Di Albino Campa (del 11/09/2007 @ 15:49:17, in NohaBlog, linkato 3967 volte)
Eccovi il trafiletto a firma di Antonio Mellone apparso su "quiSalento" del corrente mese di settembre (n. 12, anno VII).
Il tema: la prossima ventura festa di San Michele Arcangelo, protettore di Noha. Su questi stessi schermi, a breve, il programma della festa patronale che avrà luogo dal 28 al 30 settembre 2007


San Michele Arcangelo

A Noha non si può fare a meno di San Michele Arcangelo, come nessun popolo può fare a meno dei suoi Santi, i suoi più fedeli impiegati, sempre in servizio permanente effettivo. Lo sportello di San Michele Arcangelo di Noha, come quello dei suoi colleghi di paradiso, è aperto giorno e notte, propenso a dispensare miracoli alla supplica di una misura anche minima di pronto soccorso. Quest’anno poi San Michele è particolarmente contento: gli hanno finalmente restaurato altare e nicchia barocca in pietra di Lecce, quella dalla quale s’affaccia brandendo lo scudo su cui è impresso il suo motto “Quis ut Deus”, mentre vibra ancora un colpo tremendo sul capo del rivale, il serpente antico.
E se è contento il protettore, sarà contento anche il popolo nohano che festeggerà come sempre e per tre giorni l’onomastico del suo Santo Arcangelo, non facendogli mancare la colonna sonora delle bande e dei concerti sinfonici di Puglia, l’iridescenza ed i ricami degli archi di luce (l’inquinamento luminoso si può anche tollerare semel in anno); ed ancora, il profumo e la gustosità delle pietanze della cucina più buona del mondo, ed il fragoroso spettacolo di artiglieria pirotecnica: quei fuochi artificiali, quelle cannonate che, sì, mirano verso il cielo, ma a salve, e per ringraziarlo.

Antonio Mellone

 
Di Albino Campa (del 29/08/2007 @ 13:55:54, in NohaBlog, linkato 4316 volte)
"Oggi è morto il prof. Zeffirino Rizzelli, già sindaco di Galatina. Galatina e Noha ed il mondo intero perdono un maestro, un padre. Ci inchiniamo di fronte ad un uomo che con la sua vita ha testimoniato i valori del rispetto, della democrazia e della libertà".


" Vi riproponiamo di seguito l'articolo di Antonio Mellone apparso su "il galatino" del 15 settembre 2006 dal titolo "Scritto in Onore di Zeffirino Rizzelli".
 
