apr112007
apr072007
apr042007
"Riceviamo e volentieri pubblichiamo questo nuovo contributo del nostro amico Marcello D'Acquarica sulla figura di Gino Tarantino, compianto artista figlio di Noha".
Rammarico e tristezza, questo resta per aver perso un amicizia insolita, disinteressata, di semplice confronto e dialogo.
Si dice: prima o poi i nodi vengono al pettine; ed anche: le cose assumono naturalmente la giusta collocazione. Cosi è.
Bisogna riconoscere che non basta nascere nello stesso posto e crescere insieme per essere dei veri amici, certo è una componente di grande valenza, ma non sufficiente. I ricordi delle prime esperienze, il tempo trascorso insieme, il dialetto, le tradizioni consumate, sono tutti collanti irripetibili. Ma se a causa delle vicissitudini della vita il distacco non scatena nessuna azione di ricerca, di riavvicinamento, vuol dire che il passato ha coronato il suo compito, e tutto può essere considerato finito. Per sempre.
Non così per noi, che abbiamo saputo dare il giusto valore al nostro passato. Che lo abbiamo adoperato come meritava: collante per il presente ed il futuro. Cosa potrei volere di più? Ti sono grato per avermi dato l'occasione di aprire gli occhi e discernere nella opacità del quotidiano, un grande valore: l'amicizia. Quando un rapporto fra due persone non è disturbato da estranei, quando è libero e distaccato dalle miserie che invadono i nostri pensieri, quando persiste nonostante le differenti scelte di vita, è il momento per capire che questa è cosa rara, che merita tutta la nostra attenzione. Altrettanta attenzione merita la riflessione sul percorso già di per se drammatico (e quindi sufficientemente ripagato con il dolore) che ha costretto i tuoi ultimi istanti di vita. Certo non ci si deve commiserare del proprio stato di peccatore crogiolandosi nell'essere uomini che camminano sulla terra e quindi “costretti” a sporcarsi i piedi di fango, ma, tanto meno, dobbiamo sentirci chiamati a giudicare l'operato del nostro prossimo. Pensiamo all'insegnamento di Gesù quando dice ai Giudei che si accingono a lapidare una donna colpevole di adulterio: “Chi di voi è senza peccato scagli la prima pietra”. E chi ha orecchie per intendere intenda...
La cosa che purtroppo ha sorpreso tutti è stato “l'evento” inatteso e prematuro.
Ma chi mai poteva immaginare l'inimmaginabile... questi sono i nostri limiti!
Adesso che il “Mistero” più grande della vita ti ha già coinvolto e nessuna delle nostre strade è più percorribile non mi resta che sperare e pregare che, insieme a tutti i nostri cari, possa godere la pace con la “P” maiuscola.
Marcello D’Acquarica
mar272007
mar202007
"Eccovi un altro racconto di Marcello D'Acquarica: un racconto che ci fa gustare sapori e sentire profumi di orto e di campagna. Gli odori ed i colori del passato che per fortuna a Noha sopravvivono ancora (e speriamo ancora per molto), non contaminati dalla frenesia, dall'inquinamento, dal rumore, dall'omologazione ad uno stile di vita tutt'altro che genuino".
Oggi è domenica, e come di consuetudine, faccio “un salto” all'orto. Quasi sempre ci vado al Sabato, per ottemperare alla sacralità della domenica, giorno di festa e dedicato alla famiglia. Capita però che le vicissitudini della settimana qualche volta me lo impediscano e quindi, ho spostato l'appuntamento ad oggi che è domenica.
L'orto è un fazzoletto di terra di circa 2000 mq. disteso sul versante a sud-est della collina morenica, immerso nel parco naturale di Rivoli. Rivolto a mezzogiorno e distante dai rumori e dal frastuono delle auto. Da quando vivo qui, insieme a due amici, di cui uno è il padrone, lo abbiamo adibito a giardino per gli ortaggi. Ortaggi a secco, senza acqua, bagnati solo quando il Signore fa piovere. Il posto in cui è sito si chiama “pozzetto”. Strana analogia! Come la zona periferica a nord ovest di Noha: “lu puzzieddrhu”, dove adesso vi hanno costruito la “167”. Era questo uno dei posti dove da bambino con i miei compagni si andava a giocare ed a trascorrere le Pasquette. Dove papà coltivava un “orto” di terra pari a circa venti are, senza acqua ma con tanti bei cozzi.
