Erano le 20:44 del 21 febbraio di dieci anni fa quando Federica, nipote di don Donato, mi contattò su Messenger per avvisarmi che, da pochi minuti, suo zio non c’era più. Ricordo con lucidità ogni istante di quel momento, così come ricordo pure la gioia grata per essere riuscito a fargli visita in ospedale la settimana precedente, prima di rientrare a Molfetta.
Quella mattina, don Donato era stanchissimo, coricato di lato. Gli avevano servito il pranzo poco prima, ma lui non aveva voluto neppure sfiorarlo. Maria Rosaria, speranzosa, lo aveva posato sui termosifoni, come a volerlo mantenere caldo. Non aveva la forza di parlare; senza occhiali, mi fissava negli occhi e, con la sua mano affusolata - e come sempre fredda - stringeva la mia. Le sue palpebre iniziavano a chiudersi. Dopo circa venti minuti, per lasciarlo riposare, ci salutammo e, forse, fu solo allora che riuscì ad aprire bocca. Sapendo che, tornando in seminario, non sarei rientrato a Noha prima della Settimana Santa, lo accarezzai e gli dissi: “Don Donato, ti saluto! Mi raccomando, mantieniti forte: ci vediamo a Pasqua”.
In quello stesso istante don Donato riaprì il suo occhio più grande, il sinistro, e con voce fievole rispose: “Sarà Pasqua!”. Lasciai la sua mano, feci un cenno di saluto a Maria Rosaria e uscii dalla stanza con gli occhi lucidi: sapevamo entrambi, sia io che lui, che la Pasqua era ormai vicina: quella Pasqua che ora vive in eterno nel cuore del Dio che ha tanto amato.
Don Donato, a ben pensarci, era 'na Pasqua in ogni cosa! Nel suo essere tutto d'un pezzo, nella sua generosità, nella sua voglia di sapere, conoscere e raccontare, nelle sue abitudini routinarie, nella cura delle piante che riempivano ed addobbavano il suo studio sotto casa, negli scherzi che ogni sera, dopo la Messa, ci chiedeva di fare a Rita, nascondendole la borsa. Era 'na Pasqua in quel “Signore, apri le mie labbra” che ripeteva ostinatamente più e più volte, prima di iniziare la preghiera dell’invitatorio, finché non sentiva di aver raggiunto la giusta concentrazione per la preghiera. Era 'na Pasqua in tutto: un uomo e un prete pienamente pasquale.
Sono ormai dieci anni che don Donato non è più con noi; non lo vediamo più, neppure di profilo, dietro quella finestra in piazzetta Trisciolo, ricurvo sul suo breviario, con le chiavi già nella toppa della porta, sempre aperta a chiunque. A distanza di tanto tempo, oggi, anch’io, da giovane prete e parroco, spesso mi ritrovo a pensare a lui, ricordando il suo modo di essere prete per la gente. Lo penso quando sento bussare alla mia porta da qualche anziano fedele a suon di: “Arciprete, c’è permesso?”, così come quando incontro qualche suo vecchio confratello di Nardò e a cui dico orgogliosamente di essere di Noha. Lo penso quando ripercorro la mia infanzia da giovane chierichetto alle prime armi, e quando, infine, ricordo gli ultimi anni della mia formazione a Molfetta, durante i quali, come un nonno attento e premuroso, cercava sempre di informarsi su come procedessero il cammino e gli studi. Chissà quanti sogni avrà nutrito per ciascuno di quei suoi affezionati seminaristi, le cui vocazioni sono nate e cresciute anche sotto il suo sguardo e la sua preghiera.
Oggi, dal canto mio, non posso che custodire vivi nel cuore il suo affetto e ogni suo insegnamento, così come serbo nitida negli occhi e nella mente la sua compostissima figura, mentre ancora lo immagino salire le scale della sagrestia, canticchiando a bocca chiusa, con la giacca nera sulle spalle, un corposo mazzo di chiavi in mano e quel sorriso sornione con cui mi guarda e mi ripete il suo consueto “giovanotto, va bene! Va bene sempre”.
don Giuseppe Paglialonga
Venerdì 21 febbraio 2025 alle ore 18, in occasione del decimo anniversario della morte di don Donato Mellone, arciprete di Noha, insegnante e organista, i sacerdoti della frazione di Galatina concelebreranno una messa di suffragio nella chiesa madre di San Michele Arcangelo. A seguire, alle ore 18.45, per commemorare il musicista e il pensatore, il maestro Francesco Scarcella, sedendo al Continiello di Monteverde, l’organo di oltre 600 canne della comunità nohana, terrà un concerto inedito e originale con le musiche degli autori che rivoluzionarono la storia dell’arte e dell’intelletto. Nel suo piccolo lo fece anche l’antico curato di Noha, per esempio lasciando nei suoi manoscritti parole sovvertitrici dell’ordine economicista come le seguenti: “Per molti non esiste che il lavoro materiale, esso solo è degno di compenso, ad esso solo si attribuisce il progresso umano. Ma c’è un lavoro più alto e nobile: quello del pensiero, quello della poesia e dell’arte, e quello ancora più sublime della creazione della santità”.