 
Un uomo che ha messo sempre da parte i propri interessi


Da il Galatino n. 14 del 14 luglio 2006, quello prima del congedo estivo, a margine dell’articolo di fondo a sua firma, il prof. Zeffirino Rizzelli ha annunciato il ritiro ufficiale dalla direzione editoriale del quindicinale che ormai da quaranta anni con puntualità troviamo in edicola. Un’uscita dalla scena principale senza tanti clamori, quasi in punta di piedi, come è nel suo stile: è questa, in fondo, l’umiltà dei grandi spiriti, quelli che con la loro opera diuturna, aiutano l’umanità a crescere e a diventare più giusta e civile. Non vogliamo (né potremmo!), in queste poche righe, analizzare l’opera del Rizzelli insegnante, politico, presidente del Distretto Scolastico, Sindaco di Galatina e, soprattutto, uomo di cultura, studioso, giornalista e scrittore. Abbiamo già scritto altrove che sarebbe proprio il caso di indagare a fondo, di studiare e possibilmente raccogliere e ripubblicare almeno gli scritti (è forse sarebbe l’opera meno difficoltosa, in quanto è agevole rintracciarne i testi) di Zeffirino Rizzelli: i quali ormai si contano a migliaia. Ne sortirebbe un’opera a più tomi, di grande valore editoriale. In queste righe ci limiteremo, allora, a pubblicare un articolo a nostra stessa firma dal titolo “Indietro non si torna”, che scrivemmo nell’ormai lontano 1996. Quell’articolo, che interpretava – ne eravamo e ne siamo tuttora certi – il pensiero dei molti non fu pubblicato dallo stesso Rizzelli (lo ricordiamo come se fosse ieri) sul suo giornale, nonostante il parere favorevole di Rossano Marra, proprio per quella sorta di ritrosia, o di umiltà, di cui abbiamo sopra fatto cenno. Così ci scrisse in una sua garbata lettera di spiegazioni: “… Non posso pubblicare sul mio giornale il tuo articolo. Questo non perché falsa modestia mi induce a rigorose valutazioni, ma perché siamo in campagna elettorale, tempo in cui si arriva a strumentalizzare anche ciò che strumentalizzabile non è. […]  Chi lo ha scritto è, certamente, lontano le mille miglia da sentimenti di riverenza o peggio ancora di servilismo…”. Non eravamo riverenti o ossequiosi o peggio ancora servili nei confronti della persona di Zeffirino Rizzelli. Ci mancherebbe: non lo siamo mai stati nei confronti di nessuno. Il servile è chi frequenta qualcuno sperando in qualche ricompensa. Noi, del resto, non frequentavamo il prof. Rizzelli, anzi allora non lo conoscevamo nemmeno di persona, se non per avergli stretto fugacemente la mano un paio di volte, semplicemente ringraziandolo dell’ospitalità che ci aveva sempre riservato sul quindicinale il Galatino”, qualunque argomento avessimo trattato nei nostri articoli, che già da tempo pubblicavamo (e spedivamo per posta ordinaria). E poi, soprattutto, non speravamo in nulla. Nessuno più di noi era “vergin di servo encomio”, come pure di “codardo oltraggio”… Ora crediamo sia arrivato il momento di pubblicare il nostro “Indietro non si torna”, rimasto per tanti anni nel cassetto: nessuna forma di strumentalizzazione sarà ormai più possibile, né da destra, né da manca. Ecco dunque il brano che finalmente vede la luce della pubblicazione dopo oltre un decennio dalla sua redazione: sia, questo, uno “Scritto in Onore”, uno dei tanti, una celebrazione, ma soprattutto un tassello che dimostri (se mai ce ne fosse bisogno) il lustro dato dalla persona e dall’opera di Zeffirino Rizzelli alla città di Galatina e a tutto il Salento; nonché l’augurio che il Professore continui per molti anni ancora, anche se non nelle vesti di direttore editoriale, a farci conoscere il suo pensiero e a consigliarci per il  meglio: gli uomini e le istituzioni (quelle del governo cittadino soprattutto) hanno bisogno, oggi più che mai, di questo dispensatore gratuito e disinteressato di idee e di saggezza, e, quando servono, di ammonimenti.


Ecco, dunque, il nostro articolo, di seguito ritrascritto verbatim:  Gli interessi di parte hanno prevalso, le ragioni delle “ricadute elettorali” hanno avuto la meglio, e così il miglior Sindaco che Galatina abbia mai avuto, Zeffirino Rizzelli, ha dovuto rassegnare le dimissioni. Sapevamo, tre anni fa, quale grave eredità il neo-eletto Sindaco riceveva dalle precedenti amministrazioni, quali i problemi della città, quali le mille richieste dei cittadini, quali i disagi, quali le difficoltà dovute alla limitatezza dei fondi che la Regione e lo Stato erogavano (ed erogano) in un contesto di tagli alla spesa pubblica… Sapevamo tutto questo e non chiedevamo, né speravamo l’impossibile. L’Amministrazione Rizzelli, invece, sembra aver fatto l’impossibile. Sempre molto, troppo rimane da fare, certamente, ma quello che nel corso di questi anni, il Sindaco e la sua Giunta hanno realizzato tra tante difficoltà è sotto gli occhi di tutti. L’intenso lavoro amministrativo compiuto è sempre stato portato a conoscenza di tutti attraverso un foglio edito mensilmente dall’Amministrazione comunale e a tutti gratuitamente distribuito. Un foglio dalla testata esplicativa: “Informare”. Si è aperta una nuova fase, una nuova era di fiducia e di speranza nelle istituzioni, proprio nel momento in cui gli scettici sul cambiamento sembravano avere il sopravvento. La “rinascita” della città è testimoniata non solo dalle opere pubbliche, ma anche dalle manifestazioni culturali, dai convegni, dai concerti, dalle iniziative volte a rivalutare il centro storico, dai progetti per i giovani, mai prima d’ora così importanti per livello qualitativo e numerosità. Anche le frazioni, da troppo tempo abbandonate a se stesse, quasi dimenticate, si sono viste al centro di un rinnovato interessamento. Ed ora qualcuno vorrebbe non riconoscere tutto questo o peggio ancora farlo finire. Vorrebbe, magari, ritornare alle vecchie logiche, al vecchio linguaggio (“ricadute elettorali”), ai vecchi intrallazzi, alle clientele, agli antichi giochi di potere e di partito, ai personalismi… Indietro non si torna! Ormai è chiusa anche l’epoca della raccolta dei voti con la tecnica del “porta a porta”, basata sui rapporti di amicizia o di conoscenza e sulle promesse, naturalmente difficili da mantenere per tutti. Chi si aspetta una “ricaduta elettorale” con tutto questo in mente, altro non otterrà che un crollo elettorale. Amministratore pubblico sarà chi dimostrerà preparazione, provata moralità, capacità d’indirizzo, di programmazione e di decisione. E questo il prof. Rizzelli lo ha già dimostrato. Con i fatti, non con le parole. E poi, il prof. Rizzelli dimostra ben altro. Dimostra che non solo conosce George Clemanceau e le sue caustiche frasi, ma anche chi, come Francois Cagné, di Clemanceau ha scolpito la statua, oggi negli Champs-Elisées, a Parigi. Parole, le nostre, rivelatesi tutt’altro che profetiche: quello che successe dopo quella tornata elettorale è ormai storia, di cui piangiamo ancora le conseguenze.