Angoli di mondo meravigliosi. Ambedue per ragioni diverse. Questo di Rivoli è in alto, circa 500 mt. sul livello del mare. Da qui si spazia con lo sguardo l'unico pezzo di infinito che si possa vedere da queste parti. Il resto del panorama è impegnato dalle creste di alti monti bellissimi: le Alpi. Circondano il Piemonte a mo' di staffa di cavallo. Le montagne più alte d'Italia e d'Europa. Dalle Alpi Cozie con la maestà del Monviso alle Craie con il M.Rosa, fino a chiudere il semicerchio con le Alpi della Val D'Aosta. Una vera barriera, inerme alle invasioni delle orde barbariche e annibalesche, ed a maggior ragione, ai nuovi invasori del terzo millennio. Sulle loro cime, sempre imbiancate, svettano i ghiacciai, presenza consolatrice di una perenne riserva d'acqua. Nei giorni senza foschia sono uno spettacolo meraviglioso. Eppure dopo un po' che le guardi ti tolgono l'immaginazione, impediscono ogni altra visuale per cui la fantasia resta prigioniera delle loro possenti e immobili forme. E' assurdo, ma nonostante il loro fascino, possono sembrare una prigione.
Dall'orto, come dicevo prima, invece, si può “bucare” con lo sguardo l'infinito, solamente a Sud.Est. E a me piace pensare che oltre quella coltre grigia di cielo, dove si confondono fino a fondersi, nuvole e colline, si intravedano i due pini (adesso rimasto uno) della via de lu Mureddrha, i “boschi” di ulivi, le masserie de lu Runceddrha e de lu ColaBaldi, il casale de lu Rumanu con la sua gigantesca palma che qualche anno fa brucio per tre giorni di fila, le terrazze delle nostre bianche case, la torre ed il castello, la piazza, i compagni di un tempo, casa....!
In questo silenzioso e magico angolo di mondo mi sono nutrito dei ricordi, ho voluto “saggiare” la durezza del lavoro della terra, quella terra che infine ci nutre e ci da la vita. Quella terra che sa ricompensare la fatica dell'uomo. Che da' e poi si “riprende” per poi ridare ancora. Quella... terra! Non questa! Questa è arida, sassosa, secca, pigra. Qui il sole, benchè alto e cocente (in alta stagione) non matura i frutti che per una stagione (non per niente gli indigeni del posto si votarono all'allevamento di bestiame). La pioggia, quando c'è, scorre via veloce e trascina con se, nonostante i miei tentativi di arginamento, anche quel poco di buono rimasto. Pietre, solo pietre e rovi. E silenzio! Il silenzio che a volte nutre la disperazione dello spirito ed altre volte lo ingolfa di gioia.
Comunque resta un angolo di paradiso. Qui, vengo a svuotare (non le tasche, a questo ci pensa l'Euro) le mie tensioni della settimana lavorativa. Qui ho compreso l'emozione di ritrovarmi “mbutulato” quando, stravolto dalla stanchezza fisica (la vita sedentaria di scrivania e PC mi rende precario alla fatica), mi ritrovavo immerso nella terra a raccoglierne i “miseri” frutti. Qui ho confrontato con rimpianto il sapore delle stagioni. Con rimpianto sì, perché qui, in ogni anno che passa, assapori “la resurrezione” a vita nuova meglio che in qualunque altro posto.
Qui ho atteso vigile il primo lieve segnale del risveglio della natura dal rigido e freddo inverno di questo “insipido” nord. Seppure per brevi e ridotti momenti, qui ho vissuto la gioia di un fiore che nasce e da' colore, ho gustato il nettare delle primizie, ho ammirato la magica festa della primavera. Qui, nelle gelide mattine d'inverno, come quando da piccolo ed insieme al mio amico Roberto vagabondavo per la nostre campagne, ho incontrato il mio amico d'infanzia pettirosso. Anch'esso in lotta per la vita.
