Di Albino Campa (del 05/06/2008 @ 14:11:26, in NohaBlog, linkato 4356 volte)

Di libri non si parlerà mai abbastanza. Ne siamo certi.
Eccovi allora di seguito la recensione di un libro apparsa su "il Galatino" del 28 febbraio scorso, a firma di Antonio Mellone.
Ci verrebbe ora da chiederci: a quando una nuova pubblicazione di un autore nohano, oppure un libro che parli di Noha o che abbia come protagonista qualche personaggio di Noha?
La domanda la lanciamo così... Anche se sappiamo che qualcosa si sta muovendo. Ma si tratta ancora di un segreto.


“La Chiesa di S. Lucia V.M.” di Mario Rossetti

Non c’è regalo più gradito per un bibliofilo (come tale si ritiene chi redige queste note) che quello di ricevere un libro. Ed il libro che abbiamo accolto in dono dalle stesse mani dell’autore è un’opera monumentale che ha per nome: “La Chiesa di S. Lucia V.M.”.
L’autore-curatore è don Mario Rossetti, che già nel 1996 aveva pubblicato un trattato gemello quanto a ponderosità ed argomenti - ma di diverso colore - intitolato “La parrocchia di San Sebastiano Martire in Galatina”.
Entrambi i volumi fanno bella mostra di sé nella nostra biblioteca, uno accanto all’altro, alla lettera “R” di Rossetti, tra un Romano (Livio Romano, scrittore salentino) ed un Rousseau (Jean Jacques Rousseau, filosofo francese del settecento)…  
Il libro di don Mario profuma, come profumano tutti i libri nuovi di zecca e come di buon odore sono pure impregnati i libri di qualche anno d’età e, ancor di più, i libri antichi.
Quello del libro di don Mario è profumo caratteristico di libri nuovi, quelli appena usciti dal torchio dello stampatore-editore, che in questo caso, come per l’altro succitato testo, è il bravo editore Panico, galatinese pure lui.
“La Chiesa di Santa Lucia V.M.” è un vero e proprio catalogo d’arte, copertina e custodia rigida, rilegatura in pregiata tela rosso-cardinale (come quella che si usa per certe tesi di laurea), sovra-copertina anch’essa rossa e lucida, con le scritte d’oro e con le immagini a colori che ritraggono la nobile facciata della chiesa e l’effigie di Santa Lucia. Abbiamo per le mani insomma un testo elegante: anche gli occhi, di cui la Santa siracusana è la protettice, vogliono ed hanno – non poteva essere altrimenti in questo caso - la loro parte.
Profuma il libro di don Mario. Profuma anche di sudore: quello di un prete che costruisce chiese, che restaura, che dà corso alla pulitura, alla stuccatura, alla tinteggiatura delle pareti del tempio, la casa più importante, forse la più grande del popoloso quartiere dei galatinesi di via Roma e dintorni.
Si sente nelle pagine profumo di terracotta e ceramica, quella con la quale sono state impastate le statue che si affacciano benedicenti dalle nicchie del frontespizio della chiesa, il Cristo Risorto e le due sue ancelle, santa Lucia e santa Rita.
Quello che si sprigiona da quelle pagine è profumo di chi fatica senza mai dare segni di stanchezza, e semina ancora per poi lasciare agli altri il raccolto. E l’autore sembra molto più abituato alla semina che al raccolto: seminò per la chiesa di san Sebastiano, e la consegnò ad altri, subito dopo averla inaugurata (e ne scrisse pure un tomo, anche esso impregnato di profumo).
A volte non si immagina quanta fatica costino le pietre (e non parliamo qui di pietre vive - non ci compete - quelle, si sa, ti assorbono tutta la vita); parliamo invece più semplicemente dei mattoni, della calce, del cemento, dei lavori di edilizia per innalzare aule e campanili… Le pietre descritte da don Mario sembrano catalogate una per una, con documenti alla mano. Ogni documento, ogni contratto, ogni fattura è un impegno, un pensiero, una goccia di sudore in più che imperla la fronte, a volte una o più notti insonni, e critiche certe da parte del censore di turno, benché non manchino, per grazia di Dio, il conforto ed il supporto dei benefattori.
Profuma il libro di don Mario. Profuma di candele e d’incenso di solenni riti. Quell’incenso che si brucia il giovedì santo quando si deposita il corpo di Cristo nell’altare della reposizione; quel sepolcro, che poi tutti visitano, pellegrini in diverse chiese, fino al pomeriggio di venerdì santo, poco prima della “messa scerrata”. E ti sovvengono i tuoi tempi, allorché imberbe chierichetto, con cotta bianca su veste rossa, servivi la messa in “Coena Domini” e sentivi cantare il “Tantum ergo” e, sbagliando, credevi dicessero “Santu Mergo”…
Il libro di don Mario profuma di fioretti e di rose, come quelle di santa Rita, i cui boccioli o petali si distribuiscono ai fedeli nel mese di maggio nel corso della solennità a Lei dedicata.
E’ un libro ricco di immagini sacre, il libro profumato di don Mario. Quando lo sfogli, lo leggi e lo rileggi, ti viene di baciarne le icone, di recitare una giaculatoria, come un bambino di prima comunione. E come un cresimando leggi e ripassi “le cose di Dio”, la dottrina, il catechismo che da piccoli si studiava: domande e risposte a memoria, condizione necessaria e sufficiente per accedere ai sacri misteri. E ancora coroncine, invocazioni, litanie, novene, suppliche, ed inni e canti che ab immemorabili sciolgono i fedeli, implorando per i miseri il perdono, e per i deboli la pietà. 
Sfogli velocemente le pagine ricche di colorate immagini; ma rallenti, come se sfogliassi un breviario, quando incontri le preghiere che intere navate di persone all’unisono guidate dal loro pastore scandivano con salmodiante umiltà, ripetendo, come fanno ancor oggi, incontrovertibili verità.
Chiudi il libro e lo riponi nella tua libreria.
Sentirai nelle tue narici ancora il profumo di un gradito regalo: il più recente libro di don Mario.