Antonio Mellone

 

Riceviamo e pubblichiamo con molto piacere l'interrogazione che ha presentato il Consigliere Comunale Antonio Pepe al Sindaco di Galatina nel corso del Consiglio Comunale del 30 luglio u.s. per porre, all'attenzione dell'Amministrazione Comunale, la preoccupante situazione delle "Casiceddhre"

Interrogazione urgente a risposta orale. Interventi di ristrutturazione e recupero c.d. “Casiceddhre o Casette dei nani” site in via Castello, Noha.

http://www.noha.it/photogallery/view.asp?dir=casiceddhre_di_novella

Il sottoscritto Antonio Pepe, Consigliere Comunale dell’UDC,

premesso che

  1. - nella frazione di Noha (via Castello), insistono sul terrazzo del palazzo baronale delle costruzioni in miniatura in pietra leccese policroma, dai più denominate e conosciute con il termine di “Casiceddhre o Casette dei nani”, di notevole importanza storica, artistica e culturale;
  2. -  tali costruzioni costituiscono la fedele riproduzione in miniatura di palazzi seicenteschi, ricche di dettagli e particolari architettonici (capitelli, volte a stella, volte a croce, etc.), definiti da studiosi e tecnici che hanno avuto la possibilità di visionarle interessanti e sorprendentemente uniche e rare;
  3. - a causa di alcune crepe presenti sul lastricato del terrazzo, che interessano anche il muro dell’edificio sottostante, e della vicinanza di alcuni alberi di pino, che con i rami stanno letteralmente e costantemente “schiaffeggiando” tali “opere d’arte”, e con le radici, probabilmente, provocando le lesioni precedentemente descritte, le condizioni di tali costruzioni stanno visibilmente ed irrimediabilmente peggiorando;
  4. - il testo consultato per la ricostruzione storica narra che “tra le notizie, non documentate, abbiamo quella secondo la quale le “casiceddhre” sono opera di un giovane morto nella guerra del 1915 – 1918. Un’altra vox populi afferma che un pastorello per diletto le abbia costruite in epoca ignota. Un’altra ancora addirittura indica in un mastro fabbricatore, tale Cosimo Mariano di Noha, l’artefice di quel gioiello d’arte. In questo settore in cui non possiamo esprimere che dubbi, incertezze, ipotesi, una facile congettura è quella secondo cui la contemplazione di dette casette contribuiva sia ad alleviare le fatiche e gli impegni profusi nell’amministrazione del feudo, sia a ritrovare tra amici e parenti il gusto dell’esercizio dell’otium letterario e non, ingannando il tempo passato nel paesello in attesa di raggiungere Lecce o Napoli, onde godere e respirare a pieni polmoni l’aria della nobiltà e dell’aristocrazia” (Noha – Storia, Arte, Leggenda di Francesco D’Acquarica e Antonio Mellone - Aprile 2006, Istituto Grafica Silvio Basile S.p.a.);
  5. - sono state numerose le recensioni fatte da esperti d’arte e giornalisti, a testimonianza della curiosità e dell’importanza che rivestono;
  6. - negli scorsi anni sono stati saltuariamente effettuati degli interventi di potatura degli alberi, per prevenire ulteriori deterioramenti;

