazione di capannoni, asfalto di strade, cementificazione di rotatorie, sollevamento d’insegne, riempimento di magazzini, ma soprattutto redazione di migliaia di volantini promozionali per le buche delle lettere (perennemente intasate)? Secondo me, a meno di un illusionista alla David Copperfield, non ce la faremo mai.

Adesso però non fatemi passare un brutto black friday: cercate, e di corsa, il modo di concedere alla ditta proponente un’altra bella proroga, l’ennesima, la penultima dai, sotto forma di una fiammante convenzione (o circonvenzione, cosa cambia), se no pare brutto. Ne abbiamo fatte trenta: facciamone trentuno.      

Dite che l’idea del Mega-Porco è ormai al crepuscolo? E quel termine del 21 settembre 2019 perentorio? E perché mai? Suvvia. Qui da noi non c’è nulla di più elastico dell’assoluta inderogabilità.    

E per favore, mo’ non iniziamo con il fatto che non ci credete più, che avete scoperto che forse questa roba non crea più posti di lavoro di quanti non ne annienti, che i centri commerciali sono ormai più anacronistici dei telefoni a gettoni, che ne abbiamo già fin troppi a un fischio da casa, che altrove stanno pure chiudendo e licenziando come manco i cinema porno nell’ultimo ventennio, che gli Iper fuoriporta generano banlieue infinite e desertificano le città, che Greta vi ha aperto gli occhi sul surriscaldamento globale, che in fondo il rendez-vous all’ipermercato di domenica è cosa veramente da sfigati, e che addirittura avete pure iniziato a capire qualcosa di economia.  

E non ditemi nemmeno (ché non ci credo) che il progetto era redatto con i glutei, che le garanzie della controparte avevano la stessa credibilità di un “ti amo” dichiarato con una pistola puntata alla tempia, che per anni abbiamo dato perle ai (mega) porci, e che ormai è giunto il momento di vergare l’epitaffio di un’epopea: quella di un ambaradan di carta (da parata) in onore di un manga chiamato Mega-Porco, per gli amici Peppa Pig.

Dubbio dell’ultimo minuto: ma si trattava di un manga o più precisamente del menga?

Antonio Mellone

 
Di Antonio Mellone (del 03/10/2019 @ 21:51:53, in Fetta di Mellone, linkato 1576 volte)

Sapete cosa sono gli Open Days, promossi da questa o quell’azienda e strombazzati ai quattro venti da giornali, teleorba, siti internet, profili fb e altri house organ?

Si tratta di una specie di incontro fabbrica-famiglia (sulla falsariga dell’incontro scuola-famiglia) nel corso del quale alcune aziende - fossero queste perfino l’Ilva di Taranto, la centrale di Cerano o, dico a caso, la Colacem di Galatina - si tirano a lucido per far vedere a tutti quanto siano belle, pulite, ecosostenibili, ecocompatibili, ecologiche, e giacché pure economiche. Lo fanno per uno slancio di empatia, ma soprattutto per amore di verità, mica sono cose studiate a tavolino negli uffici marketing della ditta o nelle famose società di consulenza; nossignore: è tutto spontaneità, altruismo, fi-lan-tro-pi-a signora mia, e non, come dicono i soliti iconoclasti, strategia di greenwashing.  

 

