gen312022
A dicembre commentavo con un importante giornalista politico locale i motivi per cui ritenevo inevitabile che si sarebbe arrivati ad un Mattarella bis. In questi giorni abbiamo avuto un intenso scambio scritto e orale in cui abbiamo visto delinearsi questa soluzione. Certo, ero avvantaggiato dalla mia consuetudine con Bruno Tabacci e dalle conversazioni con lui, ho avuto la fortuna di avere buoni maestri politici.
Eppure mi sembrava chiaro che non ci fossero le condizioni perché si arrivasse a conclusioni diverse. Al di là della inadeguatezza degli attuali attori mi sembra di poter dire che non è la presenza di un leader o di un “Salomone” a risolvere tutto. Buoni politici, buoni parlamenti nascono da buone società.
Non mi dilungo sulle analisi del voto del Quirinale perché non credo che si potesse fare di meglio in assenza di un accordo, precedente, sugli assetti del Governo. Hanno perso tutti e quindi, in pratica, nessuno. L’Italia è in sicurezza e si dovrà mettere a punto solo qualcosina a palazzo Chigi.
Io ho avuto l’onore di essere candidato alla Camera dei Deputati nel 2018 e di attraversare il grande Salento in lungo e largo per parlare di Europa, di accoglienza, di un mondo senza muri, di libertà e di politica. Spesso i volti della gente che incontravo apparivano infastiditi, come se parlassi di corda a casa dell’impiccato. Sono i volti di quei cittadini che hanno desiderato, bramato, voluto che entrassero in parlamento centinaia di sconosciuti senza storia politica, che flirtavano con il populismo di Salvini e che osannavano la fine dei partiti politici e della scuola politica (ritenuta inutile e vetusta).
È dal 1993 che questa storia va avanti: stiamo abbattendo i nostri santuari, le nostre cattedrali culturali perché un mal interpretato egalitarismo ci ha convinti che il merito e la competenza fossero uno strumento di oppressione e che tutti devono fare tutto. L’eguaglianza, nelle società, invece, deve garantire a tutti pari condizioni di partenza, non di risultato. Anche nei partiti funzionava così. C’era la gavetta. C’erano le prime file e i gregari. Tutti con la loro dignità. Che tristezza questa smania di leaderismo, di bisogno di riconoscimento continuo da parte degli altri, di incapacità di lavorare solo per un obiettivo giusto che possa riempire il cuore piuttosto che l’ego.
Oggi non possiamo permetterci questo lusso. Partendo dalle città.
Abbiamo affrontato, grazie all’Europa unita, una delle crisi peggiori che si potessero immaginare ed abbiamo deciso di chiedere un prestito per svolgere il maggior investimento infrastrutturale e sociale mai visto dopo il dopoguerra.
Sarebbe un errore credere che si siano semplicemente aperti i portafogli e che finalmente l’Europa ci fa spendere un pochino di soldini. È esattamente il contrario: stiamo indebitandoci per investire, non per spendere.
È come se in una famiglia in crisi si accedesse ad un mutuo da pagare in 30 anni e anziché usarli per comprare una casa, per studiare, per prepararsi al lavoro, per aprire un’attività redditizia o per comprare gli strumenti migliori per lavorare, si decidesse finalmente di fare il viaggio alle Maldive, di comprare la macchina sportiva la tv 60 pollici e tanti vestiti firmati.
Ecco, questo succederebbe di certo se quei soldi fossero affidati alla parte della famiglia immatura, meno avveduta e probabilmente meno adatta a immaginare gli effetti delle proprie azioni.
Perché quei soldi servono per creare lavoro, benessere che aumenti il giro di affari e porti utili da usare DOPO per i beni di lusso o per spese secondarie.
Arrivo così al punto: oggi dobbiamo usare il PNRR dimenticando quanto abbiamo fatto con i Fondi Strutturali, spesso trasformati in strumenti di redistribuzione o di spesa corrente. Le amministrazioni pubbliche non devono accedere a quel denaro (CHE E’ DEBITO) come chi entra all’ipermercato e compra a caso tra le offerte nei cestelli centrali senza ricordare che ha giusto i soldi per gli ingredienti del pranzo.
Ci vuole visione, ci vuole la gente migliore, ci vuole il modello Draghi. Far convivere le varie esperienze all’interno di un progetto serio con un programma condiviso porta all’espulsione automatica di incompetenti e improvvisati: come Salvini a favore di Giorgetti ad esempio.
A Galatina abbiamo bisogno di un nuovo Sindaco che sia in grado di programmare investimenti, non di fare ragioneria dei bandi che si riescono a raccattare qua e là, con una visione di insieme e il coinvolgimento dei tutti: anche di chi sarà all’opposizione.
Per fare questo serve una persona che abbia il coraggio di sottrarsi dal giogo dei personalismi, degli odi incrociati, della politica vissuta tra le offese e le illazioni. Serve qualcuno fuori da queste dinamiche. Anche a me è successo di incrociare persone poco serene che, di fronte ad una argomentazione politica con la quale negavo un aiuto elettorale, venivo investito da offese e illazioni. Ecco, sono le persone da allontanare e isolare. Facciamo vincere la politica e il bene comune sulla partigianeria, tenendo fuori il tifo e le furberie dialettiche di chi cerca un nemico per accecare gli sguardi e nascondere il proprio vuoto.
Io credo nel futuro: Galatina tutta insieme ci deve credere e avrà una cittadina di Visionari per il 2030. Soprattutto di giovani.
Andrea Salvati
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