considerato che

  1. - tali costruzioni rappresentano un patrimonio storico, culturale e artistico per la comunità di Noha e potrebbero sicuramente costituire motivo di attrazione per numerosi visitatori, se adeguatamente restaurate;
  2. - per la ristrutturazione alcuni tecnici sarebbero disponibili a prestare la loro opera gratuitamente, elaborando idoneo progetto;
  3. - insistendo su un edificio di proprietà privata, sarebbe auspicabile contattare i proprietari e prevedere di stipulare, ove possibile, forme convenzionali che prevedano il totale recupero e la ristrutturazione di tali “casette” interamente a spese del Comune, prevedendo anche l’illuminazione con idonei corpi illuminanti e, se necessario, l’abbattimento degli alberi, per salvaguardarle e renderle maggiormente visibili;
  4. - trattandosi di interventi di poche migliaia di euro, si potrebbe dare una risposta immediata alla risoluzione di tale problema;

con la presente,

chiede

alla S. V. se ritiene opportuno intervenire immediatamente per porre rimedio a tale situazione, se ritiene possibile contattare nel breve periodo la proprietà al fine di verificare la realizzabilità di quanto prima esposto e se ritiene utile reperire le somme necessarie, ricorrendo anche a finanziamenti extra-comunali, consapevole che ciò costituisce un’importante occasione per l’ulteriore crescita non solo culturale della frazione di Noha, ed in attesa di altri interventi tesi a recuperare l’importante patrimonio presente sul territorio della frazione.

 

Nella sua risposta  Sandra Antonica ha assicurato l'impegno dell'amministrazione comunale.

Antonio Pepe

 
Di Albino Campa (del 28/07/2007 @ 08:53:36, in NohaBlog, linkato 3207 volte)

Su “quiSalento”, anno VII, n. 7, 1/18 luglio 2007, troviamo nella rubrica “da leggere” la recensione al recente libro di Antonio Mellone dal titolo “Scritti in Onore di Antonio Antonaci”. L’articolo che vi proponiamo di seguito è a firma di Eleonora Carriero.Il libro del nostro Antonio Mellone verrà presentato nel prossimo mese di settembre. V’informeremo più dettagliatamente sull’appuntamento ovviamente da non perdere: per ora sappiamo (e ve lo diciamo) che avverrà a Galatina nella splendida cornice del Palazzo della Cultura.


LA PASSIONE DEL DISCEPOLO

 

La passione dello studio e lo studio della passione. La passione dello studio è quella di monsignor Antonio Antonaci di Galatina (classe 1920), riversatasi nella filosofia del cinquecento, nella biografia, nella storia e nell’arte locale, nel giornalismo, solo per citare i più importanti ma non unici filoni dei suoi interessi eruditi.

Lo studio della passione è questa raccolta di scritti realizzata da Antonio Mellone in onore del professore monsignore e che mette bene in evidenza la enciclopedica curiosità dello studioso, la capacità speculativa del filosofo, l’amore dell’uomo legato alla sua terra.

Anche questo libro, dunque, è fatto con passione: la passione dell’allievo per il maestro, riconoscente per il benefico contagio dell’amore per i libri, per la conoscenza, per il dialogo. Ha ragione dunque l’editore Michele Tarantino nella sua nota, quando definisce questo libro un saggio “appassionato”.

Una sintetica eppur completa conoscenza di Antonio Antonaci è già possibile soffermandosi sulla sua fotografia in copertina: seduto alla scrivania, in giacca da camera, lo sguardo attento su un grande volume, le mani pronte a voltare pagina e a seguire il pensiero, alle spalle gli scaffali di una libreria antica ma resa viva dall’uso.

Quelle dello studioso sono “opere di ampio respiro culturale costruite in base a pazienti e minuziose ricerche su codici antichi, documenti coevi e pubblicazioni varie, opere accessibili alla lettura di quanti, non facendo parte degli ‘addetti ai lavori’, sono spinti dal desiderio di conoscere vicende e uomini della propria terra”, opere di “grande impegno culturale e civico”, in cui la precisione delle citazioni si accompagna all’”arte del bello scrivere”. L’effetto è quello di una lettura “scorrevolissima e vorace”, con il “connesso rammarico di finire troppo presto”.

