set202010
Questa è la storia di un esproprio.
Una sentenza ingiusta, proclamata da un ignobile giudice, ci ha privato senza alcun preavviso del nostro spazio vitale, costringendoci in pochi, risicati metri quadrati. Chi non fosse a conoscenza dell’accaduto, crederebbe che queste siano le farneticazioni di un piccolo e fragile arbusto. Si sbaglia costui, perché a urlare la sua rabbia è un raggrinzito e incazzato ulivo.
Questa è la storia di un esproprio, dicevamo, ma non pensi il lettore che in codeste note si vadano a esporre le ragioni di una delle parti, quella perdente si intende. Non saremmo in grado di tenere discorsi molto lunghi allo scopo di persuadervi, non conosciamo le leggi dell’ars oratoria, né tantomeno ci intendiamo di diritto agricolo.
Il nostro è un racconto e come tale ha la sacrosanta urgenza di essere raccontato, affinché gli uomini, specie egoista per natura, si sentano in colpa in ogni singolo attimo della loro futura annaspante esistenza.
***
Albeggiava quando giunsero in sella ai loro portentosi e assordanti ronzini. La luce del sole vezzeggiava le nostre foglie argentee e la rugiada ingioiellava la fredda corteccia; una brezza leggera solleticava le nostre fronde e un brivido fulmineo, di risposta, scorreva nella linfa per tutto il tronco, portandosi sino alle radici, per poi perdersi nel terreno.
Credevo che nulla al mondo sarebbe stato in grado di dissuadermi dalla convinzione che ogni mattino è concepito nel silenzio più intimo, incontro tra la nostalgia della notte, sbiadita dalla fioca luce della luna, e la speranza del giorno, che si riflette nel nuovo sole. Quello che vidi però mi fece ricredere: gli uomini avanzavano sicuri, calpestando quella stessa natura che li aveva dato la vita, e si dirigevano proprio verso di noi.
Nel pugno di quella chiassosa offensiva venivano sbriciolate per sempre le mie certezze.
Ci guardavamo intorno, qualcuno continuava ancora a riposare indifferente ai rumori che aumentavano sempre più di intensità sino a trasformarsi in insopportabili stridori. Si fermarono davanti a me; il più anziano del gruppo senza dire una parola in quella contorta e stridula lingua umana, che ha bisogno di cambiar tono per incutere paura, fece un incomprensibile cenno con la testa. Nessuno vacillò di fronte all’incomprensibilità della richiesta: qualcosa doveva essere spostata, lì a lato, proprio accanto alla strada.
Gli ulivi tremavano nel silenzio innaturale di quell’attesa. Un albero non può piangere, bisogna avere un’anima per soffrire, e l’uomo, che il più delle volte agisce cercando di sfuggire al giudizio dei suoi pari, lo sa bene, lo ha imparato a scuola che l’albero è una “cosa”. Nessuno quindi sarà giudicato e poi condannato per aver ammucchiato una cosa.
Da inferiori entità inanimate siamo stati quindi usati, ma non è questo che fa strizzare acre olio dalle mie nere olive ribelli. Voi che ve ne state seduti, tranquilli a leggere questo mio racconto, non potete immaginare la brutalità con cui i denti di quei mastodontici espropriosauri hanno azzannato prima il terreno e poi le radici, recidendone molte, estirpandone non poche. Sentire lo scoppiettare di quelle radici che stremate abbassavano la testa dinanzi alla superiorità del loro avversario, ascoltare il pianto delle fronde degli ulivi issati come animali feriti e gettati agonizzanti in quella fossa comune, non è stata una piacevole esperienza.
Un ulivo non piange, abbiamo già ribadito, solo perché l’immaginario collettivo non glielo ha mai permesso, ma la realtà non è schiava come voi delle convenzioni umane. Poggiate un attimo l’orecchio sulla mia ruvida corteccia e sentirete il mio dolore; fermatevi anche voi a guardare la cornice decorativa di ulivi creata per ingannare voi, ma non me, e capirete la mia rabbia.
Io sono l’ultimo di una secolare famiglia di ulivi, unico superstite alla strage. Ora me ne sto dove sono sempre stato, ai margini di questo feudo, affiancato da ulivi fantocci, con lo sguardo abbassato sulle mie radici per evitare di rianimare quel fuoco che arde in ogni singolo mio vaso, alla vista di quegli stupidi alberi moderni, bassi, neri, brutti e senza frutto, che per ignoti motivi hanno rubato la terra a tanti miei simili in tutto il Salento.