Nonostante tutto, in attesa di tornare a casa, era il mio rifugio dove saziare la mia solitudine. Era! Adesso non è più! Oggi (dopo quasi trent'anni), una domenica mattina come le altre, invece del silenzio e la pace, vi ho trovato il deserto. Come una fredda e improvvisa magia, ho trovato il nulla. Tutto raso al suolo. Per terra ancora vivamente incisi i solchi lasciati dai cingoli di una ruspa, testimone della “lecita” prepotenza dell'uomo “padrone” . La vecchia pianta di albicocche sopravvissuta ai miei lunghi tentativi di potatura ha dovuto cedere a tale forza devastatrice, così come ha dovuto fare il canneto da cui ogni anno ricavavo i tutori per le mie piantine di pomodori, il “magazzino” dell'erba tagliata che usavo come fossa biologica, i rovi del mio amico pettirosso, che al prossimo inverno non mi troverà pronto ad ascoltare il suo canto, il bosco di prugne selvatiche e di sambuco, le terrazze di contenimento, il pergolato che mai fece uva e che mi regalò mio fratello Michele ( lo teneva in un vaso sul balcone del suo alloggio), il cespuglio di rosmarino e di salvia, la pianta di fico che con tanto affetto mi ero trasportato da Noha, il pesco che mi aveva regalato il mio amico Roberto, e quell'altro di mio fratello Mario, che ogni anno mi regalava il sapore amaro dei suoi frutti, l'albero di nespole dell'altro mio fratello, tutto raso a terra! Tutto ridotto in poltiglia!
Anche ai teneri germogli dei piselli appena nati è toccata la stessa fine, i miei leprotti dovranno cercarsi altro da mangiare al loro risveglio dal breve letargo di questa stagione stranamente mite.
In un angolo, a dispetto di tale violenza, come delle lagrime di gioia, la' dove iniziava il muretto di sostegno, sono spuntati i fiori gialli, la trhia e ciciari, che da anni oramai scandivano le mie primavere a ricordo del giardino di casa mia. Niente più rose, ne daglie, ne gladioli per il nostro nido d'amore, niente... la furia irruente ha soffocato anche il profumo dei miei narcisi che per primi, vincitori del gelo, ricomparivano instancabilmente ogni anno in mezzo all'erba ancora secca.
Così, improvvisamente, il demone devastatore mi ha riportato ad una triste realtà, mi ha tolto gli affetti, ha disarmato i miei sogni.
Così è la vita! Fatta di gioie e di improvvisi cataclismi.
Un bel giorno ti svegli e ti accorgi che non sarà più come prima, che le cose cambiano e spesso ce ne accorgiamo quando cambiano in peggio. E allora il panico rischia di rovinare ogni attimo e la disperazione ci rabbuia l'animo.
Qualunque ne sia la causa il nostro tempo può finire in un attimo e quello che avremmo potuto fare, dire o dare può non essere più fattibile.
Adesso che anche questa storia è finita, mi rendo conto che in fondo sono stato fortunato. Ho avuto
l'occasione per capire quanta fatica mio padre ha fatto per sostenere con dignità la sua famiglia. Ho capito anche:
che nella semplicità delle cose c'è il segreto per la gioia e la purezza dello spirito;
che apparteniamo alla terra, da cui è impossibile sfuggire, non a questo finto progresso;
che forse mi resta ancora molto da fare e da donare.
Che in fondo la disperazione non costruisce, non edifica nulla. La pazienza e la perseveranza invece portano verso una meta, ed anche se mai sarà possibile raggiungerla, resta sempre il nostro faro, la luce che ci guida, ma sempre nel rispetto della natura e del prossimo. Altrimenti diventiamo a nostra volta, strumenti di distruzione, come i cingoli della ruspa che oggi ha devastato i miei affetti.
Marcello D'Acquarica
mar122007
Partenza da Milano: ore 10.30 6 Agosto 2006
Alessandro, Nevianese adottato da Milano ormai 10 anni fa (4 settembre 1996, quando l’Università Bocconi ha rubò le nostre braccia all’agricoltura);
Stefano e Ivano anche loro nevianesi, approdati a Milano solo la notte tra venerdì e sabato per un concerto che avrebbero dovuto vedere a Venezia (insieme ad Ale), ma saltato.
Ed infine il sottoscritto novese.
Avevamo pensato: “Partiamo tardi…eviteremo il traffico!!!”. Classico esempio di “partenza intelligente”. Non avevamo calcolato che per istrada v’erano dieci milioni di intelligenti.
Carichi come non mai - la valigia di Ale era talmente grossa che il comune di Milano gli aveva inviato la cartella esattoriale per il pagamento dell’ICI (non oso immaginare come sarà il ritorno) - partiamo!