I saggi (in cui Mellone sembra aver interiorizzato stile e modi del maestro, con analoghi effetti sul lettore) si propongono nella forma di recensioni (edite ed inedite) alle opere, in cui si inseriscono piccoli racconti, stralci di conversazioni private, aforismi antonaciani in dialetto, ricordi di vita quotidiana.

Anche il lettore si appassionerà.

                                                                              Eleonora Carriero

Antonio Mellone, Scritti in onore di Antonio Antonaci, con un saggio introduttivo di Zeffirino Rizzelli, pp.83, Infolito Group Editore, Milano, 2007

 

 

 

 

 
Di Albino Campa (del 24/07/2007 @ 14:05:11, in NohaBlog, linkato 2682 volte)

Il nostro amico Angelo, sposo novello, ci fa pervenire dalle Canarie (Spagna) e precisamente da Lanzarote Island (dove ha trascorso la sua luna di miele)la foto di questo bellissimo locale esotico. Bellissimo, in quanto il nome, guarda caso, è proprio NOHA, come si vede nell'immagine.

Il nome di NOHA, campeggia luminoso a caratteri cubitali dunque non solo nel Salento ma anche in altre parti del mondo. A proposito, cari amici, se nei vostri viaggi intorno al globo terrestre (ma anche se doveste andare, da astronauti, nello spazio) vi doveste incontrare ancora con il dolce nome del nostro stupendo paese segnalatecelo: sia esso il nome di un locale, una spiaggia, un personaggio, un'associazione, un'opera d'arte, una storia, una bella ragazza...

 
Di Albino Campa (del 21/07/2007 @ 08:50:10, in NohaBlog, linkato 2446 volte)
"Anche Noha.it partecipa al V-DAY."
 
 L'8 settembre sarà il giorno del Vaffanculo day, o V-Day. Una via di mezzo tra il D-Day dello sbarco in Normandia e V come Vendetta. Si terrà sabato otto settembre nelle piazze d’Italia, per ricordare che dal 1943 non è cambiato niente. Ieri il re in fuga e la Nazione allo sbando, oggi politici blindati nei palazzi immersi in problemi “culturali”. Il V-Day sarà un giorno di informazione e di partecipazione popolare.
 
Beppe Grillo
 
 
Di Albino Campa (del 08/07/2007 @ 00:12:54, in NohaBlog, linkato 3804 volte)

Eccovi di seguito l'articolo di Antonio Mellone apparso su -il Titano- di quest'anno (supplemento de 'il Galatino' n.12 del 27 giugno 2007) dal titolo: "Giuseppe Paglialunga di Noha, Pippi Caddhripulinu, Capilega". Si tratta di un saggio breve su un personaggio di Noha, Pippi Caddhripulinu, appunto, il quale, sebbene inquadrato in un ambiente delimitato con confini provinciali, ha comunque contribuito alla costruzione della micro-storia o storia locale. Che non è da considerarsi storia di serie B o di seconda classe, ma storia tout court

GIUSEPPE PAGLIALUNGA DI NOHA: PIPPI CADDHRIPULINU, CAPILEGA.