Antonio Mellone

 
Di Albino Campa (del 26/05/2008 @ 14:13:58, in NohaBlog, linkato 3651 volte)

Cari amici di Noha.it, parliamo ancora di LIBRI.  
Del resto il motto della nostra cittadina, Presidio del Libro, potrebbe suonare così: PIU' LIBRI, PIU' LIBERI!
Questa volta abbiamo il piacere e l'onore di presentare a tutti i nostri internauti l'ultimo lavoro in ordine di tempo di una nostra amica, nonchè collaboratrice del nostro foglio on-line "L'Osservatore Nohano", la prof. MARISA GRANDE (che certamente sarà con noi il prossimo ottobre nella "Festa dei lettori").  
Edito per BESA EDITORE, il titolo del volume del quale vi facciamo qui intravedere la copertina è "L'ORIZZONTE CULTURALE DEL MEGALITISMO". E' un libro da acquistare e leggere sotto l'ombrellone, oppure al fresco, sotto un pergolato, magari con la colonna sonora delle cicale. Buona lettura." 




(Se non vedi il file clicca qui per aggiornare il plugin di flash del tuo PC)
 
Di Albino Campa (del 17/05/2008 @ 15:28:11, in TeleNoha , linkato 3769 volte)
Il nostro Osservatore Nohano è ormai in ferie. Ma il nostro sito non contempla nel suo vocabolario la parola "ferie". Eccovi dunque una "novità" degli anni '70. Si tratta di due video in bianco e nero di due canzoni famosissime in tutto il mondo: SOLEADO e LINDA BELLA LINDA. Cosa centrano queste canzoni con il nostro paese? Semplice. L'autore dei testi di queste canzoni, per chi non lo sapesse, è FRANCESCO SPECCHIA, cittadino di Noha, da anni, suo malgrado, residente a Milano. Buona visione e buon ascolto. E... non finisce qua! Continuate a navigare nelle acque di noha.it


SOLEADO




LINDA BELLA LINDA
 
Di Albino Campa (del 07/05/2008 @ 00:00:00, in L'Osservatore Nohano, linkato 3408 volte)
"L'OSSERVATORE NOHANO"
 

n°4 - Anno II
 

Con questo nuovo numero dell'Osservatore Nohano vi salutiamo e vi diamo appuntamento a Settembre (speriamo), buone vacanze a tutti.
Mentre Noha.it non andrà in ferie, ma sarà a disposizione, come del resto è sempre, nell'informarvi delle novità ed eventi a Noha.
Buona lettura!
 

