ott152021
Mi sa tanto che l’altra sera il “Festival dei due mondi” ha fatto tappa a Soleto. Ma non perché gli artisti coinvolti si siano sbagliati digitando sul navigatore Soleto anziché Spoleto (il t9 a volte fa danni inestimabili, ma molti meno di quanti non se ne possano imputare a Google Maps), ma perché l’atmosfera della circostanza non differiva punto da quella che si respira nel corso dei diciassette giorni dell’ultra-sessantennale rassegna internazionale umbra fatta di musica e libri, teatro e cinema, danza e marionettistica.
Il concorso nostrano si chiama invece “Festival organistico del Salento”, è giunto alla sua settima edizione (altro che crisi del settimo anno), annovera diverse tappe nel tacco d’Italia, non pretende (incredibile ma vero) un biglietto d’ingresso, e soprattutto prova a proiettarti in altri mondi: quelli degli spiriti liberi refrattari all’atrofia delle facoltà intellettuali, e dunque più reali e veri dell’attualità fasulla basata spesso e volentieri sulle narrazioni uniformanti così gradite a poteri forti e deboli (nell’un caso o nell’altro, come diceva il Faber, non ne esistono di buoni).
In breve, il cinque ottobre scorso, “quasi conflati insieme”, parlerei pure di una congiunzione astrale, due maestri, un prete, un antico organo e un flauto, una chiesa roccocò linda e tra le più eleganti del Salento, e un uditorio attento e colto (nel mio caso sul fatto) han dato origine a un “incantamento” di raro charme.
Il sacro tempio è quello settecentesco dedicato all’Assunta, costruito come si soleva su di un altro medievale, che qui ha la fortuna di trascorrere le giornate in simbiosi con un monumento nazionale: la guglia Orsini di fine ‘300, scolpita in pietra leccese e ricamata all’uncinetto con leggende misteriose; il parroco è don Daniele Albanese, accogliente padrone di casa, e giacché pure eccellente musicista (tra parentesi anche un pizzico conterraneo dello scrivente, cioè nohano); del flautista prof. Ubaldo Rosso non posso che rinviare il lettore al suo curriculum artistico e, sempre on-line (dal vivo però, vi assicuro, è molto meglio) a qualche suo concerto tenuto in Europa, in America o in Asia, al Parco della Musica di Roma come al Teatro alla Scala di Milano, e non saprei ora riportare le denominazioni delle sale giapponesi o canadesi o sudamericane che lo hanno visto protagonista assoluto da solista o in formazioni cameristiche. Infine, il maestro Francesco Scarcella, organista e clavicembalista, folle organizzatore, insieme ai suoi amici, di “stagioni” organistiche che durano dodici mesi l’anno, onde su questo direttore artistico e sui suoi sodali le sviolinate non saranno mai abbastanza.
Non è mai facile un duo (il diciamo assolo è relativamente meno faticoso) per ovvie considerazioni. Se a questo ci aggiungiamo l’organo soletano, bello eh, ma impegnativo, dico scomodo proprio, come molti organi positivi di una certa età, con quelle pedaliere così ostiche, i leggii che a stento ti permettono di vedere il manuale, e gli altri comandi tutt’altro che ergonomici (vuoi mettere il comfort dei grandi organi a canne moderni), per non parlare della frequenza in hertz dei suoni, la loro fase e l’ampiezza - che per capirci qualcosa e per trovare gli accordi con altri strumenti, prima del diploma al conservatorio, avresti bisogno di una laurea in fisica acustica - si può cogliere la grandezza dei concertisti Scarcella & Rosso.
Insomma, l’altra sera, gli strepitosi spartiti di un Albinoni, del Vivaldi, di Bach (padre e un paio di figli), il prezioso organo Sanarica del 1750, restaurato dai fratelli Bonizzi un decennio fa, il flauto magico del maestro “forestiero”, e così i protagonisti e tutto il resto ci hanno offerto una pausa al nostro caos diuturno, mettendo in crisi la dittatura del presente, in dubbio la fede cieca nel mercato, in difficoltà il pensiero unico.
Sì, esistono eccome possibilità di salvezza, e cieli nuovi e terra nuova.
Cose di questo, non dell’altro mondo.
Antonio Mellone
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