Queste brevi note vogliono essere l’omaggio alla memoria di una personaggio di Noha, Giuseppe Paglialunga, da tutti meglio conosciuto con il nome di Pippi Capilega o Caddhripulinu, una persona che, insieme a molte altre coraggiose coscienze, ha dimostrato che anche nell’Italia del Sud (ed addirittura a Noha!) fu alta la voce dell’antifascismo, causa efficiente della repubblica democratica del dopoguerra.
Pippi, che nasce a Noha il 5 giugno 1923 da una modesta famiglia di braccianti agricoli (i nonni erano oriundi di Gallipoli, da qui il soprannome), insieme ad altri eroi contribuisce con il suo pensiero e la sua lotta a rompere un sistema crudele e disumano: quello che schiacciava la dignità del povero servo della zolla, costretto alla produzione del “plusvalore” che l’opulento agrario di turno rapinava con zelo da sempre, protetto da leggi ingiuste, e da una concezione del pensiero basata sull’ignoranza e la rassegnazione.
E’ stato con persone ardimentose come Pippi che finalmente si giunge anche nel Mezzogiorno ad un punto di rottura, alla resa dei conti tra il feudalesimo e la modernità, e alla nascita di una nuova idea di società.
Contadino di semplici origini, come i genitori ed i fratelli, Pippi, “primula rossa” nohana, comunista convinto fino alla fine, viene nominato responsabile della “Camera del Lavoro” di Noha, ubicata in umili locali nella splendida piazzetta Trisciolo, un tempo lastricata con conci di pietra viva proveniente dalle cave di Soleto, all’ombra del signorile palazzo dell’arciprete Don Paolo Tundo, Monsignore, già podestà di Noha, imbevuto di idee fasciste (come molti; anche a fascismo crollato!), e con il quale, proprio a causa della divergenza di vedute, Pippi ha un rapporto dialettico vivace e a volte polemico.   
Una camera del lavoro sempre stracolma di gente, era quella di Noha, come un tempo erano anche le altre piazze della cittadina, brulicanti di persone in cerca della giornata lavorativa.
E piazzetta Trisciolo è il luogo tradizionale dei raduni popolari - dopo la caduta del fascismo s’intende – raduni che hanno come uditorio la plebe, ceto povero di mezzi, ma anche di istruzione ed educazione. In dialetto si parla anche in pubblico; si argomenta in maniera chiara e senza atteggiamenti demagogici, o menzogne ed ipocrisie; l’intransigenza diventa, prima che un dovere morale, una necessità di vita.
Pippi è capolega dei contadini, compagno di lotta e quasi coevo (solo tre anni di differenza d’età) di Isa Palumbo, la Isa, sindacalista e difensora delle tabacchine, ideologa - potremmo dire - del comunismo di Noha, inteso come voglia di riscatto del Salento e di tutto il Meridione [cfr. il nostro: Isa Palumbo. La pasionaria di Noha, in Il Titano, suppl. de il Galatino,  n. 12, 27 giugno 2005]
 
I contadini frequentavano la piazza di buon mattino, nell’attesa che il caporale (o il fattore) ingaggiasse la manodopera per il campo; uomini esposti come cavalli, scelti dal palafreniere di turno; come schiavi con la schiena curva dall’alba al tramonto.  Se eri più debole non lavoravi. Di diritti neanche a parlarne.
Solo i comunisti cercavano di far comprendere che la lotta (che si manifestava con l’arma pacifica dello sciopero) era l’unico strumento di liberazione, che non serviva solo ad un bracciante o ad un contadino ma avrebbe portato benessere a tutta la collettività. Eppure il comunista era quello “che mangiava i bambini”, schedato come “vagabondo abituale”, colui che “riceveva gli ordini direttamente da Mosca”, un “uomo senza Dio”… 
Ma il compagno Pippi un Dio ce l’aveva, e lo pregava anche. Ed era il Dio cristiano di giustizia, di amore, e di pace e libertà; il Dio degli ultimi, dei poveri, dei bisognosi, degli indifesi; il suo Signore era quello della chiesa delle origini: quella nella quale i fedeli vivevano la vera Comunione, allorché “mettevano in comune i loro beni e non v’era tra loro distinzione”. Non era un fariseo, ma, oseremmo dire, un teologo della liberazione. Non frequentava il tempio, ma voleva che moglie e figli fossero puntuali alle sacre funzioni. Addirittura ricordava loro i doveri religiosi e li richiamava anche, nel caso in cui fossero in ritardo.