Clicca qui per scaricare la rivista.

(Il file e' in formato Acrobat (Pdf). Nel caso in cui non si disponga del software necessario per la visualizzazione -Acrobat Reader o Adobe Reader-, si puo scaricare gratuitamente dal seguente indirizzo :http://www.adobe.com/it/products/acrobat/readstep2.html)
 
 



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Di Albino Campa (del 16/04/2008 @ 17:41:02, in Animazioni, linkato 4923 volte)

Eccovi un nuovo contributo del nostro amico Marcello D'Acquarica che con grande piacere proponiamo ai nostri visitatori.

 
Di Albino Campa (del 07/04/2008 @ 00:00:00, in L'Osservatore Nohano, linkato 3546 volte)
"L'OSSERVATORE NOHANO"

n°3 - Anno II

Eccovi quindi il nostro puntuale resoconto del vivere a Noha tramite il nostro giornale online ( "L'Osservatore Nohano"). Buona lettura!

Clicca qui per scaricare la rivista.

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Di Albino Campa (del 26/03/2008 @ 16:07:09, in NohaBlog, linkato 6237 volte)

In questa foto è ritratto il prof. Zeffirino Rizzelli, tra la moglie prof.ssa Anna Maria Giurgola ed il dott. Antonio Mellone. La foto è stata scattata pochi mesi prima della dipartita del Grande Professore

 

Sull' Almanacco Salentino 2008, pubblicazione annuale (attualmente in edicola) in cui si narrano gli eventi più importanti del 2007 avvenuti a Lecce ed in provincia, tra gli altri interventi troviamo a pag. 119 un articolo di Antonio Mellone sull'addio ad un salentino illustre: il prof. Zeffirino Rizzelli. Ve lo riproponiamo di seguito.

