mag142019
La parola scienza non vuole aggettivi, virgolette o caratteri cubitali. La scienza si firma in minuscolo, abbassa la cresta, modera i toni. Non ha manie di grandezza, non si esalta facilmente. I suoi indumenti preferiti sono camice, tuta da lavoro e grembiule, quasi mai il vestito elegante.
Discente più che docente, la scienza è una bambina. Si pone mille domande, e spesso non trova le risposte. È curiosa, accetta il dialogo, considera l’errore e il dubbio come strumenti di lavoro. Il dibattito, la sua marcia ingranata.
La scienza è anarchica, non s’inchina all’autorità, non si nutre di ideologie, non è iscritta al partito, men che meno al partito preso.
Non avendo verità in tasca, non s’impunta: è pronta invece a ritornare sui suoi passi, cambiare idea, inserire la retromarcia. Aborre il tifo da stadio, non sputa sentenze, espone i risultati delle sue indagini, pronta a rivederli, discuterli, correggerli. La scienza non è teologia dogmatica, culto o devozione; né eresia la sua critica.
Non si chiude a riccio, non si nasconde dietro il paravento di una scrivania, nel dipartimento o nel palazzo del barone (universitario); affronta invece il campo aperto, perfino la piazza. Se ne infischia del potere e degli amici degli amici, delle cordate, degli sponsor. Sa che le sue scoperte sono precarie, e non le salta in mente di imporle per decreto, col manganello, con la réclame a pagamento.
La scienza non è arcigna, anzi è gioviale, sorride della presunzione altrui, non s’impunta musona. Ha mani pulite, non deve vender nulla, non nasconde secondi fini, non briga sottobanco, non fa trattative con la mafia; interessi e profitti privati non son pane per i suoi denti.
Nelle sue analisi costi/benefici non tiene conto solo di finanza, denaro e flussi di cassa, ma anche del paesaggio, del bene comune, della storia e del futuro di una geografia.
Molte volte per progredire la scienza deve dar torto alla scienza.
Antonio Mellone
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