*  * *

Pippi era l’esponente di una generazione che ha lottato ed ha pagato in prima persona il costo delle conquiste che ormai sono patrimonio acquisito (e a volte dato per scontato se non proprio dimenticato) da noi contemporanei. Un sognatore, potremmo dire: ma un sognatore con i piedi per terra: una persona che sognava un mondo migliore, un mondo da realizzare “su questa terra” nei limiti di ciò che era possibile.
Pippi era una persona pratica; non pensava ai grandi sistemi, ma all’urgente necessità del pane e dei diritti per tutti, per i quali era disposto anche a perdere la giornata lavorativa (e ne perse più d’una).
Così Pippi scrive lettere all’onorevole Pajetta e all’onorevole Galasso per far ottenere una pensione di sussistenza a chi la meritava ma non aveva santi in Paradiso.
Zi’ Monacu di Noha (un tempo ci si conosceva con uno sciame di soprannomi) per esempio fu uno di questi. Zi’ Monacu, anziano, invalido di guerra, senza parenti che gli potessero dare una mano, ottiene quanto sperato, e vuole anche “disobbligarsi” con Pippi. Che rifiuta il regalo e invita il poveretto a spendere per se stesso le ventimila lire che voleva donargli. 
Poi ancora lo vediamo impegnato contro gli agrari opulenti ed a favore alle donne, che di fatto erano più contadine dei contadini, nel riconoscimento del loro status di lavoratrici e non di casalinghe (come invece conveniva al padronato) senza diritti né contributi.
Ed infine lo si vede in prima fila nell’organizzazione degli scioperi.
Una di queste contestazioni, siamo nel 1947, si svolse con grande partecipazione di popolo. Di mira era stato preso l’aristocratico don Gino Vallone, e la sua casa gentilizia nel centro di Galatina.
L’urlio crescente, rimbalzava e rimbombava come un tuono; ogni buco del palazzotto ne rintronava: e di mezzo al vasto e confuso strepito, si sentivano forti e fitti colpi di pietre ed altri arnesi alla scala d’accesso dell’abitazione. La quale cede dopo non molto, sotto i colpi inferti dai furibondi in rivolta.
Il popolo esasperato (ma anche caricato dal tumulto), infine, si avventa quasi sull’intimidito don Gino, finalmente uscito allo scoperto, bianco come un panno lavato…
Per fortuna il capilega Pippi non era di quelli che per un riscaldamento di passione, o per una persuasione fanatica, o per un disegno scellerato, o per gusto del soqquadro, fanno di tutto per spingere le cose al peggio. Pippi era invece uno che cercava di ragionare, un po’ anche per un certo pio e spontaneo orrore del sangue e dei fatti atroci, tanto che lo stesso don Gino, per protezione viene abbracciato dallo stesso Pippi, e in fondo, anche grazie a questo gesto, protetto, salvato da ben più nefaste o addirittura ancor più rovinose e magari fatali conseguenze.
Ma Pippi, anche in seguito a questi eventi, è ormai segnalato, guardato a vista dalla polizia di Scelba, considerato come “socialmente pericoloso”, “turbolento”, “sobillatore”, “occupante di terre”. La sua modesta casetta (in affitto) viene perquisita di giorno e di notte. E finisce anche in arresto.   
Un punto fermo del suo pensiero, però va detto, rimane il rifiuto della violenza nelle lotte di massa e nell’azione del movimento sindacale, convinto come era che nel nuovo regime democratico ai lavoratori erano dati gli strumenti pacifici, come lo sciopero, per sviluppare le loro rivendicazioni e per allargare la loro influenza sugli altri ceti della popolazione italiana.

*  *  *

La vita di Pippi, che contava appena 58 primavere, fu stroncata da un’emorragia cerebrale il 23 febbraio 1981. Il malore lo colse nella sua piccola ma frequentata bottega di generi alimentari ubicata sempre a Noha nella storica via Trisciolo.
Un fascio di rose rosse fu composto dai suoi compagni di partito, che lo accompagnarono, insieme ad altra moltitudine al cimitero: quel luogo che per definizione è la più alta ed inesorabile forma di comunismo, per volenti o nolenti, ricchi e poveri.
Ecco: in queste righe abbiamo voluto ricordare la voce di un protagonista delle battaglie per l’emancipazione e l’affrancazione dall’oppressione. Ma questi appunti sono anche la dimostrazione di come quella voce possa essere soffocata dall’assenza di memoria se non si concorresse - come abbiamo cercato di fare, ci auguriamo alla men peggio – a dare un volto alla storia.
A noi piace ricordare Pippi, allorchè, in piazza San Michele, sull’uscio della sezione del Partito, conversava con i suoi amici nella sua solita postura, seduto a cavalcioni su di una sedia, con entrambi i gomiti appoggiati alla spalliera. In quella sezione gloriosa, dedicata al nome del grande Giuseppe Di Vittorio (Cerignola, 13 agosto 1892 – Lecco, 3 novembre 1957), che a tutti gli effetti era - oltre che omonimo - sindacalista e capilega come lui, il Nostro trascorreva il tempo libero.
Da quel luogo strategico, cuore di Noha, quando ti scorgeva da lontano, Pippi, ti salutava cordialmente con una mano, mentre sul suo volto si disegnava un timido sorriso…

Antonio Mellone

 
Di Albino Campa (del 04/06/2007 @ 09:15:53, in NohaBlog, linkato 2900 volte)
Scarica la copertina
Scritti in Onore di Antonio Antonaci” è il recente libro di Antonio Mellone (Infolito Group Editore, Milano, 2007, 85 pp.) impresso in digitale presso Infoprinting di Galatina. Tutti gli interessati possono richiederne copia ed informazioni al nostro indirizzo info@noha.it. A breve su questi schermi alcuni stralci del suddetto saggio.
 