Zeffirino Rizzelli, colto, severo e generoso
Il professore del dialogo

Il 28 agosto del 2007 a Galatina è scomparso un Uomo di nome Zeffirino Rizzelli.
Sì, perché prima di essere un intellettuale, un giornalista, un insegnante, un politico, il prof. Zeffirino Rizzelli era un Uomo. Un Uomo che - come ha affermato il sindaco Sandra Antonica nel salutarlo per l’ultima volta – “sia che si impegnasse nella politica, sia che esprimesse la sua forza d’animo nell’insegnamento, ha alimentato Galatina di linfa nuova, incoraggiando sempre il dialogo, comunicando anche solo con un filo di voce il desiderio di vedere prima o poi un Paese più giusto, spingendo soprattutto i giovani a condividere con lui questa utopia. - Ma è con le utopie che si cambiano le cose! -, ripeteva con decisione il Professore”.
Zeffirino Rizzelli era nato a Galatina il 1° giugno 1926 e subì con la sua famiglia le peripezie del periodo fascista, il domicilio coatto, finendo in esilio in collegi di “rieducazione”, molto lontani dalla sua città. Tornato a Galatina sostenne vari esami per recuperare gli anni scolastici perduti.
Nel 1941 prestò servizio di interprete nella delegazione militare tedesca stanziata a Galatina e nel giugno del ’43 fu fatto prigioniero dagli stessi tedeschi che lo internarono in un campo di concentramento a San Saba (Trieste).
Rientrato nuovamente a Galatina con mezzi di fortuna (ma perlopiù con quelli usati dai francescani, ovvero i piedi), conseguì la maturità classica nel 1947 e si laureò in Scienze Matematiche all’Università di Messina nel 1953.
Insegnò con vari incarichi fino al 1992, e dal 1984 al 2004 fu Presidente del Distretto Scolastico n.42.
Fu più volte consigliere comunale, assessore e vice sindaco, e sindaco di Galatina dal 1993 al 1996, il primo ad essere eletto direttamente dal popolo.
Fu insignito della Medaglia d’Oro del Ministero della Pubblica Istruzione per i meritori servizi prestati alla scuola. Iscritto all’Ordine dei Giornalisti di Puglia, è stato direttore de “il Galatino” dal 1991 al 2006. Incommensurabile è la sua produzione letteraria.
Rizzelli era una stecca nel coro dei molti che accettano i compromessi. La coerenza fu per il professore il metro di valutazione di ogni comportamento: il rigore lo applicava prima a se stesso e poi agli amici, ai conoscenti, e agli avversari. Come ha scritto Giorgio de Giuseppe su il Galatino del 14 settembre 2007: “Nella società di oggi, che evita vincoli e che alle strade difficili ed aspre preferisce quelle rapide ed agevoli, senza porsi troppe domande, Zeffirino impose a sé, e pretese dagli altri, la ricerca del giusto, del bene, starei per dire del vero. Non fu uomo di compromessi. Era ruvido, di poche parole. Guardò in alto e mai fu tentato di escogitare giustificazioni ingannevoli pur di raggiungere il risultato. Con un carattere siffatto, fu inevitabile che avesse più estimatori […] che amici pronti a condividere una vita coerente ed impegnata sui valori irraggiungibili”.
Rizzelli s’è dimesso dalla vita, è uscito di scena, come tante volte aveva fatto congedandosi dai suoi prestigiosi incarichi. Era questo il suo stile: senza tanti clamori e sempre in punta di piedi. E’ l’umiltà dei grandi spiriti, quelli che con la loro opera diuturna, aiutano l’umanità a crescere e a diventare più giusta e civile.
Si è già scritto altrove che sarebbe doveroso indagare a fondo, studiare e possibilmente raccogliere e ripubblicare almeno gli scritti (e forse sarebbe l’opera meno difficoltosa, in quanto è agevole rintracciarne i testi presso la Biblioteca “P. Siciliani”) di Zeffirino Rizzelli che si contano ormai a migliaia; ne risulterebbe un’opera a più tomi, di grande valore editoriale. I cittadini e le istituzioni avrebbero bisogno, oggi più che mai, del frutto del lavoro di quest’uomo-amico consegnato alla storia come dispensatore gratuito e disinteressato di idee, di saggezza e di ammonimenti.
Conobbi di persona il professore nel corso dei primi ani ’90 (di fama però lo conoscevo da sempre). E negli ultimi, diciamo, quindici anni, mi incontravo volentieri con lui con una certa continuità, soprattutto per consegnargli i miei articoli che il direttore pubblicava sempre integralmente sul suo il Galatino.  
Incontrai il professore Rizzelli per l’ultima volta la mattina di sabato del 14 luglio 2007, circa un mese prima della sua dipartita. Era a casa, seduto sulla sua poltrona; in ordine, sul tavolino del soggiorno, i suoi giornali, freschi di stampa, pronti per essere letti per filo e per segno. Era consapevole della sua malattia e dell’ora alla quale andava incontro. Cercai di dirgli: “Ma professore, non dica così: noi tutti abbiamo ancora e sempre bisogno di Lei”. Mi rispose con uno sguardo sereno che non dimenticherò mai più. Fu un’altra lezione di dignità impartitami da quest’Uomo.

Antonio Mellone

 
Di Albino Campa (del 14/03/2008 @ 00:00:00, in Racconti, linkato 5284 volte)