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Arciprete, parroco di Noha, insegnante e organista. Figura importante per la piccola comunità di Noha, don Donato Mellone viene ricordato nel decimo anniversario della scomparsa. Per ricordare l'uomo e il sacerdote, l'appuntamento è alle 18 nella chiesa di San Michele Arcangelo, per la celebrazione di una messa. A seguire, all'organo a canne Continiello, siede il maestro Francesco Scarcella per un concerto "in memoriam", con musiche di Bach, Charpentier, Morricone, Händel, Pachelbel e Sequeri. Ingresso libero.
(Fonte: quiSalento, Febbraio 2025)
Ci sono molti uomini che tentano per tutta la vita di diventare delle leggende, senza riuscirci, e altri che lo diventano senza volerlo. Don Donato (per le leggende non serve il cognome) rientra nel secondo insieme.
Chi fa parte dell’ampia categoria degli anta, porta con sé un ricordo di lui, un detto, un aneddoto personale. Io, avendo vissuto accanto a lui almeno un’ora al giorno per non so quanti anni, di ricordi, detti e aneddoti ne conservo moltissimi, anche se la memoria comincia a fare brutti scherzi.
Nell’occasione del decimo anniversario della sua morte, la bruta realtà che quotidianamente sbeffeggiava, ma con profondissimo rispetto cristiano, vi potrei raccontare di un’immancabile borsa d’acqua calda arancione sulle sue ginocchia d’inverno o della sua testa china su registri di matrimoni, funerali e battesimi, che solcava con ampi gesti, come se stesse ancora scrivendo con un calamaio; della sacra cerimonia del tè, servito ogni giorno nel suo studio, sempre alla stessa ora, dalla cara Antonietta; della paghetta distribuita il sabato alle decine di chierichetti, dopo aver consultato scrupolosamente il “libro paga”, sempre arrotondando per eccesso l’importo: era l’epoca delle lire, quando anche un bambino poteva considerarsi ricco andando ad un paio di funerali e a tre o quattro messe (ricordo ancora le singole voci dello stipendio: 500 lire a messa, 2000 a funerale, 1500 a matrimonio e 1000 lire a processione). Per farvi capire, io a quell’epoca racimolavo quasi diecimila lire a settimana: un patrimonio per me a quell’età. No, don Donato non era tra gli avari.
“Nomen omen” dicevan i latini. Nel suo caso i latini sapevano quel che dicevano.
Don Donato è stato un dono per me, per Noha e, soprattutto, per la Chiesa. Vi potrei raccontare del rito del lavaggio delle mani, quando si faceva bagnare appena le unghie dall’acqua dell’ampollina, o del vespro, recitato sulla sedia della sagrestia, curvo sul breviario, con la punta del naso a sfiorare le pagine sottilissime. Vi potrei far ricordare delle sue lunghe risate singhiozzate o della minuziosa liturgia della pulizia degli occhiali. Delle battute sui comunisti e sui fascisti un minuto prima della messa, solo per infastidire il buon Lino Mariano. Del sarcasmo unico come linguaggio di comunicazione tra lui e Antonio Guido. Della luce nei suoi occhi quando vedeva le sue sorelle o i suoi nipoti Antonio, Bruna... Del rispetto e della stima che aveva per Emanuele, che ancora doveva diventare don. Delle risate cinematografiche quando si presentavano al suo cospetto Antonio Patriarca o Sergio Vincenti. Dei picozzi come unico rimedio per far imparare a memoria le cose di Dio. Delle privatissime riflessioni sulla storia, la teologia, la Chiesa o sugli argomenti trattati da L’Osservatore Nohano nel suo studio sotto casa, al civico 3 di piazzetta Trisciolo.
Non voglio, però, fare l’elenco di quelli che, orbitando intorno a lui, come me, hanno fatto parte di una storia che oggi, appunto, non è che una leggenda. Rischierei di dimenticarne troppi, anche se, vi assicuro, lui, lassù, ci ricorda tutti.
Qui, però, è di don Donato che mi era stato chiesto di scrivere, e allora lo farò raccontandovi in due righe una sola cosa che lui ha fatto per più di mezzo secolo, ogni giorno, e dal quale gesto avrei voluto imparare molto di più.
Tra i paramenti sacri che il sacerdote indossa - o meglio, indossava, visto che oggi si usa sempre meno - vi è un quadrato di lino con due lunghi lacci che si mette a coprire collo e spalle, come una sorta di scapolare, prima di indossare il camice. Si chiama amitto. Ha la sola funzione di coprire il collo per una questione di dignità e di rispetto verso Dio, salendo sul suo altare. Dignità e rispetto, appunto, vale a dire quello che manca un po’ dappertutto, anche nella stessa Chiesa. Ecco, voi avreste dovuto assistere a questo gesto, di come lui ogni giorno si faceva posare quel tessuto sulle spalle, per poi legarselo intorno ai fianchi. Avreste dovuto contemplare la sacralità con cui indossava l’amitto.
