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Un dono chiamato Donato
Di Fabrizio Vincenti (del 20/02/2025 @ 08:38:24, in NohaBlog, linkato 738 volte)

Ci sono molti uomini che tentano per tutta la vita di diventare delle leggende, senza riuscirci, e altri che lo diventano senza volerlo. Don Donato (per le leggende non serve il cognome) rientra nel secondo insieme.

Chi fa parte dell’ampia categoria degli anta, porta con sé un ricordo di lui, un detto, un aneddoto personale. Io, avendo vissuto accanto a lui almeno un’ora al giorno per non so quanti anni, di ricordi, detti e aneddoti ne conservo moltissimi, anche se la memoria comincia a fare brutti scherzi.

Nell’occasione del decimo anniversario della sua morte, la bruta realtà che quotidianamente sbeffeggiava, ma con profondissimo rispetto cristiano, vi potrei raccontare di un’immancabile borsa d’acqua calda arancione sulle sue ginocchia d’inverno o della sua testa china su registri di matrimoni, funerali e battesimi, che solcava con ampi gesti, come se stesse ancora scrivendo con un calamaio; della sacra cerimonia del tè, servito ogni giorno nel suo studio, sempre alla stessa ora, dalla cara Antonietta; della paghetta distribuita il sabato alle decine di chierichetti, dopo aver consultato scrupolosamente il “libro paga”, sempre arrotondando per eccesso l’importo: era l’epoca delle lire, quando anche un bambino poteva considerarsi ricco andando ad un paio di funerali e a tre o quattro messe (ricordo ancora le singole voci dello stipendio: 500 lire a messa, 2000 a funerale, 1500 a matrimonio e 1000 lire a processione). Per farvi capire, io a quell’epoca racimolavo quasi diecimila lire a settimana: un patrimonio per me a quell’età. No, don Donato non era tra gli avari.

“Nomen omen” dicevan i latini. Nel suo caso i latini sapevano quel che dicevano.

Don Donato è stato un dono per me, per Noha e, soprattutto, per la Chiesa. Vi potrei raccontare del rito del lavaggio delle mani, quando si faceva bagnare appena le unghie dall’acqua dell’ampollina, o del vespro, recitato sulla sedia della sagrestia, curvo sul breviario, con la punta del naso a sfiorare le pagine sottilissime. Vi potrei far ricordare delle sue lunghe risate singhiozzate o della minuziosa liturgia della pulizia degli occhiali. Delle battute sui comunisti e sui fascisti un minuto prima della messa, solo per infastidire il buon Lino Mariano. Del sarcasmo unico come linguaggio di comunicazione tra lui e Antonio Guido. Della luce nei suoi occhi quando vedeva le sue sorelle o i suoi nipoti Antonio, Bruna... Del rispetto e della stima che aveva per Emanuele, che ancora doveva diventare don. Delle risate cinematografiche quando si presentavano al suo cospetto Antonio Patriarca o Sergio Vincenti. Dei picozzi come unico rimedio per far imparare a memoria le cose di Dio. Delle privatissime riflessioni sulla storia, la teologia, la Chiesa o sugli argomenti trattati da L’Osservatore Nohano nel suo studio sotto casa, al civico 3 di piazzetta Trisciolo.

Non voglio, però, fare l’elenco di quelli che, orbitando intorno a lui, come me, hanno fatto parte di una storia che oggi, appunto, non è che una leggenda. Rischierei di dimenticarne troppi, anche se, vi assicuro, lui, lassù, ci ricorda tutti.

Qui, però, è di don Donato che mi era stato chiesto di scrivere, e allora lo farò raccontandovi in due righe una sola cosa che lui ha fatto per più di mezzo secolo, ogni giorno, e dal quale gesto avrei voluto imparare molto di più.

Tra i paramenti sacri che il sacerdote indossa - o meglio, indossava, visto che oggi si usa sempre meno - vi è un quadrato di lino con due lunghi lacci che si mette a coprire collo e spalle, come una sorta di scapolare, prima di indossare il camice. Si chiama amitto. Ha la sola funzione di coprire il collo per una questione di dignità e di rispetto verso Dio, salendo sul suo altare. Dignità e rispetto, appunto, vale a dire quello che manca un po’ dappertutto, anche nella stessa Chiesa. Ecco, voi avreste dovuto assistere a questo gesto, di come lui ogni giorno si faceva posare quel tessuto sulle spalle, per poi legarselo intorno ai fianchi. Avreste dovuto contemplare la sacralità con cui indossava l’amitto.

Come un guerriero che indossa l’armatura prima della battaglia più importante della sua vita; come un servo si cinge i fianchi col grembiule, per non imbrattare l’unico vestito che possiede; come un pastore che si carica in spalla la pecora zoppa. Da come lui indossava l’amitto, io avrei dovuto imparare di più: come rimanere saldo davanti alle tempeste della vita, per esempio; come restare umile quando i torti fatti e subiti ti gonfiano d’orgoglio, impedendoti di risolvere anche le questioni più semplici; come avere cura dei dettagli, o come tentare di trasformare in sacro ogni sorta di sozzeria profana. Queste cose lui le sapeva fare benissimo.

Tra i tanti volti di quelli che hanno varcato il fiume del tempo, c’è lui. Ne conservo sempre la foto, anche se è quella usata per la sua lapide. Tra tutte preferisco quella sulla sua tomba, per non scordarmi che i ricordi, una volta, sono stati realtà, vale a dire la nostra stessa vita.

È stata la parte più bella, quando a ridere eravamo in tre: io, te, don Donato, e Quello lassù, di cui, per rispetto, non serve pronunciarne il nome. Oggi rido sempre meno e, non ti nascondo che, qualche volta, ti vedo ancora in sogno.

Se mi chiedessero quali sono i motivi per cui varrebbe la pena tornare indietro nel tempo, don Donato sarebbe tra questi. La verità è che io e lui siamo rimasti lì, dietro quell’altare parrocchiale, e che lì noi stavamo benissimo in quanto è l’unico posto dove due come noi, a quell’epoca, potevano stare. Da lì potevamo guardare contro-verso.

Ora pensiamo di andarcene in giro, lui lassù per i cieli, ed io ancora quaggiù tra gli inferi, sentendo ancora, di tanto in tanto, le sue fragorose risate.

Fabrizio Vincenti

 

Commenti

  1. # 1 Di  Lino (inviato il 20/02/2025 @ 12:29:35)

    ...caro Fabrizio, Don Donato è nel cuore di tutti. Mi piace ricordarlo come fosse ancora in vita. La domenica durante la visita al cimitero passo dalla sua cappella e lo saluto con: ciao Don Donato, buongiorno; oppure: carissimo Don Donato buongiorno.

  1. # 2 Di  Giuseppe Vincenti (inviato il 20/02/2025 @ 15:17:15)

    Caro Fabrizio, non hai dimenticato nulla di quello che comunemente era Don Donato...una persona prima che parroco formidabile.
    Anche io ho tantissimi ricordi di lui, ogni vicenda la ricordo ancora oggi come fosse ieri. Un bacio fin lassù caro Don

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