Ora. Per non saper leggere e soprattutto scrivere, suppongo (e le mie supposte raramente sbagliano il bersaglio) che i maggiordomi aziendali, conducendovi in giro per la veneranda fabbrica con un bell’elmetto giallo da cantiere che fa tanto sicurezza, vi diranno che le loro non sono ciminiere, ma guglie, torri, obelischi artistici così alti e raffinati che al confronto il campanile di Giotto è un pugno nell’occhio allo skyline di Firenze; che da quello stabilimento fuoriesce tutto arrosto e niente fumo; che dai loro camini - quando non Chanel n° 5 - viene nebulizzato vapore acqueo alla menta piperita tanto raccomandato dagli otorinolaringoiatri; che addirittura, a seconda del vento che tira, ne risultano vaporizzati nell’aere circostante broncodilatatori, mucolitici ed espettoranti ad ampio respiro e senza l’onere del ticket sanitario; che il carbonile ammassato tutto intorno è quasi quasi più commestibile che combustibile; che non è giusto parlare di polveri sottili, ma di Borotalco Roberts gratis per l’igiene personale di donne e bambini; che i loro prati inglesi sono più verdi di quello del vicino e questo la dice lunga sulla vocazione green della società; che il cemento prodotto a km 0 è così Bio che potrebbe essere spolverizzato sulle orecchiette come i salutisti fanno con la curcuma; che se qualche ponte in cemento armato cade dopo meno di cinquant’anni dalla sua inaugurazione (mentre, per dire, gli antichi ponti romani, o il Colosseo stesso, sopravvivono dopo millenni) non è perché il prodotto sia il peggior materiale mai utilizzato nella storia dell’edilizia, ma perché sbagliano i muratori a non leggere le modalità d’uso riportate sui sacchetti di carta (rigorosamente riciclabile); che le cave (le tajate) estese per ettari di campagna ex-agricola e profonde decine di metri sono di fatto vere e proprie oasi naturali del WWF (soprattutto per i tordi); e che, infine, l’azienda adora Greta Thumberg, essendo da sempre contro il global warning o come cavolo si chiama.

 
Di Antonio Mellone (del 13/10/2019 @ 17:13:05, in Fetta di Mellone, linkato 1489 volte)

Incredibile quanto i libri si parlino tra loro. Lo diceva perfino Umberto Eco.

Quest’estate oltre a tagliare copiose fette di Mellone, ho impilato una serie libri per salirci sopra. La lettura ti permette infatti di montare sulla pila dei libri che leggi, e dunque di riuscire a guardare un po’ più in là che dalla solita altezza marciapiede.

Stavolta ho per le mani due volumi: il primo, “Palermo Connection” di Petra Reski (Fazi Editore, Roma, 2018), letto a giugno scorso in concomitanza della prima fetta di Mellone, proprio quando (combinazione?) mi recavo a Palermo per diletto; il secondo è “Pizzica Amara” di Gabriella Genisi (Rizzoli, Milano, 2019), terminato qualche giorno fa in occasione di quest’ultima fetta 2019. In mezzo, come dicevo, molti altri volumi (ma sempre troppo pochi, eh) sicuramente legati in qualche modo da un fil rigorosamente rouge.

Ebbene, questi due libri sembrano in rapporto tra loro come lo sarebbero in matematica le funzioni iniettive, se non proprio biettive. E già con questo mi sono giocato un bel po’ “mi piace”, ma non tanto per il riferimento alla proprietà delle f(x), quanto per il fatto che sto discettando di libri. Vero è che d’altro canto il vero piacere (like) non è mai un fenomeno di massa.

 

Cari concittadini, inauguro il decennale della mia rubrica Fette di Mellone con questa ennesima lettera aperta, ben sapendo, dalle precedenti, quanto le sue parole siano scritte sul bagnasciuga.

Non so se sapete che mentre voi altri eravate tappati in casa per via del virus,  - e per ammazzare il tempo qualcuno scriveva “Ce la faremo” (con la variante poetica “C’è la faremo”), o imbrattava lenzuola con l’arcobaleno “Andrà tutto bene”, quando non si metteva a cantare l’Inno balconato -, ecco proprio in quel periodo là c’è chi ce l’ha fatta davvero (sotto il naso), gli è andato tutto bene veramente, e oggi può zufolare l’Inno nazionale alla faccia nostra.