Come un guerriero che indossa l’armatura prima della battaglia più importante della sua vita; come un servo si cinge i fianchi col grembiule, per non imbrattare l’unico vestito che possiede; come un pastore che si carica in spalla la pecora zoppa. Da come lui indossava l’amitto, io avrei dovuto imparare di più: come rimanere saldo davanti alle tempeste della vita, per esempio; come restare umile quando i torti fatti e subiti ti gonfiano d’orgoglio, impedendoti di risolvere anche le questioni più semplici; come avere cura dei dettagli, o come tentare di trasformare in sacro ogni sorta di sozzeria profana. Queste cose lui le sapeva fare benissimo.
Tra i tanti volti di quelli che hanno varcato il fiume del tempo, c’è lui. Ne conservo sempre la foto, anche se è quella usata per la sua lapide. Tra tutte preferisco quella sulla sua tomba, per non scordarmi che i ricordi, una volta, sono stati realtà, vale a dire la nostra stessa vita.
È stata la parte più bella, quando a ridere eravamo in tre: io, te, don Donato, e Quello lassù, di cui, per rispetto, non serve pronunciarne il nome. Oggi rido sempre meno e, non ti nascondo che, qualche volta, ti vedo ancora in sogno.
Se mi chiedessero quali sono i motivi per cui varrebbe la pena tornare indietro nel tempo, don Donato sarebbe tra questi. La verità è che io e lui siamo rimasti lì, dietro quell’altare parrocchiale, e che lì noi stavamo benissimo in quanto è l’unico posto dove due come noi, a quell’epoca, potevano stare. Da lì potevamo guardare contro-verso.
Ora pensiamo di andarcene in giro, lui lassù per i cieli, ed io ancora quaggiù tra gli inferi, sentendo ancora, di tanto in tanto, le sue fragorose risate.
Fabrizio Vincenti
Il Circolo Tennis «Giovanni Stasi» di Galatina, già conosciuto per la sua eccellenza nell’ambito sportivo e per l’ospitalità degli appassionati di tennis, si prepara a fare un importante passo verso l'innovazione e l'ottimizzazione delle sue strutture. In risposta alle crescenti esigenze degli atleti agonisti, il Circolo ha deciso di creare una palestra all'interno della propria sede, un luogo dedicato agli allenamenti mirati e alla preparazione fisica, che potrà dare un ulteriore impulso alle prestazioni dei suoi tesserati.
La palestra, realizzata direttamente dal maestro nazionale Donato Marrocco, allenatore nonché capitano della squadra maschile che milita nel campionato di serie B, e dall’istruttrice di pilates Alessandra Quarta, è stata attrezzata al primo piano all'interno del Circolo Tennis e sarà un complemento fondamentale per gli atleti agonisti che desiderano migliorare le loro capacità fisiche e atletiche. Non solo tennis, quindi, ma una preparazione globale che include esercizi di resistenza, forza, mobilità e agilità. Questi allenamenti, affiancati alla tecnica sportiva, sono essenziali per sviluppare un fisico competitivo e per prevenire infortuni, spesso causati da un allenamento monodimensionale.
Oltre agli agonisti, tutti i soci, ed anche non soci, potranno fruire dei vari corsi e attività coordinate da Alessandra Quarta, istruttrice di fitness, yoga e pilates.
«Questa iniziativa non solo risponde alle necessità immediate degli atleti – afferma Marrocco - ma rappresenta anche un passo importante nella crescita del Circolo Tennis di Galatina come punto di riferimento nel panorama sportivo regionale. Ringrazio il presidente Giovanni Di Lorenzo e tutto il consiglio direttivo per l’opportunità concessami di realizzare il mio progetto. La palestra fornirà anche la possibilità per tutti i giovanissimi tennisti di svolgere all’interno la preparazione atletica che sinora veniva svolta fuori, soprattutto nei mesi invernali. Il circolo tennis, oltre ad aver aumentato il numero di atleti agonisti, ha visto una crescita delle giovani leve, grazia anche al progetto Racchetta in classe realizzato con gli studenti del Polo 1 di Galatina e Collemeto».
Con la creazione della palestra, il Circolo Tennis «G. Stasi» guarda al futuro con ottimismo, mirando non solo a migliorare le performance sportive, ma anche a sviluppare una cultura dell’allenamento e del benessere che si estenda a tutte le categorie di tesserati, dai più giovani agli adulti. La nuova struttura rappresenta una grande opportunità per la comunità locale e per il mondo dello sport in generale, rafforzando il legame tra il Circolo e il territorio, spingendo sempre più persone ad avvicinarsi ad uno sport il cui movimento a livello nazionale è cresciuto tantissimo anche grazie ai successi di tennisti come Sinner, Sonego, Berrettini, Musetti, Paolini, Errani e tanti altri campioni.
Inaugurazione della nuova palestra domani giovedì 20 febbraio alle ore 16.00.
Antonio Torretti
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