Una serenata per San Lazzaro
Marcello D’Acquarica

La figura di Lazzaro è fantasiosa ed il suo evento viene ricordato durante la Passione di nostro Signore, per evidenziare il concetto della carità.
Il Lazzaro di cui parliamo è quel personaggio riportato nel Vangelo di San Luca  (16, 9-13).
Come  è avvenuto per vari personaggi minori, che compaiono nei racconti evangelici e che in seguito nella tradizione cristiana, hanno ricevuto un culto, un ricordo perenne, un titolo di santo, anche per Lazzaro, pur essendo un personaggio protagonista di un racconto di fantasia, da non confondere con Lazzaro di Betania che fu resuscitato da Gesù, nel corso del tempo, si è instaurata una devozione, come se fosse stato un personaggio realmente esistito.
La parabola ha, come tutti sappiamo, un significato molto profondo e contiene un insegnamento universale. Essa è raccontata per mostrare ai farisei ed a tutti gli avari di ogni epoca, dove portano le ricchezze usate per soddisfare il proprio egoismo.
Ancora oggi noi stessi possiamo incontrare spesso Lazzaro: nel mendicante, nell’ammalato, nel bisognoso d’aiuto, nei poveri che con dignitoso atteggiamento soffrono in silenzio la fame e l’indigenza.
Cosicché dalle nostre abbondanti mense dovremmo riuscire a togliere almeno il superfluo per impedire al nostro Lazzaro di soffrire e di morire lentamente.
Così facendo, forse, tutta la nostra comunità ne avrebbe beneficio e non dovremmo temere di ritrovarci, quando saremo morti, separati dal nostro fratello, da un grande abisso. L’abisso dell’indifferenza, dell’invidia, del disaccordo e dell’avarizia. Lo stesso abisso che a volta separa perfino il cuore delle famiglie e dei vicini più intimi.
Non confondiamo l’essere poveri di spirito come l’antitesi della forza e della grandezza. Si può essere grandi senza necessariamente imitare il ricco epulone e, parimenti, possiamo esserlo semplicemente affiancandoci ai bisogni del nostro prossimo che attraversa un periodo di carestia.
Ecco come la tradizione ci rammenta il Lazzaro bisognoso e povero proprio nel periodo della Passione di Gesù Cristo, per dare maggiore esaltazione alla sofferenza umana, e per offrire a tutti i ricchi la possibilità di redimersi condividendo la propria fortuna con chi non ne ha avuta.
Ancora oggi, anche a Noha,  la gente aspetta con gioia questo periodo. Alcuni suonatori di fisarmonica e chitarra, cantando le parole del testo riportato sotto, passando da casa in casa, invitano le persone a festeggiare ed a donare loro beni alimentari, soprattutto uova e formaggi, esattamente come avveniva anni addietro. E’ questa una passione antica, che oggi, purtroppo molti di noi ignorano. In questa tradizione viene così ripetuta e scongiurata la cattiva azione del ricco epulone che vestendo di porpora e bisso si ingozzava di abbondanti banchetti e negava ogni dono al mendicante Lazzaro.

 Buonasera a quiste case se siti tutti vui l’abitanti
vene Cristu cu tutti li Santi.
Cu bbu descia ijutu e  salvazione
osce si fa per devozione, ca mò Lazzaru è surcitatu.

E’ cumparsa la Maddalena cu n’Ave Maria e na Grazia Plena.
Giuda foe lu thraditore  de lu Diu e de nosthru Signore.
Lui a l’addhri li piedi bagnava e cu li soi capelli  li sciugava.

Queste furon le catene ci ncatenara nosthru Signore.
Quisti furon li thre chiodi ci ncrucifissera nosthru Signore.

A ddhrai comparse la Maddalena
e a ddhrai Cristu pè fare la cena.

Oggi  oggi se fa minzione ca moi Lazzaru è surcitatu.
Cu lle soi lacrime se li bagnava e cu lli soi capelli se li sciugava.
Cu trenta denari sciucara Cristu li Sacerdoti e li Farisei.
Cu trenta denari sciucara Cristu cu Pater nosci e cu Ave Marie.
Sciamu fandu comu lu vientu se nnu nniti de rame ni li dati d’argentu.

Spezza doi rami de vulia e li scia menandu mienzu sti fiei.
Mienzu stì fiei e mienzu ste macche a ddhrai ci ippe vobi, pecore e bacche.
Sciamu a casa de Pilatu e thruvamu Cristu surcitatu.
Sciamu a casa de Simone a ddhrai sciu Cristu per fare la cena.
Azzate prestu e nu tardare ca tie lu sai c’è nnai ddare.
Azzate prestu azzate mprima ca tie lu sai mò ccè bulimu.

Sciamu prima all’Annunziata cu ni caccia a luce puru l’enthrata.
Preamu Diu cu Santu Marcu cu nni caccia lluce puru lu tabaccu.
Sta bbenimu a confidenza e nni scusati sta male creanza.
Sta bbenimu de luntanu se nnu ni dai nienti  ve ringraziamu.
Buonasera de Sante Pasque datini l’ove de le puddhrasce.