Mi riferisco a una bella società milanese nuova di zecca, tale Byopro Dev 2 srl (che evoca tanto il Bio, peccato per quella y), costituta ad aprile 2019 e pronta a impiantare a nord di Galatina, a un fischio da Collemeto, un altro bel porco (ché “parco” nella lingua mia ha un’altra accezione) di 22 ettari di pannelli fotovoltaici su di un terreno che per la verità sarebbe per costituzione destinato all’agricoltura. No, tranquilli, non è in contrada Cascioni, è un po’ più in là, zona Masseria del Duca: e chi ve la tocca la Pantacomica del centro commerciale su altri 26 ettari di campagna, visto che la pietra tombale su quel diciamo progetto tarda ad arrivare, atteso che a Galatina e dintorni su certi argomenti il concetto di decadenza dei termini si misura con l’elastico.

 
Di Antonio Mellone (del 08/07/2020 @ 21:38:26, in Fetta di Mellone, linkato 1001 volte)

Ma cosa cavolo avranno mai combinato le Mamme No-Tap per essere state rinviate a giudizio in un maxiprocesso da celebrarsi magari in un’aula bunker? Vuoi vedere che tomo tomo cacchio cacchio saranno loro la cagione della devastazione del patrimonio naturale, culturale ed economico del Salento? Non mi dire che avranno espiantato ulivi senza il permesso, abbattuto muretti a secco, eluso normative, e pure perforato, penetrato, cementificato, inquinato acque, disatteso prescrizioni, utilizzato la forza pubblica per interessi privati, e già che c’erano pure corrotto.

Di più? E quale altro reato potrebbero di grazia aver commesso ‘ste benedette donne? Oltraggio a pubblico manicomiale, dite? Tipo testate ai manganelli, labbra tirate sui pugni (che fanno così male alle nocche), addomi scagliati contro le ginocchiate, volti supplicanti lo schiaffo del soldato (o del poliziotto), addirittura spaccio di fumo (nel senso di lacrimogeni) negli occhi? E che hanno scambiato un cantiere per la Diaz?   

Manco questo. Caspita, allora vuoi vedere che qui c’è da scomodare il codice Rocco laddove si parla addirittura di lesa maestà, di insurrezione, di sputtanamento del re che era meglio si mettesse qualcosa addosso e, dio non voglia, di critica, satira e perfino istigazione a distinguere? Ma se è così la cosa è grave assai. Da Corte d’assise proprio.

Signora mia, dovresti sapere che in una società resiliente e assertiva come la nostra - con tanto di sensi di colpa pungolati con metodo, e cloroformio servito all’happy hour - la disobbedienza civile si sopprime sul nascere, i ribelli si emarginano, gli oppositori si ostracizzano. Suvvia, parlar male di Tap (e degli altri compagni di merende altrimenti detti “volani per lo sviluppo”) non è mica politically correct: è iconoclastia applicata, blasfemia da anatema pontificio, eresia da rogo.

Qui il catechismo ideologico è tale che se pretendi una V.I.A. rigorosa ti arriva immediatamente un Foglio di Via (quando non una novella SS. 275 a quattro corsie); sono ammesse soltanto le manifestazioni osannate dai “giornali” e dai loro mandanti; il critico può fare il critico purché non parli mai male di nessuno; la battuta vien tollerata soltanto se anestetica, da Bagaglino, mai pungente o dissacrante - ché qui ogni arguzia dev’essere sottoposta a primo e secondo tampone.

 
Di Antonio Mellone (del 25/07/2020 @ 18:31:53, in Fetta di Mellone, linkato 1108 volte)

Spesso son così titubante che al confronto il principe Amleto era un decisionista. Questa volta, scatola cranica in mano (in mancanza sopperisce il frutto di stagione delle cucurbitacee), the question is: votare o vomitare.

Ebbene, nel prossimo mese di settembre anche la Puglia “rinnoverà” il suo consiglio d’amministrazione. A dirla tutta nel fritto misto hanno stemperato anche il referendum costituzionale sul taglio dei parlamentari. Ma di quest’ultimo tentativo di evirazione democratica, e del doveroso NO all’ennesima presa per i fondelli, parlerò in altra sede.