Michele Stursi
set192010
set172010
set162010
La nostra richiesta di partecipazione non è caduta nel vuoto. Le adesioni sono pervenute da diversi fronti: l'account aperto su facebook "Comitato Cambiamo Aria Galatina" ha raccolto centinaia di contatti in poche ore; singoli, associazioni e forze politiche hanno condiviso le nostre preoccupazioni e la nostra mobilitazione. Diverse sono le attività del comitato messe in cantiere atte a portare a conoscenza della collettività le nefaste conseguenze che deriverebbero dal coincenerimento del CDR nell'impianto della Colacem S.p.A., in aggiunta alle già inquinanti attività industriali presenti nella zona. La prima azione ci ha visti presenti presso la Commissione Ambiente tenutasi mercoledì 15 c.m., alla quale hanno partecipato tutte le realtà istituzionali del territorio maggiormente interessato, le quali hanno confermato la propria posizione contraria alla co-combustione di CDR. Una nostra delegazione ha protocollato e consegnato al Presidente Gabellone la proposta di delibera presentata dalle minoranze nel consiglio comunale di Galatina del 13 c.m., corredata da una lettera di presentazione che sintetizzava tutte le nostre posizioni. Abbiamo con soddisfazione preso atto della determinazione del Presidente Gabellone di tutelare come interesse primario la salute dei cittadini, andando a valutare con attenzione e rigore le conseguenze sul territorio del co-incenerimento del CDR, coinvolgendo ARPA e ASL quali enti accreditati alla rilevazione e studio degli effetti sull'ambiente. Al comitato "Cambiamo Aria" sino ad oggi hanno aderito:
I Consiglieri Comunali: Piero Lagna, Antonio Pepe, Daniela Sindaco, Daniela Vantaggiato, Azione Giovani, Azzurro Popolare, La Destra, Federazione della Sinistra, Galatina Tricolore, Generazione Italia, I Giovani Democratici, Italia dei Valori, Partito Democratico, Il Popolo di Galatina, Sinistra Ecologia Libertà, Adusbef, ARCI Kilometro 0, Azione Universitaria, Boys Arte e Cultura, Città Nostra, Comitato per la difesa dell'ospedale e dei cittadini, I dialoghi Nohani, Lega Italiana Lotta Tumori, Unione degli Studenti. Le adesioni sono aperte a chiunque condivida il nostro progetto e a chiunque voglia informarsi sulle nostre posizioni. Il comitato si riunisce quotidianamente presso la sede UDS -Unione degli Studenti- in Via Scalfo 46 a Galatina dalle 21 in poi.
Il Comitato Cittadino "Cambiamo Aria"
set152010
set142010
set142010
set122010
set102010
NOI SIAMO PER IL FOTOVOLTAICO RAGIONATO, PER L’AUTOPRODUZIONE DI ENERGIA SUI TETTI DELLE NOSTRE CASE E PER UN VERO RISPARMIO DEI COSTI DELL’ENERGIA!
IL FOTOVOLTAICO E’ NATO PER DIFENDERE IL TERRITORIO NON PER DISTRUGGERLO, COME INVECE STANNO FACENDO NELLA NOSTRA CAMPAGNA.
NOHA dovrà sorbirsi un impianto di circa
che porterà un impoverimento del nostro territorio
E’ stata svenduta la “TERRA” di Noha, l’unica vera fonte di ricchezza per la popolazione.
COSA LASCEREMO AI NOSTRI FIGLI? Cosa mostreremo ai turisti?
I nostri padri con tanto sacrificio ci hanno tramandato fertili terre, uliveti secolari, beni culturali, vigneti, prelibatezza di prodotti, ed ora le grosse multinazionali trasformeranno tutto ciò in distese enormi di pannelli argentati!
ECCO 10 MOTIVI PER RESPINGERE L’ INVASIONE DELLA SPECULAZIONE DEL FOTOVOLTAICO AGRICOLO CHE STA PER CIRCONDARE NOHA:
1) Gli incentivi statali che incassano le società del fotovoltaico li paghiamo noi sulle bollette bimestrali della luce, senza avere alcuna riduzione dei costi dell’energia;
2) Nessuno ha il coraggio di dichiarare che estensioni così grandi e concentrate non sono dannose per la salute umana.
3) I cavi che accumulano e trasportano l’energia accumulata dai pannelli vengono interrati lungo strade e sentieri che i cittadini hanno la necessità di percorrere e sono la fonte di campi magnetici;
4) Grandi estensioni concentrate di pannelli di silicio sovvertono il microclima, disturbano la fauna e le migrazioni.
5) I costi per lo smaltimento dei materiali scaduti (gli impianti si esauriscono dopo 10-15 anni) e per il ripristino della terra sono altissimi, molto ma molto superiore all’introito economico ricavato dagli affitti.
6) Per impedire alla vegetazione di crescere avvelenano la terra inquinando le falde acquifere, l’acqua che è il nostro bene più prezioso insieme alla terra ed all’aria!
7) Grandi estensioni di pannelli di silicio concentrate in una stessa area desertificano (TIPO DESERTO DEL SHARA) le campagne un tempo rigogliose;
8) Le grandi estensioni di campi di fotovoltaico impoveriscono economicamente il territorio in quanto sottraggono terra all’agricoltura;
9) Non danno diretti posti di lavoro, ma accrescono il precariato;
10) I miseri benefici che ne derivano alle amministrazioni non sono minimamente comparabili con il sacrificio che subisce la terra e la popolazione.
Il Comitato
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