Ave puru la mia spurtella e  mi l’aggiu fare na frittatela.
Don Ciccillu nu fare le mosse vane pija l’ove cchiu crosse.
Azza la capu de lu cuscinu cu ni dai nu biccherinu.
Lazzarenu essi cquai ca si chiamatu de lu Signore.
Azzate prestu e nu tardare ca tie lu sai cce mmai dunare.

Buonasera ca ninda sciamu ni dai cè bboi e te rengraziamu.
Sciamu fandu comu li mpisi se nnu nniti ove ni dati turnisi.
Santu Lazzaru benedettu mo sia ludatu Gesù Cristu.
Buonasera e bonanotte ti l’aggiu cantata la tua passione.

(il testo è tratto  da una canzone interpretata  da Pippi Chittano di Galatina)
Marcello D’Acquarica

 
Di Albino Campa (del 12/03/2008 @ 23:36:13, in Eventi, linkato 4810 volte)

Dall’alto di un traìno
un giorno nella città dei cavalli

di Valeria Nicoletti

Non parte chi parte. Parte chi resta. Sembra recare con sé questo sussurro la tramontana che accarezza le case infarinate di Noha e solletica i pini e gli aranci. In realtà, è un nohano, puro fino al midollo, a ribadire questo singolare assioma. Antonio Mellone, che tornando in terra natia solo il sabato e la domenica, si riscopre sempre più legato alle strade ariose e alle piazzette assolate della sua Noha. E, per un giorno, con l’entusiasmo di chi è partito lasciando un pezzo di cuore nel suo paese, diventa guida insostituibile per le vie nohane.
Nessun treno arriva a Noha. Tappa obbligatoria è la vicina Galatina, la città “che ci ha inglobati e, soprattutto, dalla quale ci siamo fatti inglobare”, dice Antonio con tono amaro. Bastano poche centinaia di metri, infatti, e ci si lascia alle spalle la città per giungere nella piazza di Noha, frazione dal 1811. Piazza San Michele, cuore pulsante del paese, con il bar Settebello, la chiesa, la Torre dell’Orologio che, forse per un inconsapevole rispetto ai ritmi lenti di Noha, non sfoglia le ore ma si limita a dominare la piazzetta, e poi le voci, le notizie, i cappelli abbassati su volti rugosi immobili sotto il sole, e, proprio dietro l’angolo, lo studio d’arte di Paola Rizzo, pittrice e insegnante. Qui il profumo dei pasticciotti caldi, l’aroma del caffè, la sigla de “L’osservatore nohano”, gazzettino della frazione, ma soprattutto il sapore della genuinità e la sete di cose vere, sono solo l’inizio di una mattinata tutta nohana, all’insegna del suo spirito autentico, in questa che ormai, nonostante il disinteresse dell’amministrazione locale, inizia ad essere conosciuta come la “Città dei Cavalli”.
Proprio dalla bottega d’arte di Paola, infatti, redazione e fucina di idee, nacque l’idea di aggiungere sul cartello alla scritta Noha il degno sottotitolo di Città dei Cavalli, trovata che, nonostante il pieno consenso dei nohani, è andata ad ingrossare la pila di scartoffie impolverate su chissà quale scrivania.
Ma a dispetto della burocrazia la definizione ha iniziato a circolare, di voce in voce, di articolo in articolo, varcando i confini angusti della provincia. Così Noha per due volte all’anno si trasforma nell’ombelico del mondo per chi ama i cavalli. A settembre, durante i festeggiamenti della Madonna delle Grazie, e il giorno del Lunedì dell’Angelo, i prati fioriti che incorniciano il piccolo centro diventano il campo, di gioco e di battaglia, per decine e decine di eleganti destrieri, robusti cavalli da tiro e tenerissimi pony. Tutte le cavalcature dei dintorni si danno appuntamento nella frazione per celebrare una ricorrenza che, se non ancora nella storia, è entrata ormai di diritto nella tradizione pugliese. Sotto gli occhi incuriositi dei viandanti e degli stessi abitanti di Noha, cavalli di ogni razza e colore, addobbati con bardature preziose e ridondanti al limite del barocco, trottano e si sfidano nelle prove di forza, in una manifestazione dagli echi spagnoli ma dall’anima tutta salentina, dove lo spirito di competizione non riesce mai a vincere sulla voglia di stare insieme e passare una pasquetta lontana dai nevrotici imbottigliamenti e diversa dalle solite gite fuori porta.