Ora soffermiamoci sulla campagna elettorale diciamo politica, la quale, a meno delle fiumane di terroni in visibilio per il leghista, di fatto non si tiene nelle pubbliche piazze (la pandemia è un ottimo alibi), men che meno nelle sezioni dei partiti (divenute ormai, forse per vocazione, case chiuse), ma come al solito sottobanco, con accordi trasversali, tramite contatti con i cosiddetti grandi elettori, a cena dal notabile locale, telefonando al grosso imprenditore che sa come far “decidere” i propri collaboratori, bussando coi piedi alla porta delle associazioni di categoria (quelle con il prefisso Conf), o alla redazione del solito giornale pronto a dare dritte e storte ai suoi superstiti lettori, e infine ma non ultimo ai conciliaboli fra clan. Poi uno si chiede come mai il pensiero dominante finisca con il coincidere quasi sempre con il pensiero della classe dominante: e dunque gli oppressi simpatizzino per gli oppressori, gli assediati per gli assedianti, il gregge per il lupo.

Sta di fatto che il fil rouge, o meglio rosè, che lega destra e centro-destra (ché la sinistra pare scomparsa dalla circolazione), sembra fatto da investimenti per lo sviluppo (il solito volàno per), aiuti all’agricoltura (per trasformarla da settore primario in secondario), un mega programma di sostenibilità ambientale (onde la nostra regione sarà una novella Arcadia cantata dal Metastasio: la famosa Puglia metastatica), e quindi infrastrutture a gogo (ma tutte rigorosamente eco, bio, green, nature), tanta semplificazione (ma sì, via la soprintendenza, via il principio di precauzione, via ogni tutela del lavoro, via le regole, e via quella rompiscatole della Via, cioè la valutazione di impatto ambientale), turismo tutto l’anno of course (e ci mancherebbe pure che smettessimo di battere marciapiedi e centri storici con quel che rendono), valorizzazione della sanità (qualunque cosa voglia dire), e cultura, signora mia, che non ti dico. Cogliere le differenze tra i programmi chiamiamoli alternativi sarà come vedere il coronavirus a occhio nudo.       

Ebbene, oltre alla corona dei sei viceré candidati aspettiamoci anche un ben nutrito sottobosco di caporali e riempilista, composto molto spesso da personaggi sinceri quanto la loro dichiarazione dei redditi, rivoltatori di frittate, tromboni e già trombati, asintomatici in fatto di grammatica, Cetti e Cette Laqualunque, fotografi di caricature definite selfie, urlatori di anacoluti, promotori dell’ennesima legge di Murphy, dispensatori di olio extravergine di ricino spacciato per amuchina, populisti che danno del populista agli altri, moVimentisti a 5 mandati, e, the last and the least, forza-italioti redivivi.

E il bello è - tanto per sgombrare il campo dai dubbi amletici - che i socialisti (Eia! Eia! Alalà!) sostengono il candidato destronzo; i fascisti il sinistrato (chissà se PD saranno l’iniziale e la finale di Pound, nel senso di Casa); il candidato renzizzato di ‘Italia chi t’ha Viva’ lavora per il trionfo dell’enfant prodige, già governatore di questa, sicuramente anche per questo, martoriata Puglia; la candidata a cinque stampelle ha coniato un nuovo slogan per vincere facile: Onestap, Onestap. Si blatera circa l’esistenza di altri tre concorrenti al massimo scranno regionale: uno addirittura del MSI, Fiamma Tricolore (per la gioia della XII disposizione transitoria e finale della Costituzione: candidatura comunque pletorica vista la pasta degli altri), un altro che vorrebbe inverare sulla sua pelle il principio “uno vale effettivamente uno”, e un terzo che francamente sfugge al radar della mia postazione di osservatore nohano.

Il responso all’indecisione di partenza è epigrafico: assunzione di un antiemetico e poi voto rigorosamente utile. Occhio che il mio concetto di utilità in fatto di voto è affatto diverso da quello che la classe dominante vorrebbe in qualche modo, ehm, inculcarvi.

Antonio Mellone

 

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