Sud Soud System di sottofondo o, a tratti, a manetta. Tangenziale, autostrada, 100 km e poi tutto fermo. Da Parma ad Ancona un solo serpentone di auto. Subito abbiamo pensato fosse la coda per arrivare a Neviano, dove la sera ci sarebbero stati i fuochi d’artificio per la festa della Madonna della Neve. Non sbagliavamo.
Comincia lo show (il quale “must go on”). Ormai conoscevamo tutti per strada; ci muovevamo ad una media di 5 km/h alla ricerca di auto piene di ragazze, ma là dove apparivano belle ragazze, alla guida, ahinoi, c’era il padre geloso. Ma in fondo il problema non era il padre geloso, ma le stesse imperturbabili donzelle: i “due di picche” sono stati numerosi.
Allegri nonostante tutto, tra una “pennica” e due parole, con il consueto reggae salentino di sottofondo, il viaggio comunque si è mostrato piacevole e scorrevole. La compagnia nei viaggi è fondamentale; se salentina è il massimo.
Nella mia macchina, ormai dal 20 Maggio 2006 è presente una confezione da 10 poderosi libri “Noha – Storia arte e leggenda”: servono per le consegne fuori porta; per le urgenze di molti salentini al nord; per cuccare (ma non ha ancora funzionato); insomma per soddisfare quella che possiamo definire “domanda latente”. Lungo tutto il viaggio il libro è stato fonte di stimoli per le chiacchierate e, questa è una mia opinione, di notevole stupore dei miei compagni di viaggio nevianesi che mai avrebbero pensato ad un volume enciclopedico sulla nostra Nove.
Il viaggio lento, subisce una accelerata (ovviamente nel “pieno” rispetto dei limiti imposti dal codice della strada, prima della patente a punti) e ci vede percorrere il tratto Ancona - Foggia in breve tempo.
Dopo 13.5 ore, alle 00.00 approdiamo “scuncignati” all’autogrill “Esso” di Foggia.
Dal momento in cui siamo scesi chiunque, vista la nostra postura, avrebbe potuto identificare marca, modello, cilindrata e anno di immatricolazione dell’auto su cui viaggiavamo.
Alessandro si affianca all’erogatore. Io e gli altri ci avviciniamo al bar per il nostro meritato cafè, servito da una barista la cui gentilezza non cozzava punto con l’etimologia del verbo cozzare: COZZA.
Ivano usciva, avviandosi verso la macchina, che nel frattempo aveva subito il pieno di carburante, mentre Alessandro salutava un’amica incontrata per caso fra 11.5 milioni di viaggiatori diretta a Lecce ma di Milano (ccerte fiate!).
Al bancone del bar si avvicina una faccia nota con due ‘armadi’ di scorta, vestito grigio scuro antracite.
Dalla cassa del bar, Stefano:“a’ bbistu Niki Vendola?!”. Bevuto il caffè vado verso la macchina dove Ivano era piazzato stile cane da guardia, segnalando l’illustre presenza.
Nel frattempo Alessandro fermo davanti alla porta dell’Autogrill, gambe leggermente divaricate (a mo’ di guardia giurata all’ingresso di una banca) vedendo uscire il Presidente, si lanciava verso di lui con fare sicuro e …“Niki, ti posso stringere la mano” (con la tipica pronunciation nevianese). Vendola: “Certo” e con un gran sorriso saluta l’amico Alessandro (sembrava si conoscessero da anni).
Stupito della facilità di contatto con il Presidente (la scorta era sempre attenta ma mai ‘invasiva’) guardando verso la macchina vedo spiccare la copertina del libro di Antonio (mio cugino cognomonimo).
Gli avevo detto ormai 2 mesi fa “prima o poi lo riuscirò a consegnare al Presidente”.
Colto dalla tipica faccia da “tolla”, che in questi casi mi contraddistingue, mi avvicino verso Vendola, con il libro in mano e sicuro proferisco: “Presidente!?” (ammetto che l’intonazione della voce è stata notevolmente Berlusconiana), “seppur in questo contesto non tipicamente ‘culturale’ vorrei farLe dono di questo Libro.”
Lo prende lo guarda e dice: “Grazie, ma cosa è Noha?”.
Le risposte possibili erano almeno due: la prima spiegare con calma apparente; la seconda strappargli il libro di mano e andarmene incollerito, oltre che corrucciato.