Ma non è solo in virtù delle due tradizionali fiere che Noha merita l’epiteto di patria del cavallo. Di fronte al bar Settebello, ogni domenica, i tanti “cavallari” di Noha si danno appuntamento per un caffè e una passeggiata per le vie e i prati nohani, e, se una domenica di fronte al bar centrale, ci capita uno straniero, ti spiegano che i cavalli loro ce l’hanno nel sangue e non esitano a trascinarti sul calesse e a mostrarti una Noha che, dall’alto di un traino, appare diversa anche a chi da qui non è mai partito.
È così che, aggrappati a una mano forte e sicura e finalmente saliti sul traìno, si parte per un singolare giro, lungo le strade larghe, dove si respira un silenzio interrotto solo dagli zoccoli dei cavalli e da un continuo salutarsi, costume usuale in un paesino di circa 3.800 anime dove tutti si conoscono. Fischi e risate cadono dai balconi dove la gente è affacciata per godere del primo sole invernale e timidi cenni fanno la loro comparsa dietro le persiane. Pochi pedoni, rare biciclette, troppe macchine per un paesino dove a piedi si raggiunge il capo opposto, ma i nohani sembrano essere pigri. Pigri sì, ma, in compenso, di un’allegria contagiosissima mentre da ogni macchina si sbracciano per salutare e c’è anche chi tira il freno in mezzo alla carreggiata per scambiare quattro chiacchiere.
Fermi, all’incrocio principale, sul calesse dondolante, guardando verso la strada che porta verso Galatina, si vede già, a pochi chilometri di distanza, il profilo dell’imponente e scomoda vicina, la dirimpettaia la cui presenza ingombrante si avverte quotidianamente, a partire dalla mancanza di un comune, di un’amministrazione tutta nohana, disposti ad ascoltare più che a finanziare. Tra il comune madre e la frazione, forse per una natura conflittuale congenita ai rapporti gerarchici, infatti, non corre buon sangue.
Con Aradeo, invece, l’altra vicina, i rapporti sembrano diversi, migliori, forse perché la placidità degli aradeini, che scorrazzano in sella alle biciclette, rispecchia la mentalità nohana, una mentalità essenzialmente rurale, che ripone nella frugalità e nella semplicità il segreto di una vita serena che basta a se stessa. “Noi il turismo non lo vogliamo”, spiega Antonio, “ci piace trovare parcheggio quando torniamo a casa, ci piace la calma, l’aria pulita, le quattro chiacchiere tra di noi”. Ma questo voler preservare un clima terso e mite, pur segnato dalle piccole baruffe di paesino, non si traduce in una chiusura rigida e totale verso l’esterno ma, anzi, in una larghezza di orizzonti talmente rara da non essere sempre compresa.
Sì, perché i nohani non fanno dei loro piccoli tesori uno specchietto per allodole, esche per turisti assetati di folclore e, dalle pagine dell’Osservatore, i solerti redattori non mancano di tuonare contro chi arriva a Noha con la pretesa di trovare una cittadina turistica. Riuniti ogni sabato pomeriggio nello studio di Paola, all’ombra degli ulivi nodosi che ammiccano dai suoi quadri, Marco, Antonella e gli altri, capitanati dal direttor Mellone, seduti sui divanetti del laboratorio danno forma a sogni di pennelli e idee di carta, alla ricerca di quella Noha ancora da esplorare, e da far riscoprire, soprattutto agli stessi nohani.
Arrivati al crocevia principale, i cavalli non sono ancora stanchi, i campanelli ritornano a tintinnare e il giro continua per la strada adiacente alla piazza dove, solo in compagnia di un nohano che ti invita ad alzare lo sguardo, si scorgono tre casette misteriose appollaiate sull’alto bordo del muro del vecchio palazzo baronale. Sull’origine delle tre lillipuziane costruzioni, ricche di particolari dettagliatissimi ma che non riproducono nulla di questo paese, ancora si discute. Come su ogni creatura dell’ignoto, anche sulle tre casette di Noha circolano favole e leggende. Come quella di “Sciacuddhri”, l’anima bella di un bambino che si dice le abbia abitate. Non è una leggenda, invece, l’indifferenza