Di Albino Campa (del 21/05/2007 @ 22:53:46, in NohaBlog, linkato 3930 volte)
"Antonio Mellone su -il Galatino- n. 9, anno XL dell'11 maggio scorso, ha pubblicato l'articolo che vi proponiamo di seguito, dedicato a Don Emanuele Vincenti. A Don Emanuele porgiamo anche noi del sito www.noha.it il nostro fervido voto augurale".
 
Nella serata di giovedi 12 aprile 2007 la nuova Chiesa della Madonna delle Grazie di Noha non poteva contenere i fedeli della comunità (ma anche molti ospiti fuori-porta) chiamati a raccolta per partecipare all’ordinazione diaconale di Emanuele Vincenti, nohano, mediante l’imposizione delle mani da parte dell’arcivescovo di Otranto mons. Donato Negro. Il diaconato (dal greco: diàkonos, “servo”) è uno dei tre ordini sacri (gli altri due sono il presbiterato o sacerdozio, e l’episcopato) conferito ad una persona di sesso maschile, o in maniera “permanente” per servizio diretto della comunità cristiana, ovvero, come nel caso di Emanuele, in maniera “transitoria” in vista dell’ordinazione sacerdotale. Codesto “ordine minore” attribuisce al diacono la competenza ad amministrare il Battesimo, distribuire l’Eucaristia, benedire il Matrimonio, leggere le Sacre Scritture, presiedere a vari culti e riti.    
La comunità di Noha è da sempre generosa nei confronti della Chiesa Cattolica quanto a vocazioni maschili e femminili: più di un giovane ha risposto nel corso degli ultimi decenni (ma anche prima) alla chiamata del suo Signore, il quale chiama dove, come e quando vuole. Segno che il “terreno” nohano, oltre ad essere dissodato, irrorato e concimato da buoni vignaioli, è comunque di buona qualità, e, con più facilità rispetto ad altri, permette ai virgulti della Grazia non solo di germogliare, ma, a seconda delle annate, anche di crescere, di irrobustirsi e portare frutto. 
La vocazione di Emanuele (ormai don Emanuele) è iniziata nel corso degli anni novanta. Una vocazione è per definizione un mistero: la si può descrivere, ma mai definire appieno. Noi allora ci limitiamo a dire soltanto che Emanuele ha compiuto il suo curriculum di studi prima nel seminario minore di Otranto (istituzione gloriosa, rinomata, dal Settecento in poi, per la floridezza degli studi e la bontà della formazione dei giovani avviati al sacerdozio: quel pio collegio ha “prodotto” pastori di gran prestigio, sacerdoti e vescovi, ma anche professionisti e uomini di importante levatura sociale) e successivamente, per gli approfondimenti filosofici e teologici, presso il seminario maggiore “Pio XI” di Molfetta.
Dopo il “baccalaureato” è seguita una pausa di riflessione. Una pausa, crediamo, importante nel discernimento della strada migliore da percorrere per la propria realizzazione…
E d’altra parte noi crediamo (sperando di non proferir eresia) che un monaco o un prete (votato al celibato) in un periodo della propria vita - come è stato per Emanuele - o almeno una volta nella vita, se non proprio “debba”, almeno “possa” aver avuto commercio e convegno di amorosi terreni sensi. Questo con più facilità gli permetterebbe di essere un giorno indulgente e comprensivo con i peccatori a cui darà consiglio e conforto.
Noi auguriamo ad Emanuele di aver trovato in libertà la sua strada. Gli auguriamo di realizzare tutti i suoi desideri: tra i quali, pare ormai chiaro, quello di superare l’ultimo gradino della scala d’impegno che lo porterà a diventare sacerdote per sempre.
 
Antonio Mellone
 

Canto notturno di un pastore ...

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