Fiducioso opto per la prima: “Noha, una cittadina del Salento, frazione della forse, per Lei, più nota Galatina, ma ben più antica: ha presente i Messapi?”
Foto di rito, “saluta Antonio”, una calorosa stretta di mano e sia noi che lui riprendiamo il viaggio.
Così è andato via l’n-esimo viaggio verso sud, consapevole che sarebbe stato solo l’n-nesimo inizio di un viaggio verso nord.
Matteo Mellone
mar072007
mar022007
feb202007
"L'articolo a firma di Antonio Mellone che vi proponiamo di seguito è tratto da "il Galatino", anno XL, n. 3, del 9/2/2007. Nell'articolo si discetta di alcune delle strade di Noha, ma soprattutto del senso civico che tutti (nessuno escluso: basta un pizzico di buona volontà) dovrebbero avere, onde far si che la qualità della vita a Noha sia tra le più alte nel mondo".
Le strade di Noha
Il cittadino di Noha che ha un esercizio commerciale in via Collepasso, oppure quello che ivi abita, ovvero chiunque dovesse semplicemente transitare o attraversare quella strada (ma il discorso potrebbe esser valido anche per altre arterie della cittadina) si trova di fronte ad un problema più o meno coscientemente avvertito: quello della sicurezza.
Dopo mesi di dissesto dovuti anche ai lavori per la fognatura nera, la via Collepasso (ma, invero, anche le altre) fu finalmente asfaltata nel corso del 2004. Il lavoro, tuttavia, non fu portato a compimento: manca infatti, ancora oggi, la segnaletica di terra, ed in particolar modo le strisce pedonali.
Ora c’è da sapere che a volte (non sempre: qualche barlume di urbanità sopravvive ancora nelle nostre contrade!) via Collepasso ha la parvenza di una pista di gara o di un tratto di circuito da gran-premio per auto o moto; le quali, già dentro il centro abitato, sovente sfrecciano in una direzione o nell’altra a velocità supersoniche. Sta di fatto che può capitare che per attraversare questa strada il pedone metta a repentaglio la sua incolumità: sicché grandi e piccoli, padri e figli, clienti di negozi ed altri cittadini, pur prudenti, sono costretti ad attraversare via Collepasso - magari diverse di volte al giorno – non senza raccomandarsi preventivamente l’anima al Padre Eterno.
In assenza dunque di rallentatori o di altra segnaletica il rischio per l’integrità delle cose e soprattutto delle persone è purtroppo reale.
In via Collepasso, proprio nei pressi dell’incrocio
E’ vero che a Noha non ci sono grandi problemi di traffico (e ci auguriamo che mai ce ne saranno) tali da obbligare l’uso di più d’un semaforo; tuttavia il funzionamento di questo apparecchio di segnalazione luminosa, (che comunque è già installato) servirebbe, se non altro, a far rallentare le corse dei piloti di turno, e quindi a far diminuire la probabilità delle disgrazie sempre in agguato.
Per prevenire gli intuibili sinistri paventati, per tutelare quindi in un certo qual modo la salute pubblica, non sarebbero necessari azioni o provvedimenti straordinari: invece sarebbe sufficiente intervenire quanto prima intanto con l’“accendere” il semaforo che già c’è; ed in secondo luogo facendo disegnare sull’asfalto più gruppi di strisce pedonali, e apponendo anche apposite barre rallentatrici, almeno fin dove è prospiciente l’abitato di Noha…
Ma forse, a pensarci bene, il rallentamento delle corse dei veicoli non è soltanto questione di strisce pedonali o di barre rallentatrici (cioè “forma”): è invece questione di civiltà (che è “sostanza”). Tuttavia da qualcosa bisogna pur partire: e lo si può fare da quella più facile, che è la “forma”; mentre la più efficace, ma infinitamente più difficile, rimane la “sostanza”.
L’educazione, il rispetto delle regole e della legalità, la correttezza e la serietà sono questioni complesse, di sostanza: senza le quali non basterebbero (né servirebbero) tutte le strisce pedonali del mondo e tutte le forze repressive o di polizia dotate dei più sofisticati marchingegni. L’educazione civica non spetta, o meglio, non è responsabilità esclusiva delle Istituzioni: ma di tutti, dal primo fino all’ultimo cittadino.
ANTONIO MELLONE