che le ha colpite, scardinando il campanile di una delle tre, che giace riverso nella parte interna della piccola costruzione. Un danno invisibile agli occhi dei più, ma evidentissimo per chi, proprio per non coprire quel campanile, ha meticolosamente potato le cime dei pini che ne impedivano la vista. Ma insieme ai rami dei pini, cresce anche l’abitudine a non alzare più lo sguardo, a non guardare più in là del proprio naso, e questo solo perché tanto “a Noha stamu”, frase tanto ordinaria quanto odiata da chi, proprio della piccola straordinarietà di Noha, vuole fare tesoro e sottrarla al menefreghismo, anche di chi, in virtù di una dissennata discendenza, si ritrova in possesso di gioielli che sempre più raramente possono brillare per tutti.
È il caso dell’altrettanto misteriosa Casa Rossa, una costruzione a ridosso della strada che porta a Galatina, alle spalle del vecchio (e dismesso) stabilimento del celebre brandy Galluccio. La strana casupola è circondata da un meraviglioso giardino selvatico, dove svettano le zagare, i boccioli di rosa insieme ai più comuni “zangoni” e, tra i cespugli di bacche e gli alberi di arance, strisciano lucertole curiose. All’interno, le pareti ondulate, quasi spugnose, di pietra rossastra, le volte concave, morbide, costellate di dune e rientranze, danno alla casa un senso di effimero e di fresco, le porte a scomparsa, i vetri colorati - o quello che ne resta - le finestre a oblò, i caminetti dai contorni imprecisi alimentano questo gioco di vuoti e pieni ma anche le voci e le leggende che vogliono questa casa infestata dalle streghe o, maliziosamente, vecchia casa di tolleranza. La Casa Rossa è proprietà privata, ma, nei giorni propizi, il suo cancello si schiude. Ciò non accade invece con la recinzione in muratura che vieta a chiunque l’ingresso nel profumato aranceto che avvolge l’antica torre medioevale. Infatti, a guardia della bellissima torre, con il ponte levatoio dove prima si facevano transitare i cavalli, con l’arco a sesto acuto e gli aranci tondi e pieni che ti strizzano l’occhio dal muro di cinta, brillano minacciosi e appuntiti i cocci di bottiglia da un lato, mentre dall’altro il filo spinato incupisce lo sguardo e il paesaggio, sgraziato avvertimento a chiunque non si accontenti di ammirare solo attraverso un provvidenziale foro nel muro di cinta, questo tesoro costantemente sotto chiave.
Vetri taglienti e filo spinato, però, non fanno parte della natura allegra e accogliente dei nohani, ben contenti di mostrare quello che pochi conoscono del loro paese e soprattutto di rivelare il proprio atavico amore verso i cavalli, dando vita ad una piccola Città dei Cavalli anzitempo. La piazza, solo per gli occhi di pochi forestieri, s’improvvisa teatro di una festa di cavalli bardati e calessi dipinti a mano, un brulicare di speroni, voci, nitriti, code intrecciate che si agitano e crini solleticati dal vento, con il beneplacito di San Michele, patrono di Noha, che dall’alto del cielo, dalle due statue conservate nella chiesa e dalle edicole affrescate ai crocicchi delle vie, sorride e si compiace della natura dei suoi protetti, così inclini alla convivialità e sempre pronti a fare festa. A spasso sul traino, con Totò, Peppino, Emanuele, Igor, Rubino, lo splendido Kibli e gli altri cavalli, tutti disciplinati che si lasciano tentare dai grandi spazi, solo arrivati presso gli sterminati prati in fiore, si schiude piano un mondo sparito, che sonnecchia sotto il sole caldo sui tetti bianchi delle case mentre dalle finestre appena socchiuse si diffonde il profumo di cose buone. È quasi mezzogiorno, infatti, l’ora di pranzo qui. I carretti, però, trottano ancora, lungo la piccola Noha sempre diversa e che, dall’alto di un calesse, sembra davvero infinita.

(fonte http://www.quisalento.it/pagine/luoghi68.html)

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This is Noha, the place we li...

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